Con i primi due dischi i
Machine Head si sono consegnati alla storia del metal e avrebbero potuto anche smettere di fare dischi, ma
Robb Flynn ne ha ancora e decide, per la terza volta consecutiva, di virare sound, questa volta in maniera radicale e, perciò, discutibilissima.
Intendiamoci, chi ha amato i primi due dischi ha fieramente disprezzato la svolta rap metal di “
The Burning Red”, ma ad onor del vero, nella mia modesta opinione, i
Machine Head mettono a segno l'ennesimo colpo vincente.
Tanto si è detto di questo disco, e probabilmente ad un analisi superficiale si potrà ritenere che sia il frutto della paraculaggine commerciale di
Robb Flynn. In un momento nel quale il Nu Metal è all'apice i
Machine Head si mettono in scia. La verità è che, al di là dell'onestà intellettuale di questo disco, i
Machine Head non si mettono in scia a nessuno, sono dei leaders non dei followers e, quindi, danno alle stampe un signor disco.
Quando parlo di signor disco parlo di canzoni con un songwriting maturo e di qualità media elevata, quasi come se avessero suonato sempre questo genere, con la bravura nel sapere dosare sapientemente la componente metal (che c'è, caspita se c'è!) e la componente rap/crossover. Il resto lo fanno la presenza di
Ross Robinson dietro la consolle (al posto di
Colin Richardson) e l'assenza di
Logan Mader, la componente più heavy della band.
Con questo disco i
Machine Head non fanno altro che inglobare nel modo più naturale possibile, direi, le influenze hip-hop che si portano dietro inconsciamente (ricordate la cover di
Ice-T del
precedente disco?). E la prova n’è il fatto che i
Machine Head non si limitano a rappare giusto per rendere i pezzi “carini” e orecchiabili, il loro hip-hop ha la funzione di rendere estremamente dinamiche le loro songs. Sono riusciti a prendere dall’hip-hop la sua caratteristica principale e, se così possiamo dire, più “metal” ovvero la dinamicità, l’hanno fusa con l’approccio hardcore del nuovo suono americano e con le loro radici più prettamente metal e thrash. Da questo punto di vista, quando è uscito questo disco, ancora una volta, nessuno suonava come i
Machine Head.
“
The Blood, The Sweat, The Tears” è il crossover definitivo, “
From This Day” è rap metal incazzatissimo, non mancano i pezzi più tradizionali come “
Exhale The Vile” e “
Devil With The King’s Card”, dedicata non molto amichevolmente a
Logan Mader.
Rimarchevole è anche la cover di “
Message In A Bottle” dei
Police.
Si può discutere questo disco e le scelte che ne sono a monte, ma non si può negare la qualità dello stesso, al di là dei gusti.