I The Heads sono gradatamente diventati una delle massime espressioni dell’heavy rock psichedelico nella scena underground attuale. La proposta del quartetto di Bristol (UK) è infatti un ragionevole punto d’incontro, un geniale amalgama di influenze diverse tra loro e nel loro sound anfetaminico è facile cogliere momenti di richiamo a sommi esponenti settantiani come Hendrix, Hawkwind, High Tide, ma anche bollenti reminiscenze di garage-rock alla Stooges, così come atmosfere krautrock prese dai Can o dai Kraftwork nonché un’impronta moderna sulle tracce dei primi Monster Magnet e dei recenti impulsi post-stoner. Chiaro quindi che per coloro che vivono la musica contemporanea agli antipodi dei mainstreams senza per questo dimenticare le radici del passato, un’uscita di tale specie sia fonte di grande interesse. E le attese non vengono certo deluse. Rispetto al precedente “Everybody knows we got nowhere” che a tratti sprofondava in narcisistici voli lisergici sin troppo alienanti, questo “Under sided” si mostra più disciplinato, massiccio, duro, meno estemporaneo e dispersivo, mantenendo però intatto l’enorme bagaglio di sensazioni altamente psichedeliche. Praticamente ostili alla forma-canzone, i The Heads assaporano comunque con successo l’approccio al cyber-rock sperimentato da Fatso Jetson e Red Giant nell’iniziale “Dissonaut” ed in “Energy”, distorcendolo però in maniera violenta con assalti di chitarre deraglianti e ritmiche martellanti che formano una base sonora in continua mutazione, un groviglio elettrico dove non c’è posto per schemi prefissati o ripetitivi. Ma la reale dimensione di questo gruppo resta quella della jam senza limiti né freni inibitori e “Il ratto, la ram, il gatto ed il serpente” rimette le cose a posto immergendo l’ascoltatore in un delirio di chitarre iperspaziali e ritmi forsennati dal quale emerge una voce che si limita quasi a recitare una litania in omaggio a qualche culto psicotico. Un suono che offre la sensazione di una colata lavica inarrestabile fino a tracimare senza interruzioni in un rallentamento elettroacustico che è l’inizio di “Trilogy part 3” dove l’acidità ipnotica della lead raggiunge vertici stratosferici. In un certo senso si può tentare un parallelo tra il gruppo inglese ed i connazionali Electric Wizard: entrambi rappresentano la cultura della musica anticommerciale, imprevedibile e disturbante, ma dove Osborn e soci insistono su tematiche oscure ed ossianiche i The Heads amplificano le pulsioni cosmiche e ciò che li rende davvero simili è la pesantezza sfibrante e realmente heavy delle loro proposte, qui esemplificata in brani come “False heavy” (mai titolo più bugiardo!), “Vibrating digit” e “Bedminster n.1”, mammoth-traks contorte e claustrofobiche, accumuli di riffs, effetti, echi, frastuoni ritmici e stranezze creative come un’armonica raggelante che emerge da una cacofonia di distorsioni. Il traguardo finale è lo scoglio di “Heavy sea”, diciotto minuti di maelstrom psycho-heavy dalla complessità mostruosa, superabile ed ammirabile soltanto facendosi trasportare dall’onda sonica interminabile senza la minima distrazione fino al rilassante sciacquio conclusivo.
Un’opera diversa, colta, saziante e grandiosa, manifesto della libertà esecutiva che merita la massima attenzione da parte di tutti e che rappresenta un “must” per questo particolare settore della musica pesante.
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