Disco della madonna. Stavolta parto dalla fine, per dire che
“The Reaper”, ufficialmente quarto LP della band tedesca, è una bomba a mano pronta ad esplodere nelle orecchie di chiunque abbia voglia di 50 minuti scarsi di riff graffianti, una voce di un cantante che sembra essere uscito direttamente dalla Preistoria, e ritornelli tremendamente trascinanti. Ho detto ufficialmente perché, un paio di anni prima, i becchini pubblicarono un album,
“Stronger Than Ever”, a nome
Digger, una roba talmente atroce che perfino la stessa band ha dimenticato e messo in un angolo a prender polvere. Per darvi un’idea, provate ad immaginarvi il gruppo in versione AOR, un po’ come se all’improvviso i Running Wild si mettessero a scimmiottare i Journey. Chiusa questa parentesi però, la band deciderà di sciogliersi per riunirsi poi nel 1993 e dare alle stampe
“The Reaper”, un disco che, come detto all’inizio, è eccezionale.
In
“The Reaper” non troverete tastiere come preludio a ritornelli da stadio, né hit da classifica, ma solo “pure fucking heavy metal”. Impossibile restare fermi all’energia scaturita dalla Titletrack, che fa sembrare quei
Digger un lontano ricordo.
"Ride On" con il suo crescendo di intensità, e
“Spy Of Mas’On” che presenta una batteria pronta a prender fuoco da un momento all’altro non fanno che alzare ulteriormente il livello di qualità presente nel disco. Eccellente la produzione che mette in risalto tutti gli strumenti, soprattutto le chitarre che non perdono mai un attimo di incisività. Si va più sul mid tempo con
“Under My Flag”, ma è il fattore coinvolgimento stavolta a prendere il sopravvento. Più lente e strutturate sono
“Wedding’s Day”, ma soprattutto
“Legion Of The Lost (Part II)” che mette in risalto le buone vocals di
Boltendahal in pulito, assieme a un ritornello ottimo, e che si collega alla prima parte presente sul debut album
“Heavy Metal Breakdown”. Niente da dire neanche su
“Fight The Fight”, il pezzo più corto del lotto, che riesce a imporsi con forza anche grazie a un
Chris Boltendahl che usa costantemente tonalità alte per dare più impatto alle singole canzoni. Una peculiarità che il cantante tedesco ha sempre più affievolito negli anni seguenti, vuoi anche per l’età. Ottima anche la finale
“Ruler Mr. H.”, che fa terminare nel meglio dei modi, grazie ad un
Uwe Lulis in grandissimo spolvero, quello che a conti fatti è un assalto sonoro in tutto e per tutto.
“The Reaper” porterà il nome dei
Grave Digger in alto nella scena di quegli anni, e costituirà il punto di inizio nella ricostruzione di una carriera che da lì a poco sarebbe esplosa in un capolavoro dopo l’altro. Un disco da avere per tutti gli amanti delle sonorità classiche, ma con quella giusta dose di incazzatura che non fa mai male.
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