Nessuno avrebbe scommesso che i
Grave Digger, dopo il tremendo flop seguito alla pubblicazione di
“Stronger Than Ever” del 1986 (uscito sotto il monicker Digger), sarebbero riemersi prepotentemente un paio d’anni dopo immettendosi nel mercato musicale del Power/Heavy Metal come uno dei gruppi cardine del genere negli anni 90’. In una scena dominata da band come i Rage, reduci da quel capolavoro di “The Missing Link”, e che da lì a poco avrebbe cominciato a incorporare elementi sinfonici nel proprio sound, o Running Wild al loro apice artistico massimo, o ancora Gamma Ray che da lì a poco sarebbero definitivamente esplosi con i capolavori che tutti noi conosciamo, la band di
Boltendahl e soci si guadagnò velocemente il titolo di band portatrice di un heavy metal duro, diretto, senza tanti orpelli vari. E dopo l’ottima conferma con
“The Reaper”, i becchini tedeschi pubblicarono un disco altrettanto valido nel 1995,
“Heart Of Darkness”.
Il disco in questione risulta, a più ascolti, staccarsi in alcuni momenti dal tipico sound che i
Grave Digger ci hanno abituato, e ancora oggi ci abituano. Un sound più oscuro, malinconico, si affaccia in molte parti dei pezzi presenti, come nella lunga e bellissima Titletrack, ispirata al racconto Cuore Di Tenebra di Joseph Conrad, dove a sonorità più Speed se ne alternano altre che contribuiscono a creare la giusta atmosfera che ben si sposa con le tematiche affrontate dalla band, che va detto subito, suona in maniera ineccepibile.
“Hate” riporta il tutto in lidi dove sono i riff, e che riff, a farla da padrone, mentre
“Demon’s Day” è un bel mid tempo dove
Boltendahl si destreggia molto bene fra diversi stili vocali, una volta più cavernosi, altre più acute e di impatto, su un ritornello costruito ad hoc. Più serrate
“Warchild” e
“Shadowmaker”, che ancora grazie a rifff più simili a un terremoto che note musicali, non lasciano prigionieri. Colpisce anche la durata delle singole canzoni che, esclusa l’intro, viaggiano quasi tutte fra i 5 e i 7 minuti. Minutaggio che non si sente neanche così tanto, da quanto i pezzi sono costruiti bene e non presentano momenti di stanca. Chiudono
“Circle Of Witches”, ispirata al Macbeth di Shakespeare con un songwriting a livelli altissimi, e
“Black Death”, ottimo mid tempo che mette in luce lo stile roccioso di
Frank Ullrich dietro le pelli.
“Heart Of Darkness” è un disco che probabilmente viene sottovalutato dai fan della band, ma in un certo senso anche dalla band stessa, che negli ultimi anni si è troppo focalizzata verso inutili celebrazioni su celebrazioni della Trilogia Medioevale, per nascondere la totale mancanza di ispirazione che l'ha colpita da una buona quindicina di anni. Una gemma oscura, e non banale come potrebbe supporre chi si è avvicinato alla musica dei
Grave Digger pensando che ogni canzone sia uguale all’altra. Da riscoprire.
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