Avevo già assodato come questo gruppo finlandese non avesse avuto chissà quale grande fantasia nella scelta del nome da adottare, Manitou, ed ora confermano di aver ben poco gusto riguardo alle copertine e ancor meno fortuna per quanto riguarda i rapporti le label discografiche: tre album e tre etichette diverse, infatti, l'ultimo della serie, "No Signs of Wisdom", esce per la Metal Heaven.
Niente da dire invece sulle influenze che emergono dalla proposta dei Manitou, ancora legati ad un Heavy Metal classico, anche se ora mostrano un indurimento generale nei suoni rispetto alle canzoni presenti sul precedente "Deadlock", a discapito di quelle soluzioni Progressive che vi si riconoscevano facilmente, ed allo stesso tempo confermano anche un'evidente dipendenza dagli Iron Maiden. La "colpa" di questo va in gran parte al cantante Markku Pihlaja, che si rivela un vero e proprio clone di Bruce Dickinson, e pure le chitarre di Markus Vanhala ed Antti Lauren spesso riecheggiano il guitar attack dei Maiden (vedasi ad esempio la grintosa opener "In This Indolence", "Dread of the Freaks" o "The End Within"), mentre brani come "Harbinger" o "Some of the Sins Revealed" ricordano maggiormente il Dickinson solista. I momenti in cui i Manitou rischiano qualcosa in più, sono invece rilevabili nella rockeggiante e melodica "Polluted World" e nella parte conclusiva del disco, con la schizzata "The Loon" ed "August Sky", lunga suite di 11 minuti dove riaffiorano quei passaggi prog che si vanno ad affiancare alle solite influenze di Iron Maiden, Queensryche ed Angra.
Bravini, ma è ancora troppo poco per fare la differenza.
Il "Grande Spirito" deve osare di più!
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