In una società che ormai s’interroga sulle conseguenze deteriori della tecnologia e degli abusi connessi, già turbata dalle inquietudini di un mondo che si avvia allo sfacelo sulla scorta del crollo delle ideologie, emergono dal nulla i
Fear Factory, ibrido d’etnia ispano/anglosassone. La band è tempestiva nel cogliere le tensioni tangibili nell’aria, e prendendo spunto da quanto già in ambito artistico avevano delineato le opere di
Isaac Asimov e
Philip K. Dick, nonché le ossessioni cinematografiche di
James Cameron con i primi due capitoli della saga
Terminator, si tuffa a piene mani in questo marasma per estrapolarne paure e angosce, visioni e ossessioni che prenderanno forma nella discografia della band. Non è possibile citarne l’enorme mole d’influenze, sarebbe un lavoro di carattere è prettamente esegetico e calligrafico, però non possiamo sottacere che l’inizio degli anni ’90 è l’alba della diffusione su scala mondiale dell’home computer, di lì a poco l’Intel lancerà i suoi Pentium, erede dei più obsoleti 2/3/486.
L’esordio dei
Fear Factory, nell’anno di grazia 1992, è un vero terremoto per la scena metal mondiale, perché capace di innovare pur non inventando nulla, bensì manipolando una serie di influenze fino a creare un suono nuovo, che verrà affinato nei dischi successivi.
Questo perché i
Fefr Factory sono una band che, sebbene inconsapevolmente, è in fase di transizione, non ha ancora un suono definito.
“
Soul Of A New Machine” è un disco di industrial death metal, che deve parecchio a
Napalm Death e
Godflesh, ma che al tempo stesso si porta dietro le influenze del death metal americano del bay area thrash metal.
Se pezzi come “
Crash Test” e “
Flesh Hold” son più ortodossi, pur vantando atmosfere industriali (più dovute alle atmosfere e alla produzione che all’utilizzo di macchine), il disco offre altri episodi, come l’iniziale “
Martyr” o “
Scapegoat”, dove il suono è più prossimo a ciò che verrà, con utilizzo di clean vocals alternate al vetriolico growl di
Burton C. Bell, tempi di batteria più quadrati, non ancora cibernetici, ma sicuramente modernisti. In effetti ampie sezioni ritmiche di “
Scapegoat” sembrano un raw master di “
Self Bias Resistor”.
Ciò che ancora latita è il concept album “man vs machine” fortemente debitore della saga di “
Terminator” che caratterizzerà gli episodi futuri della band, qui presente solo in nuce, come idea guida ma non ancora asse portante della weltanschauung della band.
Questo per dire che le liriche sono più variegate e lasciano spazio anche a samples di altri film, per esempio in “
Crisis” è possibile sentire il
credo del fuciliere direttamente tratto da “
Full Metal Jacket”.
Il disco contiene alcuni dei pezzi simbolo della band, come “
Scumgrief”, "
Big God/Raped Souls” e “
Self Immolation”, canzoni che ancora oggi dal vivo non fanno prigionieri.
La qualità delle canzoni è di livello elevatissimo, con pochi riempitivi, e con un mood che progressivamente si fa più cupo e claustrofobico, un mood che si tinge di scorie industriali e diventa un vero e proprio banco di prova per l’ascoltatore.
Da questo punto di vista “
Suffer Age” è un monolite senza tempo, che unisce atmosfere gotiche a sonorità post-industriali e il cui riff iniziale sarà copiato pari pari dai
Coal Chamber per la loro hit “
Loco”.
Si diceva del concept, rispetto al quale questo disco può essere considerato un preambolo, esso rappresentando il sonno della ragione dell’essere umano, tutto proteso verso l’eccesso della razionalità e del razionalismo. Una nuova epoca illuminista illude l’uomo che la tecnologia è la chiave di tutto, è la chiave che apre le porte che la spiritualità non può aprire, “
Big God/Raped Souls” e “
Martyr” sono il lacerante diniego, il nichilista assalto agli ultimi barlumi di spiritualità e trascendenza. Il disco è grezzo, è la perfetta rappresentazione di un impianto metallurgico, tra lo sferragliare degli ingranaggi e le presse che stampano lamiere di metallo. Un metallo industriale grigio, algido, senz’anima.
Burton C. Bell è brutale, forse come mai lo sarà in seguito, le sua urla sono un diapason che riecheggia in e rimbomba in questa vera e propria fabbrica del rumore.
Alcuni considerano il disco in questione l’apice della creatura
Fear Factory, senza voler discutere tale affermazione c’è da dire che tuttavia la verità non è molto lontana. L’unica certezza è che in questo disco l’uomo si è spinto troppo in la nella sua follia tecnologica, ormai, benchè sia assoluto dominatore sulle macchine, non ne può più fare a meno. E i risultati si vedranno di lì a breve.