Succedono un po’ di cose lungo il cammino dei
Dark Quarterer tra
The Etruscan Prophecy (1988) e
War Tears (1993).
In estrema sintesi: Fulberto Serena lascia la band e gli subentra
Sandro Tersetti, anch’egli di Piombino, chitarrista esperto, molto dotato e di estrazione decisamente hard-blueseggiante; con la nuova formazione i nostri partecipano al Festival degli Sconosciuti di Ariccia del 1991 giungendo primi (tra l’altro con due brani che confluiranno proprio in
War Tears) e, grazie anche a questa vittoria, ottengono sia un passaggio in diretta tv sulla Rai che, di fatto, la firma con la label tedesca Inline Music per la produzione del loro terzo lavoro.
Inizio col dire che, quanto meno nella mia percezione, questo titolo occupa una
posizione un po’
a se stante nella discografia dei nostri.
Il travaglio personale vissuto da
Gianni Nepi e
Paolo ‘Nipa’ Ninci per aver perso, con l’abbandono di Serena, non solo un chitarrista straordinario – nonché principale autore delle composizioni fino a quel momento – ma anche un amico; la necessità, per l’appunto, di cominciare a farsi integralmente carico del processo di scrittura dei brani; il cambio di stile alle chitarre, che contribuisce a sua volta all’ovvia operazione di rimodulazione dell’approccio; la possibilità di registrare in Germania, ad Amburgo per la precisione, in un contesto decisamente professionale; l’importante momento di visibilità ottenuto tramite il già citato passaggio televisivo di portata nazionale … Tutti fattori che confluiscono in un
album che oserei definire
di transizione, in cui a tratti, prendendolo nella sua interezza, si riscontra una sensazione di parziale disomogeneità.
Ma c’è un però, ed è un però bello grosso.
Infatti nonostante tutto questo, o forse per merito di tutto questo, ci ritroviamo in ogni caso a parlare di un
disco eccellente.
Credo basti citare la title-track, la zeppeliniana
Out Of Line, la grandiosa
Lady Scolopendra, la conclusiva, atipica e toccante
A Prayer For Mother Teresa Of Calcutta, per rendersi conto di come, ancora una volta, i nostri eroi neppure volendo riescano a sbagliare un colpo.
Non mi soffermerò per l’ennesima volta, anche se non sarebbero certo parole sprecate, sulla bravura di questi ‘ragazzi’ nel
saper incanalare tecnica ed emozione in un flusso ricco, generoso, che pesca a piene mani da un
patrimonio sconfinato di sapienza per mettere a disposizione dell’ascoltatore un
metal epico, intenso, cangiante eppure coerente nella sua concezione.
Forse non sarà ricordato come il picco più elevato di un
percorso artistico che rasenta la perfezione, ma se questa è la pietra di paragone su cui valutare una carriera, allora signori miei non possiamo che inchinarci, perché ci sono fior di nomi ben più blasonati che pagherebbero di tasca propria per dare alle stampe il loro
War Tears.
Recensione a cura di
diego
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