Un gruppo che mi emoziona in modo particolare. Secondo me non sufficentemente posti in risalto in una scena musicale che per ricevere attenzioni dalla critica deve produrre qualità tripla rispetto ad altri generi. I
Mammoth Volume da tempo si elevano una spanna sopra la massa stoner/psych/alternative grazie ad una completa e profonda rilettura del rock, specificatamente settantiano, proponendo un affascinante collage di vibrazioni retrò con mentalità contemporanea, raffinatezza stilistica, perizia strumentale e straordinaria genialità creativa.
Eleganti ed ammalianti, possiedono il segreto di un perfetto bilanciamento tra aggressività e melodia, forza, dolcezza, rabbia, romanticismo, un patrimonio di abilità per il quale occorre risalire agli storici protagonisti del rock progressivo, dai Van Der Graaf ai Gentle Giant, dagli Yes ai King Crimson, aggiungendovi anche l’hard di Sabbath e Purple e perfino le nervature jazz di Colosseum e Mahavishnu Orchestra.
Tutte scuole di pensiero che troviamo citate negli albums del gruppo Svedese, oltre all’attuale visione dell’heavy derivata dalla lezione dei Kyuss.
“Prog-stoners” li avevo definiti nella recensione di “A single book of songs”, disco stupendo ricco di atmosfere sospese tra concretezza e libertà improvvisativa, mai ripetitivo, mai banale, talentuoso nella tecnica e nel songwriting e curato in ogni particolare. Un disco da avere.
Dopo ripetuti ascolti del presente “The early years” mi sento di confermare tutto ciò che avevo detto. Ancora una volta la band fa centro con un lavoro di splendida e raffinata ricerca musicale. Ritmi, note, melodie, colori, si fondono in ogni singola canzone con un marchio inconfondibile, ogni brano è una sorpresa, ogni passaggio è un volto nuovo, piccoli mosaici che riflettono in modo diverso ad ogni ascolto. Questa volta si notano all’interno dell’esteso percorso alune ingenuità, alcune ridondanze, dato che si tratta di materiale risalente agli anni 97/98, periodo antecedente al loro debutto, ma è evidende che con una minima parte delle idee di Nicklas Andersson molti gruppi stoner (ed anche prog…) ci camperebbero una vita.
Poteva essere utile qualche sforbiciata ad un album dalla lunghezza non proprio agevole, alcune canzoni come “Candlelight dinner” sarebbero forse più incisive se sfrondate da certe ripetizioni, episodi acustici alla Neil Young tipo “Baby’s coming home” magari non sono fondamentali, ma i motivi che giustificano la bellezza di questa realizzazione sono così tanti da annullare ogni piccolo difetto. La commovente “Demonic”, l’energia Kyussiana di “Recycled c*nt”, l’ottica jazz di “Crazy luzy”, l’hard rock magnetico e spaziale “ii”, la misurata leggerezza psichedelica in “Expander”, ruvido calore e sensuali carezze coniugate alla perfezione dentro “Helly’s creek”, i fremiti di gioia per la voglia di jammare che esplodono nella lunga improvvisazione finale, sono momenti indispensabili ed irrinunciabili per chi vuole ancora un rock libero da pastoie fatte di schemi e comportamenti da seguire alla lettera, senza deviazioni, senza fantasia, senza vitalità.
Mai volgari, refrattari all’esibizionismo esagerato ma capaci di acrobazie strumentali, trascinanti nelle vocals rilassate, i Mammoth Volume rappresentano il volto “colto” dello stoner, inteso come heavy rock che affonda le radici nel passato. “The early years” si posiziona un gradino sotto alla precedente uscita, ma allo stesso livello del debutto, quindi da acquistare ad occhi chiusi.
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