Corre l'anno 1997, ed i danesi Royal Hunt sono una delle realtà più floride in ambito neoclassic/progressive metal; il magniloquente
"Moving Target" ha mietuto vittime compiaciute un pò dovunque, ed il maestoso tour di supporto è stato immortalato nel doppio CD
"1996", a mio avviso uno dei più bei live del genere (vedere il video del medesimo per credere). Tutti aspettano quindi al varco la creatura di Andre Andersen, virtuoso tastierista e mastermind dei Royal Hunt, per vedere se oltre ad un fumo gustosissimo c'è anche arrosto saporito, appetitoso e concreto da mandare giù nel pancino. Beh, la risposta è di quelle che non ti scordi:
"Paradox" infatti, se possibile, supera le aspettative ed il già eccelso livello qualitativo raggiunto in precedenza, unendo ad un estro musicale davvero di prim'ordine una stesura in fase di testi (possiamo anzi parlare di concept) che mette i brividi, per profondità, uso delle metafore, autoreferenzialità.
Un lavoro, insomma, in cui il meglio della band danese viene fuori in maniera prepotente, ed in cui la stupenda voce del biondo D.C. Cooper tocca la vetta ultima, mai più (a parere di chi scrive) superata in futuro.
Il disco parte con "The Awakening", una intro in punta di acustica, che introduce il mood oscuro, sofferto di tutto il platter; pochi secondi ed arriva "River of Pain", pomposo prog rock dalle melodie indelebili. Andersen è davvero in stato di grazia, e sciorina una serie di lunghe songs che sviluppano il tema della religione, della possibilità di salvezza, della stoltezza del genere umano che non vede al di là del proprio occhio malato, sputando in faccia a Dio e alla speranza di un mondo migliore solo per la sete di potere e conquista. Le atmosfere dolorose, tragiche di quest'opera vengono abilmente incastonate in composizioni dalle strutture diverse e multiformi, in cui la velocità accelera ("Tearing down the world", "Time will tell") o decelera ("Long way home", "It's over") senza mai lasciare spazio ad una riflessione razionale: il disco spinge istintivamente l'ascoltatore dentro la storia, in una sorta di autoanalisi spietata delle debolezze e della parte marcia e cattiva propria di ciascun bidepe pensante. 50 e passa minuti di pura Arte, in cui le chitarre (mancine) di Jacob Kjaer lavorano più di cesello che di mitra, lasciando ampio spazio a riff tastieristici davvero di prim'ordine, spesso doppiati anche dall'ottimo basso di Steen.
L'ennesima, doverosa menzione di lode per D.C.Cooper, un cantante con una voce angelica, cristallina, potente ma mai eccessivamente aggressiva, dolce e struggente da lacrime, mai fuori luogo e mai banale o scontata. Un prodigio della natura, che proprio a questo disco deve la fine della sua carriera con i Royal Hunt: Cooper, infatti, di lì a poco lascerà la band per non meglio precisate 'divergenze economiche'. Di certo, a vederlo sul palco, si tratta di una personalità forte, contagiosa, un vero professionista del microfono, che purtroppo, con i Silent Force e gli altri progetti, non riuscirà a raggiungere le meravigliose vette toccate all'interno della band danese.
Tirando le somme, "Paradox" è un vero capolavoro del genere. Uno di quei dischi che, volente o nolente, ti lasciano spiazzato per la capacità di catapultarti in un'atmosfera non reale, fittizia ed affascinante, dolorosa e triste come un melodramma di Monteverdi.
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