Non è difficile dare credito alle didascalie promozionali che accompagnano questo doppio Cd e che lo ratificano come un’uscita praticamente imperdibile per tutti i fans di Glenn Danzig.
Ventisei brani tra inediti, cover versions (“Buick McKane” dei T. Rex, “Caught in my eye” dei The Germs e “Cat people” di David Bowie) e versioni alternative di pezzi già pubblicati, in un’operazione di recupero che solca un po’ tutta la carriera dell’ex Misfits/Samhain, a partire dalle primissime session del 1987 fino a quelle del 2004, relative all’ultimo discutibile albo in studio “Circle of snakes”.
Aggiungiamo che, a quanto apprendiamo, non si tratta di “scarti”, ma di canzoni accantonate per “esuberanza” compositiva o perché avulse dal concept dei singoli lavori, che la confezione di quest’opera è un sontuoso digipack con copertina disegnata dal noto fumettista/illustratore Simon Bisley (Lobo, Judge Dredd, Batman) e che il booklet contiene una serie di note scritte personalmente dal sinistro folletto del New Jersey, ed ecco che “The lost tracks of Danzig” diventa, in effetti, un acquisto imprescindibile per tutti i sostenitori di questo controverso personaggio.
Certo, bisogna proprio “amarlo”parecchio, perché in queste (quasi) due ore di musica ci sono tutti i pregi e pure tutti i difetti di Mr. Danzig: la sua vocalità baritonale e stentorea (Elvis, Roy Orbison e Jim Morrison, i suoi maestri principali) ma anche un po’ monotona e a volte approssimativa, la sua teatralità Nietzsche-iana talora al limite del pacchiano e le strutture musicali non esattamente ricche d’inventiva e dinamiche.
Che si trattasse di hard-blues mefistofelico e funereo o di flirtare con l’elettronica, la questione Danzig si è, infatti, sempre risolta in una netta separazione tra “adoratori” e aperti “detrattori”, e non credo che sarà questa sostanziosa raccoltona a sovvertire i termini della disputa.
Personalmente ho apprezzato moltissimo, nel bene e nel male, i suoi primi quattro full-length (compresi, dunque, gli accenni più “sperimentali” di “4”, non sempre ben accolti dai suoi estimatori della “prima ora”), e malgrado abbia trovato abbastanza sconcertanti le ultime prove discografiche, valuto complessivamente “The lost tracks of Danzig” come un buon ascolto, alla fine leggermente prolisso e ridondante, eppure sicuramente piacevole, soprattutto per chi è avvezzo a questi suoni.
Per i suoi tifosi, dunque, un buon modo per impegnare il tempo nell’attesa di un disco nuovo di zecca veramente all’altezza degli esordi, mentre per chi voglia avvicinarsi per la prima volta all’arte Danzig-iana, il consiglio è quello di farlo attraverso qualcuno dei suoi album migliori, metabolizzando lentamente attitudine e metamorfosi espressiva, per scegliere senza rischi di “soffocamento da eccessiva esposizione”, a quale delle due estreme succitate fazioni di musicofili appartenere.
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