La Spagna non è nazione prolifica nell’ambito dell’heavy alternativo, poche le formazioni stoner/doom di qualche rilievo, mi vengono in mente solo i Sex Museum, votati all’hard rock retrò, ed i Viaje a 800, “fumatissimi” doomsters anche loro nel cartello Alone Records.
Con gli Autoa scende in campo una terza forza, proveniente dalla zona Basca, e lo fa’ con una proposta per nulla banale e di non facile assimilazione. Il trio ispanico sceglie infatti una linea estremamente anticommerciale, producendo un disco quasi interamente strumentale che la Alone definisce come “punkiest doom or doomiest punk”.
Mi pare assai riduttivo definire gli Autoa come una doom band, le loro composizioni sono contenitori aperti nei quali vengono miscelati ingredienti sapientemente eterogenei, con mirabile eleganza e nitidezza esecutiva. Vi sono certamente momenti di richiamo alle tematiche oscure, alcuni densi riffs Sabbathiani (“Breakin’the wall of grass”), ma sono ancora maggiori le fasi fluide, rilassanti e sognanti, ammantate di levità psichedelica, oppure nervosamente ai limiti di un rock spaziale venato di jazz (“Tendon city”), nelle quali si coglie l’eredità delle bands free rock sperimentale alle quali gli Autoa fanno riferimento. Una concezione di musica libera e trasversale testimoniata dal fatto che il disco è stato registrato in presa diretta in un'unica seduta, alla maniera delle acid-bands settantiane.
Per cui i brani sono strutturati come dilatazioni fuori dal tempo, ed avvolgono con il loro fascino chi si predispone ad un ascolto profondo e concentrato. “In decision”,”Jimixe”, o il monumento alla rarefazione dai nebbiosi picchi narcolettici che è “Sendero”, non sono canzoni per tutti, specie per coloro che si rapportano alla musica con superficialità, ma cattureranno quanti amano la bellezza matura delle atmosfere ad ampio respiro. Nessuna facile lettura nemmeno negli episodi più rocciosi ed intensi, vicini allo stoner “colto” dei Los Natas (“444”,”Morela”), formazione alla quale gli Autoa possono essere accostati.
Somiglianza che si accentua grazie al cantato in lingua spagnola della conclusiva “Hormigas”, unica traccia che vede la presenza di un vocalist, l’ospite Carlos Desastre (713 Ave Amok, Despues de Nunca), che sinceramente fa’ un po’ rimpiangere la decisione di limitare il suo utilizzo ad un solo episodio.
Mi auguro che nelle prossime realizzazioni questa ottima formazione non si intestardisca sulla soluzione strettamente strumentale che, come abbiamo visto nel caso dei Karma to Burn, alla lunga diventa troppo pesante da sostenere. Per il momento comunque la varietà di colori usata per questo lavoro è più che sufficiente a renderlo disponibile per chi è alla ricerca di musica intelligente dove la sostanza e l’impegno non siano risolte con due riffs scontati e qualche ritornello orecchiabile.
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