Il disco degli svedesi
Iubar, che qui ci apprestiamo a recensire, è un lavoro dal sapore vagamente seventies. Un rock psichedelico, fortemente influenzato da Pink Floyd o Doors (soprattutto nell'interpretazione al mocrofono del bravo Viktor), ma venato di atmosfere variegate, passeggere come un banco di nubi leggere. Un disco che pretende di essere ascoltato da soli, al buio, sussurrato nelle orecchie di un ascoltatore in cerca di emozione, poesia, delicata passione.
Le dieci tracce di
Invitation II dig girano una sull'altra come in una spirale, trascinando il cosmo mentale di chi ascolta attraverso paesaggi sonori rarefatti, ma al contempo densi di emozioni, pathos, silenzi pieni di note. Non vi starò a tediare parlandovi di questa o quella track, questo cd è come una piccola bomboniera di porcellana, fragile quanto bella. E, d'altro canto, so per certo che, all'orecchie dell'ascoltatore metal, questo lavoro sembrerà troppo leggero, poco incisivo, di scarso impatto... Ma tant'è, gli Iubar hanno volutamente riesumato un mood, figlio di un periodo in cui suonare voleva spesso dire fondersi con le idee, anche attraverso artifizi chimici.
Un disco sicuramente di settore, insomma, ma non per questo meno affascinante e piacevole.
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