Gli Obskuria nascono durante un festival psych-rock, svoltosi a Mannheim nel 2006, quando alcuni musicisti presenti stabiliscono una collaborazione per un nuovo progetto del settore. In principio l’iniziativa stenta a decollare, a causa dei problemi legati alla diversa nazionalità dei protagonisti (Perù, Usa, Germania). Poi la situazione si sblocca grazie all’intervento della World in Sound, piccola label tedesca, che offre alla formazione una settimana di recording-sessions in terra germanica, sufficiente per la realizzazione del presente debutto “Discovery of Obskuria”.
Si tratta di un corposo album che supera gli ottanta minuti di durata, spartiti tra brani originali ed alcune eterogenee covers. Queste spaziano infatti disinvoltamente dai Misfits ai Beatles, ed in definitiva rappresentano la parte più compatta e convenzionale dell’opera. Canzoni dalla struttura normale e consolidata, vedi ad esempio l’energica e punkeggiante “I am my own god” (Dayglow Abortions), eseguite senza pesanti stravolgimenti nel rispetto delle versioni originali. Fa eccezione l’estesa e brillante rilettura di “For whom the bell tolls” (Metallica), storico pezzo metal che gli Obskuria trasformano in un tenebroso gioiellino dark-settantiano, con tanto di gelide pennellate di Hammond.
Episodio significativo, dove comincia ad affiorare la vera identità del gruppo, pienamente svelata tramite la produzione propria.
Nella diafana e notturna “I see”, nella labirintica title-track o ancora nella monumentale semi-suite “Essence of its own”, scopriamo infatti una formula heavy-psichedelica che richiama sia le moderne interpretazioni del filone che modelli free-rock ben più datati.
Sviluppi tortuosi, digressioni strumentali vaste e mutevoli, picchi di potenza alternati a rilassamenti ariosi e magnetici, quasi sempre circondati da una penombra gravida di tensione dissipata prima di sfociare nella lugubre atmosfera “doomy”. I lunghi percorsi degli Obskuria giungono talvolta ai confini della jam-song, restando però ancorati a trame riconoscibili e ad un’esecuzione piuttosto accurata. A differenza di altri lavori dello stesso tipo, questo album vanta ottimi momenti “acidi” ma non riduce i brani a semplici pretesti per torrenziali improvvisazioni fini a sé stesse. I passaggi lunari ed avvolgenti si alternano alle fasi poderose in modo nitido, senza sbavature, grazie al costante inserimento di rifiniture mutuate dal rock progressivo settantiano.
Tralasciando qualche peccato di ridondanza, retaggio del lontano passato, il risultato è complessivamente buono. In alcuni casi anche superiore alla media, vedi il travolgente crescendo di “Forbidden look”, notevole per una formazione estemporanea dal bassissimo livello di affiatamento.
Positivi anche i dettagli complementari, di tipo concettuale, testuale e grafico, che indicano negli Obskuria una profonda conoscenza della materia.
Lavoro che comunque si rivolge in particolare agli appassionati del genere, ad esempio canuti fans dei gloriosi Hawkwind o sostenitori di veri “outsiders” come The Heads, Oneida, Lord Sterling, ecc.
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