Tra il giugno 1970 ed il giugno 1974 gli
Uriah Heep pubblicarono la bellezza di sette album da studio, ed ancora oggi questo periodo è considerato l’apice compositivo e qualitativo della formazione britannica. Il presente “Wonderworld” è proprio quello che chiuse il lustro d’oro e la sua preparazione cominciò appena quattro mesi dopo l’uscita del precedente “Sweet freedom”. Si tratta di un disco che non ha mai avuto molta considerazione da parte dei critici, forse perché gli stessi musicisti lo ricordano con malcelato fastidio. Ma è un giudizio ingiusto, dovuto più alla situazione ambientale che lo ha circondato che non ad una effettiva debolezza del materiale proposto.
Per registrarlo, gli Uriah Heep si recarono agli studi Musicland di Monaco, Germania, proprietà di Giorgio Moroder, leggendario guru della primissima disco music. Ma sebbene il gruppo avesse ottenuto un successo planetario e di conseguenza una notevole agiatezza economica, le cose non andavano affatto bene. Contrasti e gelosie avevano minato il rapporto tra i due personaggi più egocentrici ed ambiziosi del quintetto: il cantante David Byron ed il tastierista Ken Hensley. La lotta interna si era poi aggravata a causa dell’alcolismo del primo e della dipendenza dalla cocaina del secondo, ed aveva in qualche modo coinvolto i colleghi ed anche il loro produttore/ manager, nonchè boss della Bronze Records, Gerry Bron, mente occulta dietro la band e grande amico di Hensley. Perciò le registrazioni si svolsero in un clima surreale, con i due “nemici” persi nei propri sballi, praticamente ingestibili, ed il resto dei compagni impegnati a recuperarli e renderli perlomeno in grado di svolgere il loro lavoro. Oltretutto “Wonderworld” è stato l’ultimo disco del bassista Gary Thain, prima della sua tragica scomparsa per overdose di eroina.
Quindi è facile comprendere perché Box e soci non abbiano mai parlato volentieri di questo capitolo discografico, pur se di fronte ad una certa insistenza lo stesso Hensley confesserà di amare varie parti di quest’opera.
In effetti, se lo ascoltiamo senza alcun pregiudizio, i momenti interessanti sono parecchi. Si comincia con la title-track, uno slow elegante nel classico stile degli Heep e con prestazione maiuscola di Byron, per continuare con l’energica “So tired” e l’orecchiabile “Something or nothing”, tutti brani che non sfigurano affatto all’interno della monumentale produzione degli inglesi. Ma non è male nemmeno “The easy road”, mentre nella blueseggiante “I won’t mind” ascoltiamo uno degli assoli più lunghi e articolati del chitarrista Mick Box, uno che ha sempre evitato i personalismi autocelebrativi.
Questo cd è una versione de-luxe, che oltre ai nove brani del disco originale propone alcuni out-takes dello stesso e le versioni live di “I won’t mind”e “So tired”, registrate per uno show alla radio poco prima di iniziare il Wonderworld tour.
Un lavoro non eccelso ma pur sempre di buona qualità, che praticamente segna il termine della prima fase di carriera degli Uriah Heep.
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