Il 1992 è stato un anno fondamentale per il death metal, anno che ha consacrato il genere dopo i dischi seminali di fine anni ’80 e inizio ‘90.
In quella temperie creativa e compositiva che ha prodotto, solo per citarne alcuni, dischi come “
Legion” dei
Deicide, “
The End Complete” degli
Obituary, “
Retribution” dei
Malevolent Creation e “
Imperial Doom” dei
Monstrosity, il 1° Gennaio del 1992 fanno il loro debutto i
Sinister e lo fanno con un disco, il presente “
Cross The Styx” che non solo non sfigura a confronto degli altri capolavori citati, ma ne è parte integrante a buon diritto, ponendosi come uno dei migliori dischi di death metal mai partoriti non solo a livello europeo ma a livello mondiale.
Sebbene debitore degli estremismi sonori di slayerana memoria, soprattutto a livello di riff, e, per certi versi, degli
Obituary, gli olandesi dimostrano che hanno mandato a memoria la lezione più estrema che aveva già visto esordire nei dischi di
Cannibal Corpse e
Suffocation.
Già dopo il breve e suggestivo intro, “
Carnificina Scelesta”, dal flavour medievale, la band si lancia in uno scriteriato assalto all’arma bianca con “
Perennial Mourning”, frutto di un rifferama indomito e inesauribile, un batterista che è un vero bastardo, quel
Aad Kloosterwaard che poi più avanti negli anni passerà al microfono, e con una prova vocale, da parte di
Mike Van Mastrigt, decisamente brutale e incisiva.
Il disco non concede tregua per tutta la durata dei suoi 40 minuti, e pur non godendo di una produzione eccelsa, ma che fa tanto vintage (perché lo è), si vota alla totale distruzione dei nostri padiglioni auricolari, con soluzioni che fanno gridare al miracolo per varietà e intensità compositiva, riuscendo a fondere in maniera pressoché perfetta velocità e brutalità.
“
Sacramental Carnage”, “
Compulsory Resignation” e la cavalcata thrashy di “
Corridors Of The Abyss” spazzano via l’ignaro ascoltatore come un uragano, e quando la band rallenta e cadenza la propria proposta, come nella title-track o in “
Doomed” è possibile rinvenire quei rallentamenti, quell’oscurità a tratti soffocante, che poi fioriranno in pieno con l’altro grande capolavoro della band, “
Hate” del 1995.
Nel disco non c’è un solo riempitivo, perché la band sembra non avere alcuna voglia di ripetersi, sfornando riff su riff, giocando coi tempi, con i momenti, addirittura con i mood, per un songwriting il cui risultato definitivo, come già detto, è vario all’ennesima potenza e che non di rado sorprende e spiazza l’ascoltatore, incapace di prevedere dove la band andrà a parare.
Uno dei pezzi migliori è “
Epoch Of Denial” che parte doom, prosegue thrash per arrivare a vette brutal death metal prima di una serie di assoli heavy intervallati da inserti di tastiera drammatici che fanno da ponte verso il brutalissimo finale.
I
Sinister, in stato di grazia, con la voglia di spaccare e la spregiudicatezza e ingenuità tipica dei vent’anni, ci regalano una vera gemma di assoluto valore. Immortali.
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