Dopo aver letteralmente consumato i vinili di "Metal Church" e "The Dark", ero rimasto spiazzato dalla notizia della separazione tra i
Metal Church e quello che fino ad allora era stato il loro carismatico cantante, il compianto (ci ha lasciati nel Maggio del 2005 a causa delle conseguenze di un incidente stradale) David Wayne. A sostituirlo, a partire dal successivo "Blessing in Disguise" (1989), l'ex Heretic Mike Howe il quale resterà in formazione per tre album, sino a "Hanging In The Balance" (1993), ed in questo stesso periodo John Marshall (ex roadie dei Metallica) aveva rimpiazzato il chitarrista e membro fondatore Kurt Vanderhoof, rimasto ad ogni modo al fianco della band come compositore.
"The Human Factor" è quindi il secondo album di questa parentesi, un ottimo album uscito nel 1991 che questa ristampa ha il "solo" merito di riproporre, tuttavia senza quei bonus che avrebbero dato maggior significato all'operazione.
Degno seguito dell'altrettanto valido "Blessing in Disguise", "The Human Factor" si apre con la titletrack ed è subito in evidenza la voce potente e squillante di Howe, supportata nel migliore dei modi dal resto del gruppo: Duke Erickson e Kirk Arrington rappresentano una sezione ritmica affiatata e devastante, mentre le chitarre di John Marshall e Craig Wells sono in grado di passare senza problemi e con ottimi risultati, dalle staffilate thrash agli intrecci e ai tocchi più melodici. Segue una "Date With Poverty" (dove sembrano riecheggiare gli Anthrax) non particolarmente esaltante, un ruolo che assumono invece le seguenti "The Final Word" (della quale non ho mai apprezzato il testo, ma con un guitarwork da spavento) e "In Mourning", in grado di assorbire flebili influenze Hard Rock ed inglobarle nelle più tipiche sonorità dei Metal Church. Non stupisce quindi l'arrivo dell'energica ballad "In Harms Way", con in gran spolvero un superbo Howe, interprete che non ha mai raccolto tutti i consensi meritati, subito pronto a mostrare poi i denti sulla thrasheggiante, ma non banale, "In Due Time". La semi-ballad "Agent Green" si rivela un episodio un po' ostico e non sempre scorrevole, prontamente riscattato da "Flee from Reality", grande esempio di uno Speed/Thrash che non si limita a pestare (ed i Metal Church lo sanno fare alla grande...), e dalla cadenzata "Betrayed", con quel passo blueseggiante e vagamente alcolico (in questo allineato alle liriche), che prepara il terreno per la terremotante "The Fight Song", che già nel titolo promette quell'assalto sonoro a base di Thrash che sarà mantenuto nel corso della canzone.
Già, i Metal Church hanno sempre combattuto, non sempre hanno vinto, eppure dopo ogni KO, hanno nuovamente trovato la forza per ripresentarsi.
Anche per questo meritano tutto il nostro rispetto.
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