Inutile nasconderlo. Sono da sempre un grande estimatore della voce di
Danny Vaughn, probabilmente così tanto da arrivare a trovarla affascinante anche nel caso in cui la scoprissi impegnata nella lettura delle previsioni del tempo.
Ok, ho ovviamente esagerato un pochino, ma ritengo veramente impareggiabile il pathos interpretativo che la contraddistingue, con quella sempre più rara duttilità timbrica che la rende perfetta sia quando vengono affrontate parabole musicali interiori, meditate, soffuse e suadenti, sia quando sono il vigore e l’energia a prendere il sopravvento.
Che si trattasse di Waysted, Tyketto, Flesh And Blood o del suo progetto solista, il fenomenale Danny ha contribuito in maniera sostanziosa ovunque ha deciso di concedere la sua inestimabile laringe, che comunque, fortunatamente, ha anche sempre trovato terreni compositivi piuttosto fertili dove far attecchire i suoi preziosi germogli emotivi.
A tale regola non sono sfuggiti neanche i From The Inside, già autori di un ottimo album di debutto nel 2004, oggi bissato da questo “Vision” (sempre sotto il patrocinio della “gloria” nazionale Frontiers), un disco che
sembra addirittura migliore del pregevole esordio, in virtù di uno spessore nella scrittura di livello superiore, capace di concorrere ad originare un fulgido esempio di come l’hard rock melodico e l’AOR possano evocare grovigli d’emozioni benefiche, tratti straordinariamente evocativi e trame incredibilmente avvincenti, almeno quando sono realizzati da musicisti così abili e da songwriter così sensibili e preparati.
Quello che stride un po’, a questo punto, è proprio l’uso di quel singolare "sembra", che sono costretto ad utilizzare perché anche la Frontiers ha purtroppo deciso di “difendere” alcuni dei suoi promo dalla pirateria avvalendosi dell’odiosa (perlomeno io la ritengo tale) pratica della “voice-over protection”. Non voglio aprire una discussione sull’efficacia o meno di tale attività, ma quello che posso affermare è che per il sottoscritto risulta praticamente impossibile esprimere un giudizio esaustivo su un prodotto musicale quando il climax emozionale dei brani è interrotto da un “freddo” annuncio che gli ricorda quello che sta ascoltando. Si tratta di una difficoltà oggettiva valida per tutti i generi e ulteriormente accentuata in questi specifici casi, dal momento che stiamo parlando di coordinate stilistiche che devono ai flussi di passionalità e alle ambientazioni immaginifiche le loro primarie fonti di sussistenza.
Detto ciò, mi sento in grado di riferirvi in modo sereno solamente dei due brani che non sono “ammorbati” dalla cosiddetta protezione, asserendo che reputo “Making waves” un pezzo assolutamente magistrale, marchiato da un crescendo dall’eccezionale stimolazione endorfinica, capace di toccare i sensi in una maniera che solo i migliori Journey sanno materializzare così bene, e che valuto la title-track come un delizioso momento di gran raffinatezza e sentimento.
Per il resto, rimane
l’impressione di un nutrito numero di splendidi frammenti di musica, prosperi nelle atmosfere e calibrati nel dinamismo, oltre alla certezza (questo si) di un eccellente gruppo di strumentisti, dal quale emerge, oltre al già incensato vocalist, la chitarra fiammeggiante e delicata dell’House Of Lords Jimi Bell.
In conclusione, dunque, tanti apprezzamenti alla Frontiers per le sue scelte artistiche, un po’ meno per quelle squisitamente “promozionali”.