In un momento storico in cui la musica rock era ancora concepita a compartimenti stagni e il termine crossover era davvero poco conosciuto, il gruppo newyorkese dei
Prong contribuì con autorevolezza a gettare le basi del metal “moderno”, coniugando contemporaneamente i linguaggi dell’heavy maggiormente radicale, dell’hardcore, dell’industrial e della new-wave britannica, in un ibrido di rara efficacia e intensità.
Dopo gli esordi indipendenti, Tommy Victor, con un passato da tecnico del suono al mitico CBGB’s, il bassista Mike Kirkland (che del leggendario locale era un addetto alla porta d’ingresso!) e l’ex Swans Ted Parsons alla batteria, approdano alla Epic e danno alle stampe “Beg to differ” (1990), un albo realmente basilare per comprendere l’evoluzione del nostro amato “metallo”.
L’anno successivo, con il bass player Troy Gregory (proveniente dai Flotsam and Jetsam) arriva “Prove you wrong”, un altro esempio assai eloquente dell’approccio artistico dei Prong, ma è con il protagonista di questa disamina, edito in origine nel 1994 ed oggi oggetto di ristampa da parte della teutonica Spv, che gli statunitensi colpiscono veramente nel “profondo”, grazie ad un suono potente, monolitico, prettamente oscuro, che appare perfetto come colonna sonora del disgregamento della società occidentale, ormai in preda ad una soverchia forma d’alienazione metropolitana.
“Cleansing” (una “pulizia” che si riferisce ad un processo di purificazione interno all’individuo, nella ricerca dell’eliminazione di tutto ciò che può ostacolare il raggiungimento di determinati obiettivi), con l’importante ingresso di Paul Raven (scomparso l’anno scorso, R.I.P.) dei Killing Joke al basso (ad ulteriore conferma di quanto significativa sia stata l’influenza dello “scherzo che uccide” per la band di Tommy Victor, che del resto non ha mai nascosto nelle interviste la sua ammirazione per Jaz Coleman!) e la produzione del mago della consolle Terry Date, è, dunque, un disco rabbioso ed inquietante, con quei riff di chitarra laceranti e la ritmica ossessiva e pulsante (“Another worldly device”, “Broken peace”, “Whose fist is this anyway?”, “No question” e “Test”, in cui s’immagina che l’esistenza umana sia solo una “prova” a cui sottoporsi per poter accedere ad una promozione spirituale), ma non si tratta di una “violenza” completamente priva di una qualsivoglia possibilità di “scampo” (“Not of this earth” e “Sublime”, sorta di personale interpretazione del concetto di “ballata”), è addirittura capace di concedersi pure qualche vaga licenza “industrial-commerciale” (“Snap your fingers, snap your neck”, in assoluto uno dei pezzi di maggiore successo del gruppo della Big Apple) e dimostra la pienezza delle qualità artistiche dei suoi autori.
Solamente in tempi relativamente recenti si è finalmente riconosciuto in maniera più sostanziale il valore “pionieristico” dei Prong, probabilmente troppo “avanti” per i loro contemporanei, e se siete dei “neofiti” e volete rendervene conto in “prima persona”, questa riedizione in “purezza” (nel senso che è sprovvista di bonus, escluse le classiche liner notes) è un mezzo perfettamente funzionale a tale scopo.
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