Che il nuovo disco dei
Trivium fosse uno di quelli che suscitano grandi attese, è fuor di dubbio. La giovane band americana fa sicuramente notizia, sia che se ne parli come degli emuli dei Metallica, sia che li si consideri la new sensation del metal d'oggigiorno. Non è certo un caso che la
Roadrunner Records si sia accaparrata da tempo i servigi dei quattro fenomeni statunitensi, i quali sicuramente, cloni o non cloni, hanno dalla loro l'invidiabile caratteristica di vendere un fottìo di copie. E così, dopo un album (
"The Crusade") in cui i nostri avevano fornito un fin troppo evidente tributo ai loro ispiratori di S. Francisco, sembrava arrivato il momento giusto per capire se era solo un gran bel fumo, o se c'era davvero un qualche tacchino sotto ad arrostire. Beh, senza tema di smentite,
"Shogun" è l'album della consacrazione definitiva dei Trivium.
Attenzione: l'affermazione che ho appena fatto non vi tragga in inganno, facendo propendere questa recensione verso un giudizio positivo a tutti i costi. Al di là della disamina tecnica del quarto lavoro dei Trivium, infatti, nessuno potrà più dire che Matt Heafy e soci fanno "i Metallica": qui il sound si personalizza in maniera definitiva e probabilmente inequivocabile, modificando soprattutto l'approccio al cantato, forse l'elemento che più lasciava intravedere l'ombra di Hetfield sulla band. Le vocals pulite, o grintose che siano, vengono infatti mescolate sapientemente ad un gran numero di screams di matrice death, che il singer Matt sciorina ad ogni piè sospinto, ricalibrando così il sound di dieci tracce che, come se ce ne fosse bisogno, si accrescono di ulteriore potenza ed impatto.
Belle le songs, con dei doverosi quanto fisiologici alti e bassi; il trademark-Trivium però, e si rassegnino i detrattori della band, è ormai inconfondibile: tutto il disco è un inno al più potente, tecnico, oscuro thrash metal ascoltabile in giro, al quale vengono innestate, sovente, aperture melodiche, specie nei ritornelli, di sicurissima presa.
E così, sebbene qualche traccia non faccia gridare al miracolo, i nostri ci forniscono 11 brani decisamente convincenti e coinvolgenti. Su tutte, a parere di chi scrive, spicca il duetto
"Throes of Perdition" / "Insurrection", rispettivamente la traccia numero 5 e 6, che si presentano sottoforma di due rasoiate thrash dal riffing superbo, costruite in maniera eccellente attorno ad un cantato cattivo e convincente. Ma, a partire dalla bella opener
"Kirisute Gomen" fino alla lunga e conclusiva
"Shogun", nel quarto lavoro dei Trivium potrete trovare davvero tanta buona musica, thrash di serie A, per capirci.
Gridiamo dunque al miracolo? No, non mi sembra il caso, ma di certo i Trivium ci hanno fornito un gran bel disco, forse il più convincente della loro promettente carriera. Well done!