Dopo l'opulenza di "
Odyssey" ed il relativo tour a supporto che decreta l'incredibile "
Live In Leningrad", il signor
Yngwie Malmsteen manda a casa tutti. E non ci sono più dubbi sulla titolarità del marchio, visto che sparisce dalla vista pure il banner
Rising Force. Non che prima vi fossero dispute verbali a tal riguardo: era chiaro a tutti, Turner o non Turner, chi tenesse saldamente in mano il timone della leadership. Nel 1990, al di là delle dichiarazioni altisonanti, tutto è nero su bianco, anzi rosso su nero, vista la scelta cromatica della copertina: il nuovo disco "
Eclipse" esce solamente a nome dell'asso svedese della chitarra. Punto e a capo.
"
Yngwie si è circondato di una band di ragazzini svedesi: una cosa terribile!", queste le parole di
Joe Lynn Turner all'indomani del "rompete le righe" generale, che coinvolge peraltro anche i fratelli
Jens ed Anders Johansson. A discapito del parere ampiamente condiviso per cui, esauritasi la breve partnership col frontman degli ultimi
Rainbow, Malmsteen non sarebbe stato in grado di comporre canzoni dallo spiccato appeal commerciale, la comune vulgata viene smentita clamorosamente dai fatti. La vena creativa del guitar hero svedese non è infatti affondata in una piscina di Beverly Hills assieme alla sua inseparabile Ferrari, costantemente messa in mostra come testimone-feticcio di un'eccellenza che non coinvolge soltanto la facciata musicale.
Come nuovo vocalist, la scelta di Yngwie ricade su
Goran Edman, ex
Madison ma soprattutto già splendido protagonista sul primo album solista di
John Norum "
Total Control", rilasciato in seguito alla sua rovinosa fuoriuscita dagli
Europe, a causa della svolta mainstream impressa da "
The Final Countdown".
Alle tastiere, al posto del talentuoso Jens Johansson, entra un altro svedese nella persona di
Mats Olausson, sicuramente più misurato e meno "esibizionista" nelle digressioni strumentali, ma probabilmente più tagliato alla preziosa dote dell'arrangiamento. "Eclipse" suona, se possibile, ancora più AOR oriented rispetto a "Odyssey", a dimostrazione che il "pensiero stupendo" di Malmsteen di impostare il proprio feedback sul pubblico americano dell'epoca, non è tramontato in seguito al doloroso split da Joe Lynn Turner.
Il primo singolo "
Making Love", ad esempio, è basata su un riff semplicissimo per le corde del Maestro, nonché su una sintassi melodica più vicina ai maggiori esponenti dell'hair metal che non al neoclassicismo rock per cui il nostro è così conosciuto. Yngwie risolve poi da par suo la situazione, con un secondo assolo micidiale per gusto estetico e partecipazione drammatica. Con "
Bedroom Eyes" si ripropone il connubio Hendrix/metal: il riff è portentoso, le parti vocali pure, e quando arriva nuovamente il bis chitarristico del "tenore" scandinavo, la temperatura diventa bollente. Se "
Save Our Love" prosegue sulla scia delle ballate struggenti, tipiche del repertorio Malmsteen, "
Motherless Child" preme sull'acceleratore elettrico in scia ai Rainbow DOC. Le brume gotiche di "
Devil In Disguise" mescolano hard rock epico e Carmina Burana, mentre "
Judas" e "
What Do You Want" scollinano in territorio Giuffria, gruppo che ha forse ottenuto un successo limitato, ma che allo stesso tempo ha ispirato la penna di molti grandi. Oltre ad Yngwie, anche
Ronnie James Dio, e non solo per la collaborazione con
Craig Goldie in "
Dream Evil". Molto deciso il passo di "
Demon Driver", particolarmente consistente la ritmica sostenuta da "
See You In Hell", sulle ali della fantasia viaggia invece "
Faultline", che non disdegna certe suggestioni dei
Magnum più heavy.
"Eclipse" non raggiunge le ineguagliabili vette qualitative di "Odyssey", ma di certo non sfigura nel paragone; e questo può già essere considerato un successo.
Riguardo ad Edman, che canterà anche nel successivo "Fire & Ice", Yngwie dichiarerà alla stampa: "
Goran è stato il mio miglior cantante da studio, ma anche il più disastroso che abbia mai avuto dal vivo".
Dopo le sue ultime uscite discografiche, lascio a voi le relative considerazioni.