Ho seguito passo passo la carriera dei
Secret Sphere, a partire dal loro debutto ("Mistress of the Shadowlight" del 1999), all'insegna di un Power Metal che la formazione alessandrina ha poi sempre affrontato con fantasia e senza mai rinunciare ad osare, mischiando spesso le carte con incursioni nel Melodic Hard Rock, nel Prog Metal e nello Speed/Thrash. Ed ora rieccoceli di fronte con il loro quinto album, questo "Sweet Blood Theory" che esce per la Dockyard1, dopo che i due precedenti album ("Scent of Human Desire", 2003 e "Heart and Anger", '05) erano usciti per la Nuclear Blast.
"Sweet Blood Theory" riprende il discorso già imboccato da "Heart and Anger", con le influenze Hard Rock meno evidenti (forse perchè canalizzate in progetti e partecipazioni parallele) ed il ritorno a soluzioni power sinfoniche. Liricamente l'album è ispirato dalla novella "The Vampire" scritta da John William Polidori nel 1814, un concept quindi, peccato solo che la copertina non sia particolarmente riuscita e che poco si addica al tema, molto meglio il contenuto musicale, con la caratteristica voce del sempre bravo Ramon Messina e la verve esecutiva degli altri musicisti, che fanno parte di una line up solida e, al di là del ruolo di batterista dove registriamo l'ingresso di Federico Pennazzato, stabile sin dagli esordi. Ed è proprio l'ultimo arrivato a spronare con la sua doppia cassa l'opener "Stranger in Black", brano che ci ripropone sin da subito i migliori Secret Sphere, con la voce di Messina e la chitarra di Aldo Lonobile in grande spolvero. Ancora alte velocità per "From a Dream to a Nightmare" e "Bring On" (dal largo impiego di cori ed orchestrazioni), con i Secret Sphere che rallentano per un attimo nel Prog Metal di classe di "The Shadows of the Room of Pleasure", prima di ripartire in quarta con la powereggiante "Welcome to the Circus". "The Butterfly Dance" è un'intensa ballad che ha il pregio di sottolineare tutta la bravura di Messina, prima che venga il momento della cinematografica titletrack, canzone complessa e dalle diverse sfumature, nella miglior tradizione dei Secret Sphere, i quali, dopo l'orecchiabile "Feed My Fire" e "All These Word" (l'episodio in cui riemerge la propensione al Melodic Rock), si ripetono su livelli d'eccellenza con la conclusiva "Vampire’s Kiss", dove lo stile dell'ingenuo (ma entusiasmante) "Mistress of the Shadowlight" riprende vita, ovviamente filtrato alla luce dell'esperienza che il gruppo ha maturato negli anni.
Grande conferma quindi per i Secret Sphere, solito esempio di solidità e coerenza.
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