Questa è probabilmente “l’impresa” più difficile in cui mi sono imbarcato da quando ormai parecchi anni fa mi è capitata l’occasione di coronare un piccolo / grande sogno: scrivere di una delle mie principali passioni, la musica.
Ardua, ma anche straordinariamente affascinante, poiché la “sfida” di tentare di delimitare attraverso la parola l’immenso universo concettuale e artistico di uno dei personaggi più carismatici, geniali ed enigmatici dell’intero panorama musicale internazionale, è una “necessità” che provavo da tempo, sebbene fosse chiaro fin da subito che la complessità dell’argomento e le innumerevoli implicazioni intellettuali ed emotive a esso legate non avrebbero consentito di sviscerare in maniera “conclusiva” e circostanziata la questione.
Poco male, in realtà, lo scopo di quest’articolo è in fondo quello di portare all’attenzione del lettore la “nuova vita” di uno dei pochi
Artisti veri che il
rock (e non solo quello …) italiano ha fornito al mondo, un’esistenza che, lontano dai “riflettori” e dal buio (solo apparentemente un ossimoro) così malsano e inebriante in cui era sprofondata, ha verosimilmente potuto dare sfogo alla componente più autentica ed emancipata della sua fremente creatività.
Insomma, “tutti” conoscono il
Paolo Catena “anglofono” e la sua storia come membro fondatore dei
Death SS (dove interpretava “
The Death”), un raro esempio di talento, pionierismo, cultura, istinto ed empietà (nonché una rilevante abilità nella gestione “mediatica” della situazione), “molti” conoscono il suo successivo percorso con il
Violet Theatre o sotto l’egida del
monicker Paul Chain (culminata con la collaborazione con
Lee Dorrian e
Wino), dove già “certe” tematiche erano state abbandonate, mentre pochi (o forse sarebbe meglio dire “troppo pochi”) probabilmente hanno seguito come merita la sua evoluzione artistica successiva, sviluppata prima sotto la denominazione
P.C. Translate e poi semplicemente utilizzando il suo “autoctono” nome di battesimo.
E allora “proviamo” a fornire qualche indicazione utile ai
rockofili più curiosi (e ricordate, è una peculiarità che non dovrebbe mai mancare a tale “categoria umana”), spigolando brevemente nella produzione discografica del nostro dal 2003 fino ai giorni nostri, evitando la pratica di una “fredda” recensione e cercando di trasmettere al lettore il senso di rara seduzione che il desiderio di nuove esperienze, di orizzonti sconfinati, di libertà e di purezza di uno straordinario polistrumentista, compositore, pittore, poeta e scultore è in grado di fornire a chi vorrà concedervisi completamente senza preclusioni.
E’ proprio questa febbrile avidità di sperimentare, capace di farlo spaziare dalla musica al teatro, dalla videoarte alla fotografia, fino all’ingegneria del suono (tutto il materiale citato in questo pezzo è stato prodotto e registrato in totale autonomia, con i marchi
Tra Bla Records e
New Light Records, etichette indipendenti di proprietà dello stesso Catena) a rappresentare la “chiave di volta” della sfaccettata personalità di Paolo, che alimenta tale bramosia con una critica visione “ecologista” (comprendente pure lo studio di tecniche di registrazione analogico-digitali a basso impatto energetico) di una società contemporanea ritenuta egoista, insensibile e violenta, votata al culto della supremazia del forte sul debole (una concezione che ha origini lontane … ricordate la dedica “
agli inermi e a chi non può difendersi” di “J. J. flash improvisation” contenuta in “In concert”?).
La musica, l’arte più in generale, libera da pastoie e da pregiudizi, intesa come manifestazione espressiva assoggettata unicamente al valore supremo dell’ispirazione, diventa dunque, il veicolo pacifico e civile di un messaggio che è al tempo stesso rifiuto del pensiero dominante e convinzione che una “via alternativa” sia ancora possibile, recuperando da un lato un approccio “primitivo” e naturale alle cose e dall’altra sfruttando le innumerevoli potenzialità della tecnologia e della
Rete per svincolarsi dalle logiche di mercato e di mero profitto economico.
Il primo
step di questo fascinoso e sfaccettato tragitto, è, come accennato, maturato sotto la testata
P.C. Translate, in cui il nostro, con lo pseudonimo
Paul Cat, affiancato dalla moglie
Lola Sprint (figura certamente essenziale nel percorso di “maturazione” e “catarsi” di Catena … insieme i due hanno anche realizzato un interessante
mini Cd dal titolo “
Mon voyage”) e da alcuni fidati collaboratori, si affida a sonorità in qualche modo ancora legate al suo passato più recente, in una “free-form” di retaggio
settantiano piuttosto avvincente e coinvolgente.
“Lo-fi Lovers”, il primo parto del progetto, contiene venti minuti di brillante sperimentazione, in cui
psichedelia,
prog,
jazz,
folk e scorie
doom si combinano in modo magmatico e imprevedibile, solcando disinvoltamente generi e stili, impreziositi da quel cantato “fonetico” così conturbante e suggestivo.
Le volute di
hard caliginoso elargite a “Jet song” e “Ringer magister”, le ambientazioni
esoterico-rurali di “All movelt 16”, che diventano più rigorose nel
blues “Babe mama blue” e nella leggiadria acustica di “Classical solution”, e poi ancora le digressioni
fusion alla Mahavishnu Orchestra di “Incomplete” e il magnetismo delle fluttuanti “The song of crazy cow”, “Dogpigs” e della liturgica “Speakers gallery”, tutto contribuisce a edificare questo clima di sospensione dal “reale” e di straniamento davvero “potente” e penetrante.
Il passo successivo di questo “viaggio” è “Collage creation”, in cui la musica elettronica, cosmica e “ambientale” inizia ad aumentare il suo “peso” nell’economia generale del sound, arrivando, in parte, a evocare lo “studio” sul tema effettuato da monumenti come
Brian Eno,
Amon Duul,
Klaus Schulze e
Can, in un cortocircuito tra “passato” e “futuro” che ammalia e irretisce.
Non mancano le elaborazioni prettamente spiraleggianti e lisergiche (a volte non lontanissime da certe cose di Uli Roth), iridescenti deformazioni
bluesy o
folk-eggianti, richiami a universi spettrali in cui sembrano convivere “inquietudine” e “meraviglia” e frammenti di pura e sinistra avanguardia, per un dedalo sonico che s’insinua sotto la pelle in maniera subdola e perentoria, costituendo una filosofia musicale trascendentale dall’enorme impatto emozionale.
Con “Electronic music (for videoart)” del 2007, la ricerca sulle pulsioni sonore di natura
ambient e sulla “cosmic music” si approfondisce ulteriormente tramite un’autentica esperienza multimediale, una materia che sarà in seguito sviscerata in maniera profonda e peculiare.
Un
Cd di tappeti elettronici minimali si accompagna a un
Dvd d’immagini visionarie e caleidoscopiche, con la fruizione contemporanea delle due fonti espressive che trascina l’astante in una sorta di allucinazione spazio-temporale dove corpi e arti si compenetrano, si destrutturano e si sdoppiano dando origine a figure aliene e incorporee, accolte dai sensi come un esercizio emotivo di tipo
Rorshach-iano, inafferrabile, misterioso e molto “impressionante”.
Gli aspetti “artigianali” che caratterizzano la realizzazione complessiva dell’opera sono anch’essi parte integrante dell’energia “primordiale” e degli stimoli all’attivazione neurotica in essa contenuti, in un processo che veicola trasporto e contemplazione e conduce alla meta cerebrale di un “non-luogo” di notevole suggestione.
Il 2009 è l’anno di “Metropolis”, realizzato a nome
Paul Cat for Ambientalism e dedicato all’omonimo capolavoro cinematografico di
Fritz Lang, manifesto degli effetti disumani dell’industrializzazione e dei profondi conflitti tra tecnologia e lavoro.
La modernità e le sue contraddizioni e, ancor più importante, il complesso tessuto simbolico (in cui s’intrecciano mito, tragedia, trasgressione, magia, esoterismo e spiritualità, ivi compresi i rischi di un suo mercimonio …) contenuto nella leggendaria pellicola del cineasta austriaco, viene trasfigurato in note attraverso un processo, per certi versi, piuttosto “affine” agli intenti del film, in un’organizzazione quasi “geometrica” dei suoni e grazie a una sorta di sottolineatura enfatica dei vari scenari musicali.
Tra
riff cavernosi e gorghi
doom (“Feedbacker voyager”, “Society film decadence”), propagati da voci
sciamanico-mesmeriche (“Funeral of the Planet Earth”) o da lunghe
jam ipnotiche ed espanse (“Mystic political jungle”, “Space lies”), trovano spazio anche istanze di lugubre e algido lirismo
new-wave (“Metropolis”), riverberi di acidità
sixties (“60’s Economic boom”), rarefazioni bucoliche (“Near nuclear explosion”), cellule cibernetiche (“Petroldollar dance”) e cupi rumorismi (“Iron and poetry”), a comporre un altro lavoro che non esito a definire “imponente”.
Esauritasi l’esperienza sotto l’appellativo
P.C. Translate (esiste invero una realizzazione “postuma” del progetto, “Inedits”, del 2013), con il passaggio al semplice nome di battesimo (e si tratta, in realtà, proprio di una sorta di “seconda nascita”),
Paolo Catena assurge a un successivo livello della sua inventiva, contaminando musica sperimentale e pittura (talvolta scultura) astratta nei “Quadrimusicali” (giunti al quinto capitolo, con il quarto da poco completato - sarà presentato il
20 settembre nell’ambito di una mostra personale dell’artista nella natia Pesaro - e il successivo previsto per il mese di dicembre), vere e proprie “istallazioni” in copia unica in gran parte sviluppate negli studi di registrazione da lui stesso appositamente creati nella spettacolare cornice di Villa Almerici, palazzo settecentesco che è anche stato dal 1987 al 2011 la sua residenza.
Si tratta di prodotti artistici fortemente evocativi, in cui elemento visivo e quello sonoro appaiono saldamente interlacciati, praticamente indivisibili l’uno dall’altro e che, come spesso accade in questi casi, suscitano sensazioni molto diverse secondo la sensibilità di chi ne fruisce.
Difficile, però, se affrontato con la “giusta” dose di libertà mentale, non percepire, nel connubio tra oscillazioni sonore oblique, mantriche e magnetostatiche (in un proteiforme e lattiginoso
crossover tra
kraut-rock,
ambient music e
dark) e le loro iridescenti controparti iconografiche, le possenti potenzialità comunicative di una disorientante “messa in scena”.
“Qualcosa” di emotivamente molto intenso, insomma, in grado di trascendere il dato squisitamente “materiale” e offrirsi come l’emanazione di un animo travagliato, caratterizzato da un “mondo interiore” intriso d’irrequietezza e brama di “vita” (dal carattere
Van Gogh-iano, se vogliamo), alla perenne ricerca “dell’altrove”, di un piano artistico-spirituale “superiore” alla banalità e a tutte quelle convenzioni che ha da sempre osteggiato (fin da quando, da bambino, a dieci anni, abbandonò il Conservatorio di Pesaro G. Rossini, ritenuto un limite e una possibile forma di strumentalizzazione del suo estro, nonostante le "pressioni" della famiglia e dell'allora direttore Marcello Abbado - fratello del famoso premio Nobel Claudio Abbado recentemente scomparso - che fu il primo a scoprire il suo talento).
Per il momento questa lunga, e spero intrigante, dissertazione termina qui, nell’attesa di ulteriori incatalogabili manifestazioni espressive e senza la pretesa, come anticipato, di aver trattato esaurientemente una personalità tanto composita, fertile e ardita … un “abisso” che ci suggerisce che forse solo chi ha conosciuto le profondità delle tenebre può poi approdare davvero a una “luce” tanto vivida e iperbolica.
L’ultimo suggello lo voglio lasciare alle parole di Ruskin, mutuate dal n° 2 del
Magazine dell’Official Fan Club di Paul Chain (dicembre ’91), a mio modo di vedere piuttosto utili a comprendere il momento musicale che stiamo attraversando: “
Non ci sono norme e campioni per la produzione di un gran lavoro d’arte … non sarebbe arte ma fabbricazione su misura”.
Ebbene, qualunque sia l’interpretazione “soggettiva” che vorrete dare alla sua opera,
Paolo Catena è certamente uno dei pochi ad essere in grado di produrre “
un gran lavoro d’arte”, sottraendosi in maniera perentoria e inconfutabile alla diffusa “prevedibilità” contemporanea.
Info:
Paolo Catena facebook