Quando il tempo è galantuomo: 10 dischi che meriterebbero di essere rivalutati [Parte 1]

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Pubblicato il:14/07/2025
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Il tempo spesso è galantuomo ed è capitato in diverse occasioni che album all’inizio aspramente criticati poi nel tempo divennero parzialmente, se non totalmente rivalutati. Vuoi un periodo d’uscita sfortunato, un giudizio aprioristico dettato dall’uscita di un componente della formazione molto amato, vuoi per un cambio di genere repentino e non ben recepito, sarà quel che sarà, ma la storia del Metal è piena di album di un certo valore, ma che per qualche motivo non furono valutati come meritarono alla loro uscita.
Nel Thrash Metal poi gli anni ’90 rimangono ancora una ferita aperta, ma ora a distanza di tempo possiamo giudicare a mente fredda determinati lavori, non trovate?
Il Grunge fu una disgrazia per il Thrash ed il Glam, verissimo, ma è altrettanto vero che molte band in quel periodo di colpo o persero l’ispirazione o cercarono di inseguire questo o quel trend in voga che però non gli apparteneva, risultando spesso poco credibili di fronte alle nuove generazioni e al tempo stesso deludendo profondamente i fans storici, portando a delle deblace spesso brucianti (vedasi act come Exodus, Anthrax o Annihilator tra i tanti), mentre in altri casi (Slayer, Voivod o Testament) certe sbandate fecero sicuramente bene, anche se non sempre nell’immediato.
Fatto questo verboso preambolo faccio una mia personale lista di dieci album di bands Thrash Metal e affini che a mio parere in questo 2025 meritano di essere riscoperti e rivalutati per quello che volevano essere.
Poi per insulti, minacce, il parlare di questi dischi o citare altri dischi che secondo voi meritano di essere riscoperti e rivalutati, ci scriviamo e leggiamo nei commenti.

Bon, detto questo, GO!

01) Slayer – “Indisputed Attitude” (1996, American Recordings)
Sapete cosa si dice del maiale in un noto detto popolare, no? Che non si butta via nulla, esatto, e questa regola credo che valga anche per la band di Tom Araya e soci. Pure gli episodi più deboli o discutibili (“World Painted Blood” o “Diabolus In Musica”) hanno una loro dignità artistica e meritano di essere ascoltati.
Ora, so che per una bella fetta di pubblico gli album di cover sono inutili, ma non sempre è così, anzi: in questo caso non solo il lavoro fatto era ottimo su tutti i fronti, ma in un certo senso pure necessario!
Parliamo di un periodo storico nel quale la parola “Punk” voleva dire Green Day, Offspring, Nofx, Pennywise, Blink-182, Rancid, Bad Religion, Lagwagon e via discorrendo, mentre il resto era quasi completamente relegato all’underground (come dimenticare il fallimento spettacolare di quel capolavoro di “The Shape Punk To Come” dei Refused del ’98?).
In un periodo storico del genere dove le forme più melodiche e sbarazzine dilagavano, il messaggio originale del Punk, con tutta la sua carica provocatoria stava svanendo. In un periodo del genere gli Slayer per protesta volevano contrastare questa piaga con un poker di cover che fece (ri)scoprire band come T.S.O.L., Verbal Abuse, The Stooges o i G.B.H. tra i tanti, in un sottile equilibrio tra “slayerizzare” quei vecchi classici del genere, ma al tempo stesso cercando di non stravolgere le versioni originali.
Missione perfettamente compiuta, cesellata dall’inedito oscuro e perverso di “Gemini” a cesellare un piccolo, grande gioiello della discografia di questo gruppo immenso.



02) Testament – “Demonic” (1997, Music for Nations)
E qua immagino che molti storceranno il naso, ma ‘sti gran cazzi: “Demonic” è un lavoro di un certo livello bistrattato ingiustamente ed è una verità che i detrattori dovranno accettare prima o poi.
Gli anni ’90 furono una girandola rocambolesca per Chuck Billy e il resto della band tra la defezione di Alex Skolnick, un “Souls of Black” azzoppato da una produzione assolutamente non all’altezza, “The Ritual” che faceva il filo al “Black Album” ed il trittico “Low/Demonic/The Gathering” che indurivano sempre più il sound, passando da un Groove Metal riuscito, ad un Death Metal sempre più cupo e feroce. Con “Demonic” abbiamo una “pietra dello scandalo”, un album minaccioso, un monolito pesante che abbraccia senza esitazione il Death Metal di scuola statunitense per ibridarlo al Groove Metal che tanto andava in quegli anni.
La produzione massiccia dà grande potenza e vigore al suono di questi Testament, con un grande risalto ai riffs portanti di chitarra che forse sono la cosa più valorizzata nel mix. Suoni tanto buoni che fanno pensare che la rimasterizzazione curata dalla Nuclear Blast negli ultimi anni fosse pressoché inutile, se non a fini pubblicitari. Ma poi con sua maestà Gene Hoglan dietro al drum kit poteva venir fuori una reale schifezza?
Quindi al bando le critiche aprioristiche e valutiamo “Demonicper quello che voleva essere e non per quello che NOI volevamo che fosse: ovvio che se un fan medio dei Testament si aspettava un disco Thrash Metal e con forti vibes anni ’80 non può fare altro che rimanere deluso, ma se si valuta questo disco per quello che è, ovvero un buon concentrato di Death Metal anche piuttosto al passo con i tempi, non può fare altro invece che strofinarsi le mani, godendo non solo di quanto detto prima, ma anche di una certa capacità di scrivere canzoni che colpiscono nel segno.



03) Sepultura – “Machine Messiah” (2017, Nuclear Blast)
La fan base del gruppo di Belo Horizonte è una di quelle che detesto di più ed è presto detto: nel 2025 ancora si parla dello split di Max Cavalera prima (e di Igor successivamente…) e dell’equazione “No Cavalera, No Sepultura”, peccato che furono proprio i Cavalera Bros ad andarsene, ma tant’è…
Gossip a parte è vero che l’era Derrick Green cominciò pure nel peggiore dei modi con dei dischi che erano delle porcherie di rara bruttezza, ma poi da “Dante XXI” (2006) in poi, pur con una certa altalena qualitativa, una nuova generazione di fans fu pronta ad accogliere le nuove idee del gruppo Brasiliano.
E proprio negli ultimi anni Andreas Kisser e soci pubblicarono una doppietta di album davvero convincenti. Il penultimo album “Machine Messiah” è un disco davvero molto vario, ricco di idee e se vogliamo pure molto rischioso: si alternano brani lunghi, quasi sperimentali e Prog (almeno nell’attitudine), ad altri più diretti e Thrashcore, in una girandola stilistica sempre molto interessante e stravagante: pezzi in your face alternati a brani dalle atmosfere cibernetiche, umori esotici, qualche piccola disgressione carioca, voci pulite, ampie parti melodiche e parti strumentali molto variegate e strutturate.
In uno strano guazzabuglio sonoro che mischia senza soluzione di continuità influenze prese da Fear Factory, Sarcofago e i Myrath, “Machine Messiah” è un inno al coraggio e alla varietà stilistica.
Un coraggio questo che premiò Kisser e soci (a proposito del chitarrista, i sui svisi di chitarra sono tutti dei piccoli gioielli melodici), riportando definitivamente i Sepultura alle luci della ribalta, capitalizzando il tutto con l’ancor più ottimo (e meno esuberante) “Quadra”, ma questa è un’altra storia.
Senza dover fare inutili (e antipatici) paragoni con quanto fatto dai Cavalera con Soufly e Cavalera Conspiracy, possiamo affermare che questi ultimi Sepultura dopo tanto (troppo!) tempo, hanno ritrovato l’ispirazione.



04) Annihilator –“Double Live Annihilation “ (2003, AFM Records)
Ma quanto bello è il Thrash Metal made in Canada? E quanto è sottovalutato rispetto al più blasonato cugino statunitense?
Vero che a dettare questo a volte ci ha pensato pure una gestione schizofrenica e disastrosa della carriera di questa o quella band e la creatura di Jeff Waters in tal senso ne è un chiaro esempio, con un numero di album mediocri o di passaggio ben superiore agli episodi realmente positivi fatti durante la carriera. Però c’è da dare atto a Waters di non aver mai mollato, nemmeno nei momenti più bui dove la carriera diventò davvero autarchica.
Oltre a questo è anche vero che purtroppo c’è il triste luogo comune che gli Annihilator abbiano azzeccato solo i primi tre album e che campino grazie a quelli, quando poi invece a ben guardare si scopre che pure un “King of the Kill” (del ’94) oltre al successo commerciale avuto a suo tempo, aveva pure il suo bel perché, come altri album disseminati qua e là nella sconfinata discografia di questo combo canadese.
Tra gli episodi indubbiamente positivi c’è l’era Comeau, durata solo due album (i buonissimi “Carnival Diablos” e “Walking the Fury” usciti tra il 2001 e il 2002) e conclusasi in maniera indubbiamente positiva con questo “Double Live Annihilation” uscito per l’AFM Records nell’ormai lontano 2003.
Oltre alla doverosa rappresentanza dei primi tre album (e comunque sì, pure il più easy listening “Set the World on Fire” ha la sua bellissima ragione d’esistere) e alla ovvia, oltre che abbondante presenza dei due parti discografici con Comeau alla voce, si pesca qualcosina dal resto della discografia e, vuoi i suoni rozzi al punto giusto e potenti, vuoi per l’ottima prestanza vocale dell’ex Overkill, abbiamo un doppio live dinamitardo, dinamico ed energico.
Un gran peccato che questa formazione dopo sia saltata a gambe all’aria, perché qui gli Annihilator stavano vivendo una seconda giovinezza dopo anni veramente bui, che tornarono subito dopo. Ma nonostante le innumerevoli difficoltà del caso, la “Jeff Water Band” è ancora qui, magari con prove in studio non esattamente memorabili, ma sempre con la scusa pronta per fare ottimi concerti in giro per il globo terracqueo.



05) Necrodeath – “Idiosincrasy” (2011, Scarlet Records)
E a proposito di una gestione non propriamente ottimale della propria carriera musicale, ecco che arrivano gli storici thrashers Necrodeath.
Vero che l’Italia è una madre severa con i propri figli, però non basta solo pubblicare degli ottimi album, ma ci vuole anche un certo savoir faire nella parte gestionale della band e spesso su questo punto casca l’asino, con una promozione spesso inadeguata e insufficiente, non solo da parte delle band, ma specialmente da parte delle label nostrane che spesso si riducono ad essere solo dei spacciatori di dischi e poco altro, dei cialtroni allo sbaraglio insomma.
Sui tempi d’oro dei Necrodeath e sui loro capolavori non credo che ci sia bisogno di aggiungere qualcosa (o almeno lo spero!), quindi concentriamoci sulla loro parte più sfigata e criticata di carriera, una fase particolarmente dinamica e pure sperimentale se vogliamo, che tra la modernità di “Ton(e)s of Hate” (2003), la melodia di “Draculea” (2007) o l’oscurità di “Phylogenesis” (2009), la band ligure si prese parecchie critiche da molti affezionati e pure la stampa specializzata spesso non fu esattamente benevola, anzi. Arriviamo quindi nell’anno del signore 2011 e al capitolo conclusivo di questa fase spericolata con lo spregiudicato “Idiosyncrasy”.
Criticato già da molti a prescindere perché si tratta di un album monotraccia di 40 minuti secchi, questi Necrodeath “intellettuali” meritavano invece ben altra considerazione perché è vero che Peso, Flegias e compagni ampliarono i loro orizzonti musicali, prendendosi anche dei grossi rischi, ma al tempo stesso riuscirono a fare questo rimanendo fedeli al loro stile.
In questo concept sull’eterna lotta tra bene e male con una forte omaggio ad un capolavoro della settima arte, si prosegue sulla scia delle ultime cose fatte, ma affinandole ulteriormente: arpeggi tetri, velocità più morigerate, ampia presenza di rocciosi mid tempos sostenuti da un riffing muscolare e corpulento, oltre alla presenza si alcuni dei migliori svisi mai scritti da Pier Gonnella, che riescono a coniugare ottimamente il virtuosismo con un certo gusto melodico.
Tutto questo ben di Dio (!) è elevato all’ennesima potenza da quella che forse è la miglior produzione mai avuta da un album dei Necrodeath.
Quindi che dire? Lasciate perdere le posizioni di principio e provate a dare una chance a questo lavoro che avrebbe meritato ben altro destino!



Per il momento ci fermiamo qui, perché con la mia solita verbosità sono andato per le lunghe e racchiudere dieci dischi in un colpo solo, sarebbe effettivamente un bel palo in culo da leggere.
Quindi in attesa che arrivi la seconda parte, scannatevi (o scannatemi) pure nei commenti, ma è probabile che la parte successiva farà ancora più discutere...
Articolo a cura di Seba Dall

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