Vedere
Bob Catley dal vivo in Italia non è proprio una cosa da tutti i giorni. Se si eccettua la comparsa quasi a sorpresa la scorsa estate sul palco del Rockin' Field, per impreziosire lo show degli Avantasia di Tobi Sammet, la grandiosa voce dei Magnum è passata dalle nostre parti solo una volta negli ultimi dieci anni. Era il maggio del 1999 al Babylonia di Biella, e in quell'occasione il singer britannico arrivò per promuovere il suo terzo disco solista, “Middle Earth”, proprio assieme ai Ten di Gary Hughes, che di quel disco (come dei due precedenti) era stato autore. Fu una serata memorabile, che ebbe il solo difetto di durare troppo poco. Oggi di acqua sotto di ponti ne è passata parecchia: Bob Catley ha pubblicato altri tre, bellissimi lavori e i Magnum sono risorti a nuova vita, azzeccando al terzo tentativo il capolavoro che non ti aspetti (sto parlando di “Prince Alice and the broken arrow, che finalmente sta per avere il suo speriamo degno successore).
Ma l'occasione di questa sera è davvero speciale: prima di partire per un esteso tour con la sua band principale, Catley ha deciso di pubblicizzare il suo ultimo disco “Immortal”, con una serie di showcase acustici. Come se già non bastasse questo a provocare euforia, arriva la notizia che il compagno scelto è Vinny Burns, storico chitarrista dei Ten, da tempo ritornato ai suoi Dare (lo split avvenne nel 2001, all'indomani del non eccelso “Far beyond the world”).
Il palco del
Motorock AS, piccolo locale tra Milano e Como che negli ultimi anni sta diventando davvero un punto di riferimento per gli appassionati di melodic hard, è una delle sedi prescelte per le due date italiane.
Arrivo sul posto ad ora tarda (non potevo certo perdermi il derby di Torino!) quando gli
Scomunica, band di supporto, sono già sul palco. Si tratta di una band nostrana del quale non avevo mai sentito parlare, ma che ha pubblicato due dischi in italiano tra il 2000 e il 2006. Questa sera sono anche loro presenti in versione acustica e quindi si presentano sul palco in due invece che in quattro come al solito. Suonano per un'ora abbondante, e ci propongono una selezione di pezzi che hanno fatto la storia del rock, rigorosamente arrangiati per due chitarre (una acustica ritmica e una elettrica solista, che però viene quasi sempre lasciata “pulita”). Il tutto funziona alla grande anche perché, suonando cose come “Give me all your love”, “Rock and Roll”, “Innuendo”, “I want it all”, “Layla”, “Riders of the storm” (ovviamente non quella degli Hammerfall!), è difficile non incontrare i gusti dei presenti. Dalla loro i due possono vantare una notevole capacità strumentale e una buona presenza scenica; nota di merito per la voce di Roberto Del Signore sorta di “Robert Plant meets Steve Perry”: davvero bravo! Vengono anche suonati due pezzi originali (entrambi dal secondo disco “La lentissima fine del mondo”), un rock cantato in italiano, certo non originale ma dotato di ottime melodie vocali. Applausi anche per due chicche quali “Can't find my way home” dei Blindfaith e “Thank you” dei Led Zeppelin, proposta in chiusura di show. Una piacevole scoperta, non c'è che dire!
E' ormai mezzanotte e mezza quando
Bob Catley e
Vinny Burns fanno finalmente il loro ingresso on stage. Sarà anche tardi, ma per una cosa così si aspetta volentieri. I due appaiono davvero su di giri (nel prosieguo dello show diverrà abbastanza chiaro che il buon Bob deve averci dato dentro parecchio con l'alcool durante la cena) e decisamente ansiosi di divertire il pubblico. Si parte con “Light up my way”, da “Immortal”, subito seguita da “Moment of truth”, dal precedente “Spirit of man”. Il pubblico, poco numeroso ma caldissimo, va immediatamente su di giri, e risponde continuamente agli incitamenti del singer a cantare e a battere le mani. Fin dalle prime battute è chiaro che la dimensione essenziale dello show non toglierà nulla alla componente rock. I brani sono volutamente lasciati scarni, asciutti, con la chitarra di Vinny Burns che, essendo unico strumento, non cerca soluzioni nuove, riletture particolari di certi passaggi, ma si limita a fornire un solido e sicuro terreno per la voce di Bob. Quest'ultimo sta al gioco, e sembra rinunciare alla epica sontuosità che da sempre lo contraddistingue. Le sue esecuzioni sono ruvide, sporche, viscerali. La sua voce è magica come sempre, ma questa volta sembra privilegiare l'aspetto fisico piuttosto che quello mentale. La sua gestualità è sempre strabiliante, unico è il modo con cui riesce a infondere vita alle storie che narra con i movimenti delle mani e delle braccia. Non si può far altro che guardarlo incantati, seppure consapevoli che le esecuzioni di questa sera, così nude e grezze, non possono avere lo stesso spessore e carisma delle originali.
La setlist si concentra sul repertorio solista di Catley: i pezzi dei Magnum sono stati lasciati fuori per scelta (come mi aveva spiegato lui stesso nell'intervista che potete leggere nell'apposita sezione) , provocando forse la delusione di molti, ma diciamo che di motivi di consolazione ce ne sono stati parecchi. La parte del leone l'hanno fatta ovviamente i brani di Gary Hughes, che Vinny conosceva già per averli suonati in studio: meravigliose soprattutto “Scream” e “The pain”, ma anche gli episodi da “Middle Earth hanno detto la loro (su tutte, una “The fellowship” davvero commovente). Spazio anche al nuovo “Immortal”, da cui però non sono state estratte le cose migliori (fatta eccezione per la title track). Sono stati rappresentati anche i due dischi precedenti, meno eclatanti dal punto di vista qualitativo ma ricchi di pregevoli episodi: “My America” è stato proprio uno di questi, ma anche “Spirit of man” ha fatto una gran bella figura, con Bob che ha mostrato di divertirsi davvero parecchio a far cantare il pubblico.
A sorpresa, è arrivato anche un pezzo dei Dare (“Abandon”) e addirittura “Sign of the cross” degli Avantasia, scelta sorprendente, se si pensa che il singer non era apparso in quella canzone! Mah, probabilmente l’avrà scoperta in occasione della data milanese, anche perché ci ha attaccato il ritornello di “Seven Angels”, esattamente come era successo all’Idroscalo quest’estate.
Il finale è affidato ancora alle cose più remote, con una splendida e toccante versione di “Fear of the dark”, che conclude l’esibizione non dopo un fugace accenno a “Madrigal”. Un’ora e mezza di concerto veramente emozionante, non eclatante dal punto di vista tecnico (dopotutto non tutti i brani proposti erano adatti ad essere suonati acustici) ma che ha senza dubbio ripagato le attese di tutti quelli che non vedevano l’ora di assistere ad una esibizione di questi due colossi dell’AOR europeo. Forse la setlist poteva essere migliore, forse qualche pezzo in più potevano anche farlo, ma l’evento in sé è stato indimenticabile, nulla da dire!
Adesso aspettiamo il nuovo disco dei Magnum e speriamo davvero di vederli finalmente in Italia. In caso contrario, preparatevi a leggere un report in terra tedesca…
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