dal nostro inviato negli Stati Uniti Andrea “Rabe” RabellinoSe c’è una parola che gli americani amano usare, dopo ovviamente l’ormai inflazionato “
fuck”, è “
huge”, che significa qualcosa di grande, enorme, immenso.
Ed ecco come è stato il concerto degli
Isis: grande, enorme, immenso.
Ma andiamo con ordine…
In un quasi del tutto esaurito
Granata Theater, erano in molti ad attendere una serata di grande musica, musica con la M maiuscola, una serata all’insegna di quella che personalmente considero la faccia più all’avanguardia e più sperimentale del metal moderno. Gli Isis infatti non si sono presentati da soli, ma a scaldare la folla ci hanno pensato due band abbastanza sconosciute in Italia, ma ben apprezzate e seguite da queste parti:
Tombs e
Pelican.
E’ questo il tipo di musica che piace da queste parti: scordatevi Metallica e altri nomi famosi. Questa è la musica che piace al “metallaro medio” americano, è questa la musica che si sente suonare in giro nei vari locali, ed è forse questa la musica che diventerà la moda nei prossimi anni.
Tocca ai
Tombs aprire le danze. Il trio di Brooklyn ci presenta cinque pezzi tiratissimi, che non lasciano prendere fiato agli oltre 500 spettatori. Le loro canzoni sono un mix di
Neurosis (la matrice Neurotica è la prima cosa che si nota), hard-core tipico della Grande Mela e grind-core tiratissimo, mescolati per dare vita ad uno spettacolo senza tanti fronzoli, ma che lasciano il pubblico a bocca aperta ed esaltato per la prova dei tre. Cinque pezzi che arrivano dritti allo stomaco senza lasciare scampo. Band promossa in pieno, che si è sicuramente meritata di fare da opener all’istituzione Isis.
Nota di merito al batterista Andrew Hernandez: un animale che picchia come un fabbro, con una tecnica esagerata. Semplicemente spettacolare.
Dopo una breve pausa, tocca ai
Pelican continuare il lavoro iniziato dai Tombs.
I quattro pennuti di Chicago offrono uno spettacolo unico, sia per la loro particolare musica, sia per il loro modo di stare sul palco: mentre i due fratellini Bryan (basso) e Larry (batteria) Herweg creano un tappeto ritmico ipnotico e tecnicamente perfetto, i due chitarristi (Laurent Schroeder-Lebec e Trevor de Brauw) si sbattono sul palco come animali, giocando con i loro strumenti e con tutti gli effetti che hanno a disposizione, andando oltre al normale concetto di “suonare bene la chitarra”…
I brani proposti sono quasi tutti estratti dalla loro bellissima ultima fatica “City of echoes”, e, rispetto a quanto fatto in studio, i pezzi sono molto più veloci, violenti e più appassionanti.
Non è facile per un gruppo che propone solamente pezzi strumentali riuscire a mantenere costante l’attenzione del pubblico, senza il diventare prolissi e noiosi, ma la loro prova è talmente perfetta e, come per i Tombs, passionale, che il pubblico risponde alla grande ad ogni riff e ad ogni cambio di tempo. Ottima prova anche la loro, e anche loro promossi a pieni voti!
Ma è tempo per il grande evento.
E’ tempo che i maestri
Isis, ci diano la prova della loro eccezionale bravura e capacità tecnica.
La band preferita dai Tool ha da poco pubblicato la loro ultima e grandissima fatica “
Wavering radiant”. Un album immenso, che dopo 2 settimane di ascolto ininterrotto, non ha ancora finito di sorprendere il sottoscritto.
Ed è proprio con la opener “
Hall of the dead” che gli Isis iniziano a suonare. Fin dalle prime note ci si rende subito conto della loro bravura e della loro professionalità: suoni perfetti, che emanano ancora più calore di quanto si possa provare ascoltandoli su disco.
Segue a ruota un altro brano estratto da “Wavering radiant”, la bellissima “
20 minutes/40 years”, che fa emozionare il pubblico ed il sottoscritto. Seguono poi “
Holy tears” e “
Dulcilinea” da “
In the absence of truth”, il loro precedente album, e tutto il pubblico, compreso il sottoscritto, rimane a bocca aperta per la perfezione con la quale gli Isis suonano, rapiti dalla loro stessa musica.
Dopo un’immersione nei brani più vecchi (“
Backlit”, “
Syndic calls” e “
In fiction” tratti dal capolavoro che dovrebbe essere insegnato nelle scuole “
Panopticon”, e “
Maritime”, “
Carry” –da pelle d’oca!!- e “
From sinking” tratti da “
Oceanic”), i nostri suonano uno dei pezzi più spettacolari (almeno per il sottoscritto) presente nel loro ultimo lavoro, vale a dire “
Threshold of transformation”, per concludere infine con “
Ghost key” e “
Stone to wake a serpent”.
Ma il pubblico ha ancora fame di Isis, i quali ritornano sul palco e propongono la bellissima “
The beginning and the end”, da “Oceanic”.
Una prestazione perfetta, e credo che debbano ancora inventare le parole per poter descrivere una cosa così grande come un live degli Isis.
In anni di concerti non mi era mai capitato di assistere ad applausi a “canzone aperta” se mi passate il termine, ed una prestazione simile la metto vicino a nomi immensi come i
Tool ed addirittura quella dei
Pink Floyd.
Aaron Turner, in una tenuta da mormone, come va adesso da queste parti, vale a dire la combo capello lungo e barbone, non sbaglia un colpo, e la sua voce è perfetta, sia sulle parti gridate, ma soprattutto sulle parti melodiche. Michael Gallagher e Bryant Clifford Meyer seguono a ruota, sostenuti dal lavoro del batterista Aaron Harris, preciso e tecnico, e che aggiunge molti passaggi non presenti su disco. Infine troviamo al basso Jeff Caxide. L’influenza di Justin Chancellor dei Tool si fa sentire, sia per il modo di suonare, sia per il modo di usare sapientemente effetti e tecnologia. Essendo bassista, aspettavo trepidante una sua dimostrazione, e di certo non sono stato deluso.
Una grande serata quindi, e ciliegina sulla torta, a luci spente, mentre si caricavano gli strumenti sul furgone (ho visto cover band in Italia, fare molto di più le rockstar) gli Isis si intrattenevano con i fans parlando del più e del meno (ed io stesso non ho potuto fare almeno di parlare un mezzora buona con loro!): io questa la chiamo una grande lezione di umiltà.
Per finire una considerazione personale sul “mondo metal” di questa parte degli Stati Uniti: non posso fare a meno di fare dei paragoni tra ciò che accade qui, e ciò che accade in Italia durante i concerti.
La cosa che più mi è saltata agli occhi è l’organizzazione e la capacità di risolvere piccoli problemi che da anni ci sono in Italia. Un esempio pratico è quello delle foto.
All’interno del locale è vietato fare foto, ma a nessuno importa. Alla biglietteria, basta scrivere il proprio indirizzo e-mail, e saranno gli organizzatori stessi del concerto a mandarvi tramite mail, e soprattutto gratuitamente, le foto della serata. Tanto semplice quanto geniale.
Un altro aspetto positivo, è il senso di sicurezza ed il rispetto all’interno del locale: nessun ubriaco, nessun pazzo presente al concerto solo per spaccare delle facce, nessuno spinge o ti guarda male.
Un altro esempio pratico: nel locale vendono la birra in bottiglia, ma nessuno vi taglierà mai la gola.
Vedendo queste cose, non potevo e non posso fare a meno di pensare a cosa potrebbe succedere in Italia con certa gente durante certe serate…
Non dico che queste cose siano meglio o peggio, sono solo semplici considerazioni fatte sulla base dell’osservazione e dell’esperienza fatti in anni di concerti.
Di certo però, una cosa manca: il calore del pubblico italico credo non sia secondo a nessuno, e di certo qui non sanno cosa voglia dire la parola “passione”.
Forse potremmo importare un po’ rispetto ed esportare un po’ di emozione.
Ne guadagneremmo entrambi...
Andrea "Rabe" Rabellino