Nel giro di pochi giorni a Roma accade un miracolo ed il Graz si schioda nuovamente dalla sua poltrona per recarsi all'
Alpheus, fortunatamente molto vicino casa, dove stasera sono di scena gli inglesi
Paradise Lost assieme agli svizzerotti
Samael, entrambi in tour per la promozione dei nuovi lavori, per la precisione rispettivamente "
Faith Divides Us - Death Unites Us" e "
Above", entrambi decisamente apprezzati sia dalla critica sia dal pubblico.
Dall'incredibile facilità di posteggio auto davanti al locale capisco immediatamente che la bolgia vista agli
Amon Amarth è solo un lontano e fastidioso ricordo: l'Alpheus si presenta pieno solo per metà presentando comunque un colpo d'occhio decente, l'aria è fresca e respirabile e ci si muove agevolmente per il locale, chiacchierando senza alcuno sforzo.
Al mio arrivo i
Samael hanno appena terminato il loro show e molti degli astanti si dichiarano più che soddisfatti; purtroppo negli anni una delle peculiarità degli show romani è andata perduta, ovvero quello di far iniziare i concerti alle 22 per farli terminare verso le 2.
Le rigide tempistiche milanesi volute dalla giunta comunale meneghina sono diventate un'abitudine anche quaggiù ed è così che, puntualissimi, i Samael sono saliti sul palco appena dopo le 21, rendendomi impossibile la loro esibizione, anche a causa della concomitante e terremotante ultima giornata dei gironi di Champion's League.
Scusandocene con i nostri lettori, passiamo agli headliners della serata: i
Paradise Lost sono forti degli ultimi 3 album, che segnano un netto ritorno al metal dopo la lunga ed inutile parentesi che li ha visti vagare tra l'elettronica ed il dark, un flop dopo l'altro che li ha portati prima all'abbandono della major EMI e dopo a quello di un pubblico sempre più distante ed insoddisfatto.
Magicamente si sono risolti tutti i problemi, anche grazie ad un songwriting pressochè immutato da parte di
Gregor Mackintosh, ed il nome dei Paradise Lost ha ripreso decisamente vigore.
Purtroppo l'assente della serata è proprio il buon Gregor che è dovuto rimpatriare a causa di problemi familiari molto gravi, per i quali tutti noi gli auguriamo le migliori fortune: a sostituirlo il non propriamente noto
Milly Evans dei
Terrorvision, che ovviamente a livello di presenza e carisma non regge il passo ma che tecnicamente non cambia nulla, anche perchè a livello esecutivo i brani dei maestri del gothic metal non è che siano dei capisaldi del progressive.
Il resto della band è lì al proprio posto e la prima sensazione che mi sale dal cuore è quella adatta al concerto; nostalgia, sensazione del tempo che fugge, struggente impossibilità di opporsi a questo triste destino: circa 15 anni sono passati da quando il piccolo Graz li vide per la prima volta all'Auditorium Flog di Firenze e purtroppo i segni incessanti degli anni fuggiti si vedono tutti.
Dei ragazzi taciturni ed anche un po' schivi si sono tramutati in dei tristi signori attempati, fisicamente poco in forma e questo non può che farci riflettere sul fatto che anche noi ad occhi altrui avremo fatto la stessa impressione.
Fortunatamente i brani sono sempre quelli, la classe anche, i suoni sono incredibilmente buoni per trovarci all'Alpheus e la risposta del pubblico è più che buona! Insomma, sono le 22.30 in punto e tutto sembra lasciar presagire ad un ottimo concerto.
Purtroppo però, in brevissimi secondi, ci accorgiamo che Mackintosh non è l'unico assente.
Nick Holmes, sebbene presente a calcare le assi del palco, è il grande flop della serata: la sua voce, così suadente, grintosa, un vero e proprio trademark del sound dei Paradise Lost, chissà dov'è rimasta, o meglio, chissà quando è rimasta, dato che si legge spesso in giro che è da tempo che Holmes non riesca più a cantare dal vivo.
Mi trovo sottopalco e l'opener "
The Rise of Denial" praticamente è una versione strumentale: tutto molto strano, dato che i volumi sembrano bilanciati ed i suoni ben equalizzati...
Attendiamo la prosecuzione della setlist, per vedere se il fonico riesce ad assestare il tutto, come accaduto per l'esibizione degli Amon Amarth, iniziata acusticamente davvero male ma sistemata poi in corso d'opera.
Purtroppo la storica "
Pity the Sadness" ed "
Erased", a mio avviso uno dei brani più deboli di un album assai poco riuscito come "
Symbol of Life" ma comunque incredibilmente apprezzato dal pubblico, confermano la sentenza: Nick Holmes è semplicemente enza voce, quasi afono oseremmo dire.
La potenza di un tempo è del tutto svanita, e viene completamente sovrastato dagli altri suoni sia nelle parti più urlate sia in quelle pulite...a volte proprio zero, sembra faccia finta, e se ai Paradise Lost togliamo le vocals...beh, una grossa fetta del loro fascino va perduta,
Dopo lo scempio perpetrato su "
I Remain", una delle mie preferite del nuovo album, "
As I Die" e soprattutto "
First Light", che presenta molte parti vocali senza che ci sia altra musica (ed anche queste inudibili sebbene ci siano solo delle tastiere campionate ad opporsi a Nick!) decido di farmi un giro del locale per vedere se la situazione fosse ovunque la medesima: fortunatamente in fondo alla sala, ben dietro il mixer, ecco che spunta la voce magica di Holmes, sempre bassissima e ben poca cosa rispetto a quella godibile su disco, ma almeno si riesce a capire qualcosa.
In questo modo riusciamo a goderci molto meglio "
Enchantment", tratta dal grande "
Draconian Times" e la nuova "
Frailty", ma ecco che arriva la doppietta "
One Second" e "
No Celebration" a far scemare il nostro entusiasmo.
"
Icon" ignorato, così come lo stupendo "
Paradise Lost" che ha segnato il ritorno al metal: nemmeno un brano da questi due album, trattati alla stregua di "
Host" e "
Believe in Nothing", due tra i dischi più brutti che la musica ricordi.
Niente "
As Horizons End", niente "
Never for the Damned", niente "
Shine" od "
Over the Madness" (già tolta dalla setlist dopo il tour di "
In Requiem"), senza andare a scomodare capolavori passati come "
Embers Fire" o "
True Belief" che nemmeno per un attimo abbiamo sperato di vedere.
Una setlist piuttosto sbilanciata che non predilige nè i vecchi lavori nè gli ultimi tre, lasciando troppo spazio a "
One Second" e "
Symbols of Life": davvero un grande spreco.
Tornando sul palco è comunque un innegabile piacere rivedere Nick Holmes con i capelli lunghi ed anche fisicamente il più in forma di tutti, sebbene la voce latiti alla grande e forse anche la simpatia, dato che il buon Nick ci sembra alquanto stizzito sul fatto che il pubblico conosca già la scaletta e chieda a gran voce i brani in ordine perfetto, ironizzando su "
the power of internet"; magari turnare un po' l'ordine dei brani darebbe un minimo di brio e curiosità in più alla serata, senza pretendere un due/tre scalette da alternare lungo il tour... vabbè, chiamiamolo humour inglese ed arriviamo ai bis, composti dalla title track "
Faith Divides Us - Death Unites Us", la celeberrima "
The Last Time" e la conclusiva ed ormai insopportabile "
Say Just Words", a nostro avviso una chiusura assai poco degna e sostituibile con uno dei pezzi da 90 della band inglese.
In ogni modo pubblico molto soddisfatto, con le prime due o tre file, composte perlopiù da ragazze, a cantare a squarciagola (loro sì) tutti i brani, sia dalla scaletta sia dalla voce di Holmes, dato che non ho sentito una protesta, un grido, un reclamo da parte del sempre spiccio e piuttosto esplicativo pubblico romano.
Beh, meglio così, ma certo da un nome da 90 del panorama metal mondiale è ben lecito attendersi molto, ma davvero molto di più.
E mentre esco dal locale la mente non può non volare a quella fredda serata fiorentina, quando mi avvicinavo all'auto con i lucciconi agli occhi ed il cuore in palpitazione..ma forse anche io non sono la stessa persona di allora.
Setlist:
The Rise Of Denial
Pity The Sadness
Erased
I Remain
As I Die
The Enemy
First Light
Enchantment
Frailty
One Second
No Celebration
Requiem
Faith Divides Us - Death Unites Us
The Last Time
Say Just Words