Mai mi sarei aspettato i Volbeat in Italia, nè tantomeno un buon seguito al loro concerto, fin già dal secondo album. Come si sa, il nostro paese arriva sempre tardi e in certi casi, se la proposta musicale fuoriesce da catalogazioni ed etichette, nemmeno "arriva". Invece, dopo un secondo album da me recensito ottimamente qui sulle pagine di EUTK.net, mi ritrovo a vedere i danesi Volbeat al Black Horse di Cermenate (CO).
Ovviamente non mi aspettavo grandi cifre a livello di affluenza, anche perchè il Black Horse non è enorme, nè tantomeno adatto a concerti di un certo calibro, a causa della pessima disposizione del palco nel locale, e dei tavoli con sedie un po' sparsi a casaccio. Ma, contrariamente alle mie sempre negative previsioni, un buon nucleo di fans, delle più disparate provenienze musicali, si è accalcato tra tavoli e transenne per assistere allo show di una delle poche band, per quanto mi riguarda, che ha saputo dire qualcosa di nuovo e particolare nell'ambito del metal negli ultimi anni.
Con la loro miscela di rock '50, cow-punk in stile Social Distortion, heavy metal e riffoni quasi thrash, i Volbeat di Michael Poulsen si presentano sul palco dopo il buon show dei VHT e tanta gente è lì proprio per loro.
Look rockabilly, con jeans '50, canotta dei The Bones e ciuffo brillantinato per Michael, vero mattatore della serata. Ampio spazio ai brani dell'ultimo "Rock The Rebel, Metal The Devil", tra cui spiccano "Mr & Mrs Ness" e l'omaggio a Johnny Cash di "Sad Man's Tongue", in cui è chiamato a ricoprire il ruolo di chitarrista acustico Martin Pagaard Wolff.
"Do you like to rock and roll? Yeaaaah me too!". Su siparietti di questo genere, con il pubblico divertito dalla musica dei Volbeat tanto quanto dal carisma di Poulsen e soci, prosegue uno show capace di atmosfere anacronistiche, nonostante la pesantezza sonora del muro di chitarre. Non mancano, ovviamente, brani che già sono dei classici, quali "Rebel Monster" o "Radio Girl".
Acustica più che ottima, buone luci, e soprattutto una prestazione maiuscola per l'intera band; trascinante, implacabile e impeccabile Jon Larsen alla batteria, ma una nota di merito va anche alla new entry Thomas Bredahl, le cui origini punk (i danesi Gob Squad) sono palesi a prima vista.
Oltre un'ora e mezza di spettacolo, che ha saputo fare la gioia degli amanti del metal più ortodosso tanto quanto dei rockers cresciuti con The Bones o Backyard Babies, dei punkster figliastri di Mike Ness, e dei più attempati amanti delle sonorità intramontabili di Johnny Cash ed Elvys Aaron Presley. Se tornano, perchè il condizionale è d'obbligo purtroppo, non fateveli scappare.