“
Sai, stasera vado a Milano a vedere gli Europe …”.
“
Chi? Gli Europe? Quelli di quella musichetta, aspetta com’era? … It’s a Final Countdoooown? Ma sono ancora vivi?”
Analogamente a quanto già rilevato a suo tempo dal collega Marando, ecco, più o meno la reazione “classica” delle persone “comuni”, quelle magari non proprio “intrippate” di musica rock, di fronte al nome della band svedese.
E questo non fa altro che ribadire quanto quel memorabile e istantaneo refrain sia considerabile una sorta di “croce” (per la credibilità artistica) e “delizia” (per il conto corrente) dell’esistenza di una delle band più importanti e preparate della scena hard-rock melodica europea.
Eh già, perché è proprio quello che sono, e chi li accusa di “poserismo”, e qui mi rivolgo invece ai tanti
metallofili un po’ superficiali, probabilmente fuorviati da un’antica immagine, farebbe bene ad ascoltarsi attentamente quanto realizzato dal gruppo prima, durante, ma soprattutto, dopo, quel celeberrimo “Conto alla rovescia finale”.
Uno che evidentemente (a volte! … ehi, scherzo!) non appare prevenuto nei giudizi è il nostro Ermo Rapetti, il quale, nonostante la comprovata “fede metallica”, non disdegna troppo nemmeno questi suoni e, dopo averlo fatto in una lontana data piemontese (a Bardonecchia!), accetta di buon grado di accompagnare il sottoscritto in questa sortita meneghina, proprio per testare nuovamente sul fronte live la
tenuta degli Europe, tornati di recente con un disco, “Last Look at Eden”, a mio modo di vedere veramente eccezionale (alla pregevole rece di Guido 'Sybelius' Zerbin che trovate su queste colonne credo manchi solo un abbondante mezzo punto!), capace di solcare trenta anni di musica rock (dai seventies ai nineties, passando per gli eighties) con una qualità e una disinvoltura davvero rare.
Ed eccoci, dunque, incuranti delle avverse condizioni meteo (nevischio!) e di un navigatore quantomeno “originale” nelle indicazioni, ad un Palalido (la data in origine era schedulata all'Alcatraz e poi spostata nel più capiente palazzetto di via Stuparich) stipato in quasi tutti i posti “utili”, pronti e ansiosi di poter assistere alla prova di una formazione che non ha avuto paura di rinnovarsi, al limite anche traendo ispirazione da formule musicali più “moderne” (da BLS ad Audioslave), con grande classe, personalità e spontaneità, senza apparire mai come un gruppo di “vecchie glorie” in cerca di un affannoso recupero del tempo perduto.
Espletate senza intoppi le questioni “burocratiche” alla cassa accrediti e dopo una breve attesa ingannata osservando la natura eterogenea del pubblico presente (come spesso accade in questi casi, si va dal rocker “vissuto” alle generazioni più giovani, compresi dei ragazzini accompagnati presumibilmente dai genitori, addirittura impegnati, come i nostri vicini di postazione, nel ripasso di una lezione di storia … e poi dicono che il rock è
disgregante e
socialmente pericoloso!) e sfidandosi ad individuare i titoli dei pezzi diffusi dall’impianto della struttura (“qualcuno” affrettatamente ha scambiato Gary Moore per gli Stratovarius, recuperando, però, immediatamente, al “piccolo” errore!), alle ore 20,00 salgono sul palco gli italiani
The Rocker. Già apprezzati al GOM del 2009, gli “
Italian Bastards” (è così che si autodefiniscono e che hanno deciso d’intitolare il loro imminente debutto) milanesi, nella mezzora di warm-up a loro disposizione offrono una significante dimostrazione di professionalità, energia e spigliatezza su di un palco, manifestando consistente efficacia in un sanguigno hard di lampante matrice AC/DC (ottima la versione di “It's a Long Way to the Top”, presentato come “
… il pezzo che ci rappresenta”, ma del resto i nostri esprimono la loro devozione anche nei Riff-Raff, una valente tribute-band degli australiani), che ha nella voce e nel carisma di Edo Arlenghi e nella chitarra affilata di Walter Cagliaro le guglie di una performance compatta e coesa.
Da segnalare “Pure Rock n’ Roll Never Lies”, “Here For Today” (se ho capito bene I titoli!) e la title-track di un esordio che potrebbe riservare parecchie soddisfazioni ai molti estimatori del genere.
Alle 21.00 si “parte” davvero, e dopo il “preludio” strumentale introduttivo, tocca alla title-track del nuovo albo aprire la serata: il brano è, con il suo sofisticato arrangiamento vagamente progressivo, uno splendido modo per informare anche i più “distratti” dell’incredibile intensità creativa
ancora posseduta da questa band.
Il gruppo è preciso e irreprensibile come sempre, ma sembra anche particolarmente “voglioso” di divertirsi e divertire, pure al di là di una smaliziata professionalità da “veterani” dei live-shows.
A quelli che accusano gli Europe di “wimpitudine”, consiglio l’ascolto di “Love is Not The Enemy”, resa ancora più dirompente dall’impatto dell’esibizione dal vivo: un grande pezzo che picchia sodo e non “fa prigionieri”.
Introdotta da un “
Ciao a tutti, it’s great to be back in Milano”, è tempo di “Superstitious”, perfetta per omaggiare un’altra delle passioni dei nostri, l’hard Whitesnake-iano in salsa pomp (stasera mescolato addirittura con il reggae … gustoso l’intermezzo di “No Woman, No Cry”) e per mettere alla prova le doti di “resistenza” di Joey Tempest, “coraggioso” nello scendere dal palco e abbandonarsi alle
intemperanze delle prime file, uscendone
sorprendentemente illeso (e la cosa si ripeterà anche nel finale di concerto, durante l’immortale anthem “Rock The Night”!).
Due parole supplementari proprio sul nostro Joakim Larsson il quale, in forma veramente strepitosa, catalizza l’attenzione con tutto il tipico repertorio di movenze Coverdale-esque e con una voce intensa, elegante, calda e vibrante, capace di interpretare sempre splendidamente il “clima” della canzone, con una duttilità che solo i grandi possiedono.
Tornando al programma della serata, è la volta dell’hard blues “Gonna Get Ready”, altro gioiellino dell’ultimo disco, seguito da una fulminante versione di “Scream of Anger”, che trasporta gli astanti al 1984 e al notevole “Wings of Tomorrow”.
“No Stone Unturned” ci riporta al presente con uno dei pezzi più belli dell’anno appena trascorso: melodramma, magniloquenza, straripante forza espressiva … c’è tutto in questa canzone che viene annunciata come “
one of the favorites” del nuovo album … è bello condividere le opinioni con chi questo capolavoro l’ha creato.
Un sonoro battimano del pubblico, stimolato dal sempre sorridente Joey, introduce la bella “Let The Good Times Rock” e la reazione partecipe viene gratificata con un “
Oggi a Milano è freddo ma tutti voi state scaldando questo posto” pronunciata in perfetto italiano dal singer svedese, il quale, imbracciata la chitarra e accompagnato dal piano di Mic Michaeli, strega la platea con una toccante versione acustica di “Prisioners in Paradise” e prosegue nell’opera di ammaliamento romantico con “Open Your Heart”, una di quelle ballate in grado di illanguidire anche il più massiccio dei “cuori metallici”.
Quasi a voler togliere dall’impaccio gli eventuali appartenenti a questa categoria qui presenti, arriva una veemente “Stormwind”, seguita dalla presentazione della band e dal momento di gloria personale di John Norum, normalmente il più schivo del gruppo che però, con la sua “Optimus” (pescata dall’omonimo lavoro solista del guitar-hero), ha l’occasione di mettersi in mostra in prima persona, a beneficio di quelli che non si fossero ancora resi conto di che razza di musicista egli sia e di quanto sia basilare il suo ruolo all’interno della band.
Grandi emozioni le riservano ancora “Seventh Sign” e “New Love in Town”, mentre la fase conclusiva del concerto è semplicemente esplosiva: prima una “Start From The Dark” talmente devastante da strappare ad Ermo un commento tanto azzeccato quanto sorprendente “
fantastica, una delle più belle canzoni del passato decennio” (il ragazzo era evidentemente sconvolto dalla mancanza in setlist della sua “amata” “Carrie”, ma come dargli torto!) e poi “Cherokee” e “Rock The Night”, emotivamente eccezionali per quell’irresistibile voglia di spaccarsi i polmoni nel tentare di riprodurle, pungolati in questa catartica (e spesso altrettanto approssimativa!) pratica da un Tempest, che, come già anticipato, rischia addirittura la sua incolumità fisica scendendo tra il pubblico al colmo dell’entusiasmo.
Tutto finito? Nossignore. C’è ancora lo spazio per i due bis, che sono la potente “The Beast” (presentata con un “
Are you ready for some heavy stuff?”) e quella famosa
musichetta evocata all’inizio di questo report, che oggi sarà anche
banalotta e
inoffensiva, ma cribbio quanto si “fa” cantare con gioia e trasporto emotivo.
Un grandissimo concerto, dunque, che si attesta fin da subito come uno dei riferimenti dell’anno all’interno della relativa classifica di merito.
Gli Europe sono stati e rimangono uno dei capisaldi del rock europeo, in grado di evolversi pur mantenendo intatta la sua ineffabile identità e un’ispirazione musicale istintiva e genuina, tutte qualità che il “test del palco” ha enfatizzato e consolidato, proprio come accade a chi si fregia di tale nomea.
Ritornando alla fantomatica domanda iniziale, sì gli Europe sono
vivi come non mai e lasciano ad altri il ruolo di inerti
sopravvissuti degli anni ’80, candidandosi come uno dei protagonisti più agguerriti del nuovo millennio.
Setlist:
1. Last Look at Eden
2. Love is Not the Enemy
3. Superstitious
4. Gonna Get ready
5. Scream of Anger
6. No Stone Unturned
7. Let the Good Times Rock
8. Prisioners in Paradise
9. Open Your Heart
10. Stormwind
11. Optimus
12. Seventh Sign
13. New Love in Town
14. Start From The Dark
15. Cherokee
16. Rock the Night
Encore:
17.The Beast
18.The Final Countdown