(25 gennaio 2010) Dropkick Murphys + Sick of it All + The Mahones

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Provincia:MI
Costo:25
Dopo quasi tre anni di assenza tornano in Italia i Dropkick Murphys, celtic punk band di Boston, ma di origini irlandesi, che ha sconvolto la musica rock & punk dell'ultimo decennio. Portati a fama mondiale grazie alla colonna sonora di "The Departed", i DKM hanno collezionato una serie di sold-out in Italia negli ultimi anni, ma sempre in posti relativamente piccoli quali il Transilvania Live. Dall'ultima volta che li ho visti live a Biella, allo stadio comunale, i Dropkick Murphys hanno pubblicato un nuovo studio album, non irresistibile se confrontato con il superlativo "Warrior's Code", di ben altro spessore artistico.
Ad accompagnarli, in questa data all'Alcatraz di Milano, i canadesi The Mahones, vecchia conoscenza del sottoscritto, e i Sick Of It All, decisamente fuori contesto, ma sempre apprezzati.

Ad aprire le danze sono proprio i The Mahones, che assieme ai Tossers di Chicago sono una delle band Pogues-style in circolazione da più tempo. Li si era potuti vedere all'opera nel 2009 all'Irlanda in Festa di Bologna, e tornano dopo nemmeno un anno, pur con una setlist estremamente ridotta. Non mancano, ovviamente, i grandi classici quali "Across The U.S.A." (quasi una citazione a "Body of An American" dei Pogues, o la finale "Drunken Lazy Bastards", così come un tuffo nella tradizione irish con l'incipit di "The Star of the County Down". Buona prova, quella dei canadesi, forse gli eredi più fedeli e sanguigni dei Pogues di Shane McGowan e Stacy Spider. Poco il tempo a disposizione, ma è già tanto che siano passati sui palchi italiani, quindi accontentiamoci.

Seguono i Sick of It All, che non vedevo on stage da oltre un decennio. Nemmeno ricordo dove li avessi visti l'ultima volta. Nel mezzo, degli album che non ho più seguito, se non solo distrattamente, e tanta banalità. Dal vivo la band di Lou e Pete Koller è una macchina da guerra, ulteriormene accentuata nella propria devastante potenza da un sound perfetto e trascinante. Esaltano i propri fans, non annoiano chi, come me, se li ritrova lì davanti senza esserne particolarmente un amante, e confezionano uno spettacolo comunque egregio, eccezion fatta per le orrende grafiche on stage.

Calano le luci, ed ecco negli speaker "The Foggy Dew", cantata da Sinead O'Connor e suonata dai Chieftains, da sempre intro ai concerti della band di Boston. L'Alcatraz è pieno all'inverosimile, fuori tanti ragazzi che non avevano comprato il biglietto e che si perderanno questo concerto. La band è rodata da anni, non riserva soprese, non incappa in alcun mezzo passo falso ed inanella, una dopo l'altra, senza soste, le canzoni che sono già entrate nella storia, così come grandi tradizionali rivisitati in chiave punk rock. "Forever", "Bastards on Parade", "Warrior's Code", "Citizen C.I.A", e poi ancora "State of Massachussets" dall'ultimo lavoro. Un tuffo nella storia della musica Irish con "The Auld Triangle", originariamente scritta da Dominic Behan (fratello del famoso Brendan Behan), e poi ancora "Fields of Athenry". Non mancano brani dagli esordi Oi! come "Worker's Song" e "Skinhead on MTBA".
Tutto perfetto, ma tutto prevedibile, anche l'invasione di palco al femminile su "Kiss me, I'm Shitfaced", seguita da quella maschile/mista sul doppio bis finale.
Nota personale: curioso vedere un Alcatraz pieno e gente qualunque, tra cui inguardabili giovani milanesi in maglioncino e camicia, cantare una canzone skin quale "Skinhead on MTBA". E meno male che non hanno suonato "Never Alone"! Ma purtroppo sappiamo bene che in Italia quasi nessuno legge i testi, in pochi capiscono l'inglese, e meno ancora sanno cosa sia davvero la cultura skin.
Sull'invasione di palco finale le cose sfuggono al controllo della security e probabilmente la band si trova costretta a tagliare un paio di pezzi e a chiudere con "Boys On The Docks".
Nel complesso, uno show praticamente perfetto, senza cali, capace di pescare da tutto il vasto repertorio della band senza deludere nessuno. Forse tutto troppo perfetto e studiato; senza emozioni particolari per chi già li conosce e li ha visti tante volte live, senza improvvisazione, senza dialogo con il pubblico. Ma non scopriamo niente di nuovo.
Di fronte ad una band del genere, comunque, non si può che togliersi il cappello, sperando però in uno studio album più coraggioso e memorabile nel futuro immediato, così come ci avevano abituati fino a pochi anni fa.
Report a cura di Lorenzo 'Txt' Testa

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