Report e foto a cura di Angelo D'AndreaLa sedicesima edizione dell’Agglutination si presenta, sulla carta, come una delle edizioni migliori di questo festival metal del Sud Italia, e da subito posso dire che le attese degli oltre 1000 presenti sono state ripagate alla grande!
Allo stesso tempo però non posso esimermi dal mandare a fare in culo (come direbbe Pino Scotto) tutti i grandissimi metal heads meridionali che continuano a lamentarsi della carenza di concerti rock e metal al Sud, della loro situazione economica (e questo in certi casi è anche comprensibile), della loro difficoltà nello spostarsi o di raggiungere certi posti (e questo lo stesso si potrebbe anche capire) e così via, quando poi spesso e volentieri gli stessi soggetti sono disposti a spendere 4 o 5 volte tanto per andare a vedere per la 50° volta i vari Iron Maiden, Metallica, Megadeth e compagnia cantante fino al nord Italia o anche all’estero, o magari a spendere 20 €. in un pub con cover band che suonano i classici delle solite band famose. In un festival del genere ci sarebbero dovute essere come minimo 2000 persone, invece come detto non si è andati poco oltre il migliaio di unità… comunque onore ovviamente ai presenti e un ringraziamento a
Gerardo Cafaro e al suo staff che da 16 anni a questa parte ci consente di vedere tali eventi a prezzi accessibili e con un’ottima organizzazione!
Adesso passiamo a parlare del concerto. Intorno alle 18 salgono sul palco i lucani
SOLISIA, autori di un pregevole heavy metal dai tratti gothic, caratterizzato dalla voce femminile di Medea che dimostra di trovarsi perfettamente a suo agio sulle assi da palcoscenico nonostante il delicato ruolo di “opener” della manifestazione.
Nel quarto d’ora a loro disposizione suonano nell’ordine “
Ordinary Fate” (pezzo che dà anche il nome al loro album), “
Vortex Of Indifference” che mi ha colpito per il suo ritornello ben strutturato con chiari richiami ai vari Nightish, Within Temptation e simili, e concludono la propria prestazione con “
Inner Will” tra gli applausi delle prime centinaia di persone accalcate sotto il palco.
A seguire tocca ai
VER SACRUM, band toscana che mischia thrash, black e death metal per una miscela esplosiva e molto aggressiva, anche se a volte devo ammettere che è un po’ difficile capire cosa stiano suonando (anche per colpa dei suoni e della mancanza di sound-check). A farla da padrone comunque è il vocalist Filippo Piermattei che si sbraccia in maniera incredibile sul palco, seguito dai musicisti che non sono da meno ed eseguono in scioltezza i pezzi estratti dal loro album “
Tyrrenica”, tra i quali segnalo “
Farewell by the lightning”, davvero ben strutturata e d’impatto e dai tratti più marcatamente black, e “
Ceremony of fire”, pezzo thrash estremo molto tirato.
Intorno alle 19 è l’ora dei torinesi
AIRBORN guidati dal cantante/chitarrista Alessio Perardi che suonano invece un classico heavy metal con accenni power metal, e come secondo brano ci regalano quello che è destinato a diventare l’inno di questa manifestazione, ossia per l’appunto “
Agglutination”, pezzo che alterna parti mid-tempos in perfetto stile Manowar/Judas Priest ad altre più sparate, tutto molto bello e il pubblico apprezza alla grande! In successione poi ci propongono “
Heavy Metal Wars”, “
The Deadliest Sin” (tratta dal loro ultimo album
Legend Of Madog) e in conclusione “
Against The World”, brano che porta il nome del primo disco della band datato 2001, sul quale si intravedono addirittura i primi accenni di pogo da parte dei presenti..!!!
Una delle caratteristiche di questo festival è sempre stata quella di dare spazio a tutti i generi del metal e dintorni, e così tocca adesso al black metal più spietato e ferale, interpretato nel migliore dei modi dai nostrani
HANDFUL OF HATE, che si autodefiniscono
portatori di odio e distruzione, e ascoltando i loro pezzi devo ammettere che mai definizione fu più azzeccata. La band proveniente dalla Toscana è autrice di un puro olocausto sonoro in stile Marduk, Immortal, primi Impaled Nazarene e così via, e il pubblico nelle prime 6-7 file inizia, già dall’iniziale “
Livid”, a dar vita ad un pogo che con il passare del tempo si fa sempre più intenso. Le successive “
You Will Bleed”, “
I Hate”, “
Reproach And Blame” e tutte le altre non fanno prigionieri. Gli stessi Handful Of Hate appaiono in stato di grazia, e si presentano tutti col classico “face painting” come da buona tradizione black. Nicola Bianchi (voce e chitarra) assieme all’altro chitarrista Deimos creano ritmiche affilate come rasoi, mentre Nicholas al basso ed Andrew White alla batteria sono impegnati a pestare come forsennati seguendo i 2 colleghi alla chitarra. Il pubblico apprezza tantissimo, al punto che quando Bianchi annuncia l’ultimo pezzo della loro performance, si leva un coro di “noooo”!
Certamente c’è da dire che i loro pezzi tendono un po’ ad essere abbastanza simili tra loro, ma l’assalto sonoro unito alla carica e all’affiatamento della band fa passare tutto in secondo piano!
Salutati con un meritato applauso gli Handful Of Hate, verso le 20:00 salgono sul palco i campani
MARSHALL, gruppo ormai attivo da un ventennio sulla scena rock-metal italiana, e qui si cambia di nuovo registro, dal momento che ci troviamo di fronte ad un progressive metal dalle tinte power, in perfetto stile Symphony X, Dream Theater, Kamelot, primi Elegy. La formazione risulta parzialmente rinnovata, infatti adesso troviamo Cosimo Darino alla voce e Riccardo Barone alle tastiere, e propongono 2 dei tre pezzi pubblicati sul recente mini-cd “
The awakening of Sekmeth”, ossia la title-track (pezzo progressive metal di circa 7 minuti e ricco di cambi d’atmosfera, con uno stupendo duello a suon di assoli tra tastiera e chitarra prima della conclusione) e la cover degli
Iron Maiden “
Only The Good Die Young”, resa in maniera molto originale grazie ad un intro a base di tastiera e con ritmiche stoppate da parte di basso, batteria e chitarra, preludio alla classica apertura di chitarra di questo splendido e sottovalutato brano della Vergine di ferro, che viene ulteriormente arricchito da altri piccoli cambiamenti sparsi durante l’esecuzione del brano da parte di Ly Holestone al basso, Joe Dardano alla chitarra e lo storico drummer Lino Mazzola alla batteria.
Gli altri pezzi suonati dai Marshall sono “
Flying into the void” e la conclusiva “
Atlantis Rise”, con un’ottima prestazione di Cosimo Darino alla voce e un finale in pompa magna a sottolineare per l’ennesima volta la preparazione musicale degli strumentisti.
Quando ormai è sera, sale sul palco
PINO SCOTTO, che attacca subito con un vecchio cavallo di battaglia “
We wanna live with rock ‘n’ roll” alla fine del quale il buon Pino ci ricorda che al Sud Italia non esiste solo I]quella merda di Gigi D’Alessio[/I], frase che ovviamente viene accolta con un boato di giubilo da parte del pubblico. Questa è la quarta, o forse addirittura la quinta volta che vedo il cantante di origini napoletane in azione, e posso dire senza tema di smentita che è la sua migliore performance in assoluto, considerando che stiamo pur sempre parlando di una persona che ha 60 anni. Inoltre sciorina tutto il meglio del suo recente repertorio televisivo, con invettive contro Emilio Fede, Berlusconi e tutti i politici italiani, Ligabue e Vasco Rossi, Maria De Filippi e i suoi programmi e così via. Tra i brani si susseguono pezzi nuovi alternati a quelli vecchi, come “
Spaces and sleeping stones” e “
On fire”, per arrivare alla massiccia “
Come Noi” dal recente “
Datevi Fuoco” e “
Morta è la città” tratta dall’ultimo “
Buona suerte”, dedicata ai giudici Falcone e Borsellino, con Steve Angarthal alla chitarra che esegue alla perfezione l’assolo suonato in studio da Kee Marcello (ex Europe).
Da sottolineare in conclusione come Pino si scagli più di una volta contro uno spettatore delle prime file reo di mostrargli in continuazione il dito medio, con l’invito da parte dello storico singer di togliersi la maglia che indossa e metterne una di Vasco Rossi!!! Il finale è affidato a “
Il grido disperato di 1000 band”, resa alla perfezione grazie agli ottimi musicisti che affiancano Pino, il quale duetta verso la fine con il pubblico sulle note del ritornello, cantando tre ripetuti “no..no..no..” a quelli che definisce ladri di rock ‘n’ roll, ossia
Maria De Filippi, Maurizio Costanzo, Piero “Peluche” e i Litfiba… ai politici italiani e al loro squallido teatrino… e infine l’ultimo NO per tutte le fighe che non ce la danno! (cit.).
Cosa dire in conclusione? Certamente è un personaggio che può fare anche discutere (io apprezzo molti dei suoi discorsi e pensieri, anche se non nego che esagera troppo con le parolacce e a volte risulta troppo populista), ma il Pino Scotto musicista è certamente tutt’altra cosa, e lo splendido concerto di stasera lo testimonia per l’ennesima volta.
Scaletta:
We wanna live with rock ‘n’ roll
Spaces and sleeping stones
Tempi Lunghi
Fighter
Diatribal Rock
On Fire
Come Noi
Morta è la città
Il grido disperato di 1000 bandSiamo così giunti alla prima delle 2 bands internazionali di stasera, i finlandesi
KORPIKLAANI, per la prima volta in concerto al Sud Italia. Partono subito con la veloce “
Vodka” che manda in visibilio i presenti che iniziano a saltare e a spingersi sia nelle prime file che anche in altre zone della platea. A seguire vengono eseguiti altri pezzi forti della band, quali “
Hunting song”, “
Journey man”, "
Korpiklaani”, “
Wooden Pints” e “
Tuli Kokko” (quest’ultima davvero fantastica, soprattutto dal vivo!) e ammetto che non mi sarei mai aspettato una tale partecipazione del pubblico che sembra sorprendere la band stessa, sia durante l’esecuzione dei pezzi che durante gli intervalli tra un brano e l’altro, dove più volte si leva il coro “Korpiklaani, Korpiklaani”!!!
Il cantante-chitarrista Jonne Järvelä dà il meglio di sé sul palco correndo spesso da una parte all’altra dello stage, ma anche il secondo chitarrista Kalle “Cane” non è da meno, e più volte i 2 improvvisano veri e propri siparietti durante le parti strumentali, in perfetto stile happy metal. Ottima come sempre la sezione ritmica di Jarkko Aaltonen al basso e Matti Johansson alla batteria. Cosa dire poi della fisarmonica di Juho Kauppinen e del violino di Jaakko "Hittavainen" Lemmetty??? Rappresentano l’essenza stessa dei Korpiklaani, e contribuiscono notevolmente anche in sede live al successo di questo gruppo così particolare.
Non mancano altri brani in lingua madre, tra cui la festosa “Juodan viina” tratta dall’ultimo album “Karkelo” e l’ormai storica e onnipresente “Pellonpekko”. Conclusione affidata alla velocissima e allegra “Happy little boozer”, dopo la quale lo stesso Jonne chiede ai fans presenti quale pezzo volessero ascoltare, e si leva quasi un plebiscito per “
Beer Beer”, per cui potete immaginare facilmente con quale brano i finnici abbiano concluso la propria perfomance, tra fiumi di birra riversati sul pubblico e tanta allegria, potenza e velocità, tutti elementi concentrati alla perfezione in questa canzone. Finale con la band che si concede agli applausi scroscianti della platea, con Janne che in seguito da solo sul palco improvvisa un mini discorso finale, augurandosi di poter ritornare appena possibile di nuovo da queste parti e salutando infine il pubblico dell’Agglutination con un affettuoso “
You are in my heart”.
Scaletta:
Vodka
Hunting Song
Korpiklaani
Cottages And Saunas
Tuli Kokko (Came The Eagle)
Pellonpekko
Journey Man
Viima
Kipumylly
Paljon On Koskessa Kiviä
Crows Bring The Spring
Juodaan Viina
Pine Woods
Wooden Pints
Happy Little Boozer
Beer BeerCi siamo. Tocca a loro. Finalmente nel sud Italia la band simbolo del death metal mondiale, gli americani
CANNIBAL CORPSE. Le prime parole che mi vengono in mente per commentare la loro prestazione sono queste:
UN MASSACRO! Un vero e proprio massacro, una severa lezione di violenza musicale è quella che ci impartisce il quintetto di Buffalo, che inizia con una triade da paura, suonata in rapida successione: “
Scalding hail”, “
Unleashing the bloodthirsty” e “
Savage butchery”.
Il sound è di una pulizia e potenza disarmante, la batteria di Paul Mazurkiewicz sembra quasi quella dello studio di registrazione, George “Corpsegrinder” Fisher appare in ottima forma, alternando come sempre il suo classico growl ad urla da paura, senza tralasciare quello che ormai è diventato il suo trademark, ossia il celeberrimo headbanging dove mette in bella mostra i suoi muscoli del collo!
Per il resto la coppia chitarristica composta dal duo Pat O'Brien – Rob Barret non smette un attimo di macinare riffs e assoli veloci e ossessivi, e poi lui, Alex Webster, dimostra (qualora ve ne fosse ancora bisogno) di essere uno dei migliori bassisti metal in circolazione: semplicemente impressionante!!!
La tracklist dei cannibali a stelle e strisce pesca accuratamente da tutta la discografia, dalle datate “
Gutted” e “
Scattered remains, splattered brains” alle più recenti ”
Make them suffer” e “
The wretched spawn”. Devo ammettere però che mi sarei aspettato una distruzione totale nelle prime file tra il pubblico, ma vuoi gli sforzi effettuati in precedenza soprattutto con Handful Of Hate e Korpiklaani, vuoi anche una (indecorosa) rissa scoppiata subito dopo la fine dell’esibizione dei finlandesi, il pubblico -seppur partecipe ed entusiasta- appare più tranquillo del previsto, al punto che lo stesso Fisher chiede ai presenti un maggiore “headbanging” con la canzone che parla di
shooting blood from your cock, ossia “
I Cum Blood”, e devo dire che il vocalist viene finalmente accontentato a dovere!! Come nota di colore, come non menzionare il gesto della sega che fa lo stesso Fisher quando annuncia questa canzone, così come un gran bel rutto nel microfono (!!!) salutato con gli applausi da parte dei fans, dopo aver appena finito di suonare, se non sbaglio, “
Staring Through the Eyes of the Dead”. Altro pezzo, e altro classico annuncio di Corpsegrinder che dedica una canzone a tutte le donne presenti nel pubblico, dove si inneggia subito a “
Fucked With A Knife”, e invece questa volta la dedica “amorosa” agli esponenti del gentil sesso è suonata sulle note della recentissima (e devastante) “
Priests Of Sodom”.
Ci avviamo verso la fine, e dopo la mostruosa “
Devoured By Vermin”, non ci poteva essere migliore conclusione che con l’accoppiata storica “
Hammer smashed face” e “
Stripped, raped and strangled” a chiudere un’ora abbondante di violenza e brutalità suonata con una perizia invidiabile. A fine concerto saluti da parte di Fisher e Webster che firmano autografi e si concedono per qualche foto con i fans davanti alle transenne. Peccato per non aver potuto ascoltare, per l’appunto, Fucked With A Knife o altri pezzi da 90 della band come Gallery Of Suicide, They Deserve To Die, A Skull Full Of Maggots, o ancora To Decompose ed Evisceration Plague (dal loro ultimo lavoro del 2009), ma quello che ci hanno proposto i 5 cannibali americani stasera basta ed avanza per rendere tutti soddisfatti nell’aver assistito ad un’autentica distruzione sonora!
Scaletta:
Scalding Hail
Unleashing The Bloodthirsty
Savage Butchery
Sentenced To Burn
The Wretched Spawn
I Will Kill You
I Cum Blood
Pounded Into Dust
Gutted
Scattered Remains, Splattered Brains
Make Them Suffer
Priests Of Sodom
Staring Through The Eyes Of Dead
Devoured By Vermin
Hammer Smashed Face
Stripped, Raped and Strangled