(04 aprile 2011) Roger Waters - 4 Aprile 2011 (Mediolanum Forum, Assago - Milano)

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Provincia:MI
Costo:Da Euro 57 a Euro 138
Live report a cura di Fabban

Uniti stiamo in piedi, divisi cadiamo”: è il messaggio laconico e pragmatico con cui Roger Waters, energico e immortale ex-Pink Floyd, chiude uno dei concerti più emozionanti a cui ho avuto il piacere di assistere. Uno spettacolo immenso, un vero e proprio “musical” riportato on-stage dopo trent'anni, una mastodontica e spettacolare macchina da 37 milioni di sterline fatta di musica, luci, colori, effetti speciali, coreografie, proiezioni di ogni tipo.
Uno show che vede il sessantasettenne rocker inglese in forte simbiosi con il pubblico (Forum di Assago sold-out in tutte le cinque date milanesi e pare che a luglio ne verranno aggiunte altre due), quello stesso pubblico che in passato lo sgomentava e che disprezzava tanto da riversare tutta la sua paranoia e la sua desolazione interiore in quello che è diventato uno dei concept più grandiosi ed intelligenti della storia della musica. Roger Waters si presenta sul palco completamente vestito di nero, in forma, padrone della situazione, delle sue emozioni e di quelle che da lì a poco avrebbe scatenato nel suo pubblico con la potenza di un tornado dell'Oklahoma.
Con lui sul palco Snowy White, G.E. Smith e Dave Kilminster alle chitarre, Robbie Wyckoff (voci), Graham Broad dietro la batteria, Jon Carin (tastiere e voci), suo figlio Harry alle tastiere e i coristi Jon Joyce, Mark, Michael e Kipp Lennon.

Il tempo di indossare il consueto impermeabile e Ray ban e di salutare gli spettatori con poche parole in italiano ricordando con un malinconico “time flies” l'ultima volta che The Wall fu proposto dal vivo a Los Angeles e lo show ha inizio con le note di “In the flesh?”. L'emozione prende forma, si solidifica, il sangue nelle vene diventa freddo. E' un delirio, un autentico delirio. Un boato accompagna uno Stuka che dal partere alto del Mediolanum Forum vola fino a schiantarsi alla destra del palco. Ho visto alcune persone con gli occhi gonfi di lacrime quando l'esplosione di quell'aereoplano veniva spazzata via dalle prime note di “Another brick in the wall pt.2”, un brano chimerico, qualcosa che forse chiunque, in un modo o nell'altro, ha ascoltato almeno una volta nella sua vita. Waters invita sul palco una ventina di ragazzini che intonano il celebre coro “We don't need no education, We dont need no thought control” e nel frattempo un gigantesco e tragicomico insegnante dagli occhi lisergici, partorito dalla mente di Gerald Scarfe, inizia a fluttuare in aria, fino a quando quei bambini riescono a cacciarlo, a mandarlo via. Quindi diversi minuti di applausi. E' arrivato il momento di un altro classico, “Mother”, brano in cui Roger Waters si accompagna con una luccicante acustica nera. Alle sue spalle un enorme muro fatto di giganteschi mattoni bianchi inizia a prendere forma, mentre vengono proiettate in sincrono le immagini in bianco e nero del giovanissimo Waters che suonava questo pezzo nell'80 a Earls Court, a Londra. E nel videowall circolare che impera alle sue spalle l'inquietante Big Brother che punta la sua lente sul pubblico, sempre più rapito. Un'altra figura volante, questa volta quella di una madre severa e arrogante, danza sul lato sinistro del palco e sui mattoni ai lati la proiezione del fondamentale excerpt tratto dal testo che recita “Mother should I trust the government?”. La risposta non tarda ad arrivare, enorme, scritta a caratteri cubitali, prima in inglese sulla destra del palco (“No fucking way”) e poi a sinistra e questa volta in italiano: “col cazzo!”.

Waters punta il dito contro i governi, con la sua musica sputa veleni contro la guerra, contro qualsiasi guerra, passata, presente e futura e chiede-riceve l'aiuto del suo pubblico, che da ogni parte del mondo gli ha inviato carte d'identità e foto di parenti morti sui campi di battaglia. Nel ringraziarli tutti proietta questi volti, decine e decine di persone scomparse, sul muro alle sue spalle. Intanto suona “The thin ice”, forse uno dei momenti più toccanti dello spettacolo: non vuole dimenticare suo padre ucciso durante lo sbarco ad Anzio, vuole che la gente non dimentichi l'11 Settembre, la gente decapitata e uccisa in Iraq, la gente rimasta sepolta sotto la metropolitana di Londra e quelli che tutt'oggi continuano a morire in Afghanistan, in Libia e in tante altre parti del mondo. Durante i dieci minuti di intervallo queste foto continueranno a moltiplicarsi.
Quello che a mio avviso è senza dubbio il momento più evocativo dello spettacolo prende vita con “Goodbye blue sky”. Il muro (innalzato mattone dopo mattone da ectoplasmici assistenti di palco rigorosamente in divisa nera che salgono e scendono con dei piccoli ascensori, protetti dal buio) ha praticamente invaso una buona metà del palco. Le immagini proiettate sono di quelle che fanno riflettere e in non poche occasioni hanno suscitato l'indignazione di alcune personalità ebraiche di un certo spessore, che hanno a mio avviso travisato alcuni concetti. Pare che alcune immagini siano state vagamente modificate ed ammorbidite al fine di evitare inutili polemiche. Le colombe volano alte e si trasformano in un preoccupante ed oscuro stormo di bombardieri dal ventre aperto. E via, iniziano a cadere giù tutta una serie di simboli del nostro tempo in 3D: stelle di David, falci e martello, croci cristiane, simboli di Mercedes e della Shell. Gli applausi suono rumorosi come le urla del silenzio.

Il muro è ormai completato e come nel film Waters si proietta nel punto di non ritorno. “Hey you” viene eseguita con la band completamente sistemata alle spalle del muro: si riesce a scorgere qualche strumentista solo attraverso i pochissimi mattoni non ancora sistemati, per il resto l'intero palco è diventato una mastodontica barriera di mattoni bianchi. Il punto di divisione tra Pink e il mondo reale. Il luogo dove si materializzano i suoi incubi attraverso le superbe e oniriche animazioni di Alan Parker che tolgono il poco fiato rimasto ad un pubblico sempre più ipnotizzato.
Roger Waters trasporta il suo pubblico all'interno della sua mente, ricolma di desolazione, pazzia, la solitudine. La solitudine e la disperazione di un'artista logorato dalla morte di suo padre, dalla disumana e annichilente educazione scolastica, dalla iperprotettività di sua madre, dal tradimento di sua moglie e dalla distruttiva vita da rocker. Ci trasporta all'interno di questa follia (metabolizzata dalla vicenda personale di Syd Barret) e inizia a intonare “Nobody home” all'interno di una nicchia ricavata nella parte sinistra del muro e adibita a camera d'albergo, con tanto di poltrona, tv accesa, abat-jour e tappeto.
Toccanti filmati di ricongiungimenti familiari vengono proiettati sul muro durante “Vera” e poi un ricordo e una citazione di Eisenhower, altro momento in cui Waters lancia un forte messaggio pacifista: “Ogni guerra provoca carestie e sofferenze ai più deboli”. E poi ancora la stupenda “Comfortably Numb” che canta da solo davanti al muro con il vocalist Robbie Wyckoff che spunta nella parte alta, una ventina di metri sopra di lui.

La parte finale del concerto vede la band tornare davanti al muro (tuttora non riesco a capire come ciò sia potuto accadere, visto che una batteria non si monta in due minuti) e il palco è invaso da minacciosi soldati in tenuta militare con bandiere con danzano in aria. Dietro di loro enormi colonne ed arazzi e al centro del palco Waters in impermeabile nero che inizia a gridare al pubblico con il suo megafono “c'è qualche paranoico tra di voi stasera a Milano?” per poi sparare addosso alla gente con un mitragliatore e lanciare la granitica “Run like hell”. Chiede ed ottiene migliaia di mani che si muovono a tempo. Il pubblico è completamente posseduto da lui e lui da quel pubblico e il delirio si placa solo per dedicare tutte le ultime energie psico-fisiche all'ascolto e alla visione di “The trial” e alle sue prodigiose animazioni. Sembrava di assistere ad un musical...

Enormi vermi rossi si materializzano sul muro e tutt'intorno alle colonne. Siamo all'epilogo. Siamo sulle note di “Waiting for the worms”. Sul muro marciano eserciti di martelli mentre Waters grida contro il pubblico con il suo megafono: “Ti piacerebbe rispedire a casa i nostri cugini di colore, amico mio?” Ennesima invettiva perfettamente contestualizzata in un clima, soprattutto qui in Italia, di forti discussioni politiche e di tensioni razziali relative agli esodi forzati a Lampedusa, qualcosa che bene fa comprendere quanto l'opera The Wall rappresenti qualcosa di assolutamente attuale, qualcosa che non muore mai e che riguarda tutti noi, in un modo o nell'altro. Un'opera che non può permettersi di invecchiare. Un'opera che non deve invecchiare mai, affinchè i nostri figli e i figli dei nostri figli possano sfruttarla come compendio, come una sorta di “istruzioni per l'uso” alla vita su questo pianeta. Poco dopo un boato, l'ultimo: il crollo del muro.

La band torna protagonista al gran completo e si raduna a centro palco per suonare “Outside the wall” in stile folk da strada (versione decisamente inedita con chitarre, banjo, tromba e fisarmonica): è l'unico momento, forse, in cui gli uomini prendono il sopravvento sulle meravigliose ed imponenti scenografie, sulle coreografie, sulle eccezionali proiezioni e sulle magie tecnologiche a supporto di questo live-show (enormi figure volanti, aereoplani, maiali giganteschi, proiettori cercapersone e quant'altro). “Outside the Wall” è una lucida e razionale presa di coscienza: Pink torna bambino, gioca tra le macerie di un muro raso al suolo. Trova una molotov e l'annusa. Capisce che quella molotov rappresenta il male e ne rovescia il contenuto in terra. Riprende quindi in mano la sua vita, cercando magari di migliorarla. Passerella finale dell'intera band che Waters presenta membro per membro. I suoi musicisti sfilano davanti a lui e guadagnano la via del backstage, tra applausi a scena aperta. Su ciò che resta del muro le ultime proiezioni di alcuni bambini che salutano e sul video-wall centrale circolare una bambina libera in aria il suo palloncino. Tutt'intorno mattoni distrutti... e ciò che resta di quel muro.

Live report a cura di Fabban

SETLIST

01. In the Flesh?
02. The Thin Ice
03. Another Brick in the Wall Part 2
04. The Happiest Days of Our Lives
05. Another Brick in the Wall Part 1
06. Mother
07. Goodbye Blue Sky
08. Empty Spaces
09. What Shall We Do Now?
10. Young Lust
11. One of My Turns
12. Don't Leave Me Now
13. Another Brick in the Wall Part 3
14. The Last Few Bricks
15. Goodbye Cruel World
16. Hey You
17. Is There Anybody Out There?
18. Nobody Home
19. Vera
20. Bring the Boys Back Home
21. Comfortably Numb
22. The Show Must Go On
23. In the Flesh
24. Run Like Hell
25. Waiting for the Worms
26. Stop
27. The Trial
28. Outside the Wall






Report a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 21 apr 2011 alle 00:49

pagliacciata..che patetico.

Inserito il 15 apr 2011 alle 15:09

che metallarini sensibili! zzz

Inserito il 13 apr 2011 alle 13:02

C'ero. Ho pianto come un bambino dall'attacco di In the flesh in avanti. Esperienza pazzesca.