Idols Are DeadMi duole dover ammettere di essere arrivato quando la loro esibizione era già finita. Chiedo venia.
Massimiliano "MaxOwaR" Barbieri NecrodeathIl classico suono di un carillon apre l'esibizione dei Necrodeath, per questa occasione con due chitarristi. Infatti Pier Gonnella si unisce alla formazione per dar manforte alle sei corde del nuovo arrivato Maxx. Il compito di aprire le danze spetta a
The Flag. Il gruppo pare sin da subito in forma smagliante, con una base musicale ineccepibile e con Flegias che riversa sul pubblico i suoi vocals corrosivi. Il gruppo spazia molto proponendo canzoni praticamente da tutti i loro album,
Mater Tenebrarum,
The Creature,
Necrosadist o ancora
Forever Slaves... il risultato con cambia. I riff granitici e trasudanti oscurità si susseguono veloci, Peso dietro le pelli scatena l'inferno e il pubblico reagisce più che bene. A mio avviso però una prestazione cosi convincente meritava chiusura più degna di
Smell Of Blood, canzone tratta dall'ultimo album e con un certo fascino si, ma che sicuramente non regge il confronto con le canzoni precedenti. Il giudizio finale è comunque più che positivo.
Massimiliano "MaxOwaR" BarbieriNovembreProbabilmente le due e mezza di pomeriggio non sono l'orario ideale per un gruppo come i Novembre, essendo la loro musica molto fondata su atmosfere malinconiche ed emozionanti. Ma risulta comunque un grandissimo piacere poter rivedere i cinque capitolini. Meglio a quest'ora che non vederli per niente. Personalmente ero curioso di vederli anche solo per, finalmente, farmi un'idea definitiva sulla loro tenuta live. Le due precedenti volte che ho avuto occasione di vederli ero rimasto un pochino con l'amaro in bocca, avendo l'impressione che dal vivo il gruppo non fosse in grado di rendere la raffinatezza che hanno le loro canzoni su album: con un Carmelo Orlando tentennante sul canto pulito e la batteria di Giuseppe Orlando pallida copia del dinamismo in studio.
Fortunatamente ci pensano proprio i fratelli Orlando a farmi ricredere e convincermi finalmente di averli visti in due giornate storte. Sin dall'opener
Aenemia il gruppo risulta incredibilmente convincente. e anche la solita leggera incertezza nelle clean vocals di Carmelo non inficia la bontà dell'esecuzione. Si continua con un'altra canzone tratta da The Blue,
Tristeitaliana per poi arrivare al primo dei tanti salti nel passato che ci regala il gruppo: la bellissima
Cold Blue Steel da Classica. Dallo stesso album, dopo un ritorno alla produzione più recente con
Bluecracy, viene poi proposta anche la toccante
Nostalgia Platz, vera e propria perla di emozione. Segue un altro classico del gruppo romano,
Come Pierrot in cui viene inserito un piccolo pezzo di
Everasia (quello centrale in italiano: "Ma alla fine delle righe..."). A questo proposito continuo a chiedermi perchè il gruppo non la faccia mai intera essendo una delle canzoni più belle mai composte dai Novembre. Ma è ora di una graditissima sorpresa: la riproposizione dopo tanto tempo in sede live dell'energica
Love Story per la gioia dei fan di vecchia data. La conclusione di questo bel concerto è affidata infine a
Child Of The Twilight, giusto per non farsi mancare niente.
C'è poco da dire, nonostante l'orario e i suoni non perfetti e, ancora, nonostante alcune leggere sbavature nell'esecuzione, i Novembre hanno offerto una prestazione della quale non ci si può certo lamentare. Tutto grazie a una scaletta praticamente perfetta, in grado di proporre il meglio del passato recente dei capitolini senza però dimenticare i grandi classici che li rendono una band per la quale si può andare fieri di essere italiani.
Massimiliano "MaxOwaR" BarbieriPain Of SalvationPer i Pain Of Salvation si potrebbe ripetere lo stesso discorso fatto per i Novembre riguardo all'orario rapportato alla proposta, e forse si potrebbe anche aggiungere che è un peccato che Daniel & co. abbiano a disposizione solamente 45 minuti di tempo, pur con la certezza che, conoscendo l'eclettico gruppo, saranno indimenticabili. E cosi è sin dall'inizio, il gruppo si presenta sul palco e resta immobile, con gli occhi chiusi. Sull'atmosfera soffusa creata dalla testiera si posa solitaria la chitarra di Daniel: è
Falling, un intro che non solo è emozione pura ma lascia anche intendere quale sarà il vero inizio (da infarto) del concerto, cioè i dieci minuti di
The Perfect Element. E siccome emozione chiama emozione senza neanche avere il tempo di riprendersi parte
Ashes. Già dopo queste due canzoni si può dire tranquillamente che il gruppo è sempre lo stesso, precisione chirurgica nell'esecuzione e grande presenza scenica, nonostante l'ambito forse un po' atipico per il quintetto svedese e il recente cambio di batterista. A tal proposito il neoacquisto francese Leo Margarit svolge un lavoro eccellente dietro le pelli e non fa assolutamente rimpiangere Johan Langell. Dopo il pathos delle prime due canzoni l'atmosfera cambia con la spensieratezza di
America per poi tornare su lidi più oscuri con
Nightmist. Il gruppo non perde un colpo e intrattiene il pubblico anche con scenette tra una canzone e l'altra. Ma è il momento che, personalmente, aspettavo con ansia: Daniel pronuncia le fatidiche parole: "Do you want to dance?"; e i (relativamente pochi) presenti che conoscono la band capiscono subito quale canzone seguirà. La tanto discussa e tamarrissima
Disco Queen. Bellissimo è stato vedere una buona parte del pubblico che, dapprima stupita, inizia a ballare. Ma purtroppo il tempo è tiranno e siamo già giunti all'ultima canzone. La scelta, prevedibilmente, ricade su
Inside, in cui Daniel fa valere tutto il suo carisma con un'interpretazione maiuscola sia dal punto di vista scenico che canoro.
Volge cosi al termine la performance di uno dei gruppi più atipici della scena metal. Una performance senza sbavature, corta ma di qualità, fondata su una evidente superiorità tecnica e una genialità fuori dal comune, il cui unico difetto potrebbe essere quello di non aver messo in scaletta neanche una canzone dal capolavoro che risponde al nome di Remedy Lane. Ma con il tempo a disposizione davvero non si poteva fare di più, peccato perchè una Rope Ends ad esempio, in quest'ambito ci sarebbe stata più che bene. Non resta che aspettare che tornino per un tour da headliner.
Setlist
Falling/The Perfect Element
Ashes
America
Nightmist
Disco Queen
Spirit Of The Land/InsideMassimiliano "MaxOwaR" BarbieriDeath AngelDa quando i Death Angel si sono ufficialmente riuniti, nel 2001, questi cinque agguerriti musicisti hanno conosciuto una seconda giovinezza. Autori di show straordinariamente intensi, non hanno mai mancato di elogiare l’Italia e i fans italiani, passando nel nostro Paese spesso e volentieri ed offrendo sempre prestazioni di prima categoria.
L’esibizione di quest’oggi non fa eccezione e vede la band partire in quarta con una tellurica
Lord Of Hate, tratta dall’ultimo album Killing Season: fin dalle prime note si intuisce lo stato di forma di Mark Osegueda e soci, veramente indiavolati sul palco e adorati da gran parte del pubblico. Se si parla di energia dal vivo, non si può non pensare ai Death Angel e ai loro concerti, basterebbe ascoltare il volume e la potenza inauditi della batteria di Andy Galeon per rendersene conto! La band inanella, nei tre quarti d’ora a sua disposizione, una serie di brani recenti e non, andando anche a ripescare
Voracious Souls dal debutto The Ultra Violence e raggiungendo l’apice con una stupenda e trascinante
Thicker Than Blood, da “The Art Of Dying”. Chiude la rabbiosa
Thrown To The Wolves, fra gli applausi meritati di tutti i thrashers presenti, che di sicuro non saranno rimasti delusi dai Death Angel. Rabbia, energia positiva e tanto sudore: così dovrebbe essere ogni concerto di heavy metal che si rispetti!
Michele "Freeagle" MarandoGamma RaySe c’è un gruppo che non ha più bisogno di presentazioni, questi sono i Gamma Ray: unica band power metal presente quest’oggi, il quartetto tedesco, guidato dall’inossidabile Kai Hansen, sfodera una prestazione di altissimo livello.
Preceduti dalla consueta intro, Hansen e compagni si lanciano in
Into The Storm, canzone più che mai adatta a fare da apertura, a cui segue la classica e melodica
Heaven Can Wait: un brano dall’ultimo disco e uno dal primo, praticamente un riassunto della quasi ventennale carriera del Raggio Gamma in pochi minuti!
Davanti ad un pubblico ben più vasto rispetto alla giornata precedente, la band si dimostra in perfetta forma, eseguendo con scioltezza e apparente facilità un pugno di brani potenti e ben accolti dalla gente. Anche pezzi tutto sommato scontati, come la recente
Real World o
No World Order, acquistano una brillantezza che su disco non traspare immediatamente. Equivale un po’ a dire che la vera dimensione dei Gamma Ray è su un palco e che gli album in studio sono fondamentalmente un pretesto per andare in tour! D’altro canto, con una line-up ormai stabile da 11 anni, ogni concerto non può che essere un successo. Con la chitarra, Kai Hansen è da sempre un maestro nel suo genere, ma è anche riuscito, con gli anni, a migliorare di parecchio la sua voce, mentre Henjo Richter e la sezione ritmica formata da Dirk Schlächter e Dan Zimmermann, sono sempre e comunque una garanzia. Da segnalare la presenza di un tastierista italiano, Alessio Gori dei Flashback Of Anger, a supportare il gruppo durante i festival estivi.
Tornando allo show, bisogna dire che la band non si è certo fatta pregare per provocare qualche sussulto ai presenti, proponendo canzoni immortali dell’era Helloween come
I Want Out e
Ride The Sky, alternate a capolavori come
Somewhere Out In Space e
Rebellion In Dreamland. Non manca nemmeno
Heavy Metal Universe, diventata un punto fermo delle esibizioni dei Gamma Ray e ottima per far cantare il pubblico. La chiusura spetta a
Send Me A Sign, ormai un classico, come dimostra il boato che ne accompagna le prime note. Insomma, è stato un gran concerto e senza tanti giri di parole, posso dire con certezza che vedere i Gamma Ray dal vivo è sempre un piacere.
Setlist
Into The Storm
Heaven Can Wait
I Want Out
Fight
New World Order
Real World
Rebellion In Dreamland
Heavy Metal Universe
Ride The Sky
Somewhere Out In Space
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Valley Of The Kings
Send Me A SignMichele "Freeagle" MarandoOpethForti di un bellissimo Watershed appena uscito, gli Opeth si presentano per la prima volta in Italia con Fredrik Åkesson alla seconda chitarra al posto dello storico Peter Lindgren. L’ex Arch Enemy ha già ampiamente dimostrato quanto vale in studio ed ha l’occasione di non dimostrarsi da meno in sede live. Alla fine basterà il pezzo d’apertura per rendersi conto del reale talento del chitarrista: la bellissima
Demon Of The Fall tratta da My Arms, Your Hearse nella quale dà addirittura l’impressione di trovarsi più a suo agio del suo illustre predecessore. Purtroppo per i fan di vecchia data – me incluso – quella sarà l’unica canzone dei primi album inserita in scaletta. Già con la seconda canzone ci si ritrova nel periodo recente della band con
The Baying Of The Hounds. Il gruppo di Stoccolma è tutto qui, nessuna trovata scenica a parte un logico trasporto nel suonare, è la musica a parlare per loro, sono le loro atmosfere, a volte toccanti, a volte annichilenti dalla tanta violenza. E a favorirli c’è anche il crepuscolo milanese con i suoi colori cangianti a mo’ di cornice. Ma gli Opeth sono anche gli show quasi cabarettistici che Mikael offre tra una canzone e l’altra. In quest’ambito si colloca la magnifica frase con cui viene annunciata la canzone successiva:
“If you don’t recognize this song you are not fans, fuck you!” (“se non riconoscete questa canzone non siete nostri fan, fanculo!”) che strappa parecchie risate al pubblico. La canzone in questione è
Master’s Apprentice, un pugno in faccia niente male tratto da Deliverance. Più passa il tempo più, come del buon vino, la band migliora dal punto di vista esecutivo. Ma è giunto il momento della canzone lenta e la scelta ricade a sorpresa su
To Rid The Disease che gode anch’essa di una presentazione comica in cui il pubblico viene descritto come composto da fan di Eros Ramazzotti. Si torna in seguito a Deliverance con
Wreath per giungere alla prima canzone estratta dall’ultimo album: la cadenzata, maligna e travolgente
Heir Apparent. Devastante e oltremodo cattiva, risulterà forse la canzone con maggiore resa proposta in questo concerto. Ma purtroppo si sa, i concerti degli Opeth non contano mai molte canzoni vista la lunghezza delle stesse, ed è già il momento dell’ultima canzone. La scelta ricade sulla splendida
The Drapery Falls da Blackwater Park. Il cielo plumbeo inizia ad essere lacerato dai fulmini creando un’atmosfera unica che rende altrettanto unico questo momento. Un bel modo per la band di congedarsi dopo un concerto in cui si può eccepire sulla setlist, oggettivamente non una delle migliori che abbia proposto il gruppo, ma non sull’esecuzione e la tenuta dei cinque svedesi. E dopo di loro, la tempesta…
Setlist
Demon Of The Fall
The Baying Of The Hounds
Master's Apprentices
To Rid The Disease
Wreath
Heir Apparent
The Drapery FallsMassimiliano "MaxOwaR" BarbieriIn FlamesSi sa, è una legge basilare, l'acqua spegne le fiamme ed è proprio quello che è successo dopo la fine del concerto degli Opeth. I lampi che lasciavano presagire un bel temporalone si trasformano in palpabile realtà idrica, dapprima con poche gocce, alle quali il pubblico non reagisce, fino a diventare una pioggia torrenziale che convince la maggiorparte dei presenti a cercare riparo nei vari stand e tendoni presenti. Sono dieci minuti, massimo un quarto d'ora, in cui viene giù di tutto, pezzi di ghiaccio grandi come noci inclusi. Passata la tempesta l'Idroscalo non è più lo stesso, il campo si è trasformato in un unico grande laghetto, a molti stand è saltata la luce ma i presenti non si scoraggiano e tornano in formazione davanti al palco per vedere gli In Flames. D'altronde, facendo una stima spannometrica, si potrebbe dire che almeno un terzo degli astanti era qui solo per loro. Lo staff incomincia sin da subito a lavorare alacremente per asciugare il palco, gli strumenti e controllare che tutto funzioni perfettamente. Ma purtroppo, nulla da fare... e dopo tre quarti d'ora di lavoro incessante sono costretti ad alzare bandiera bianca. L'annuncio (in inglese) lo dà il tour manager della band svedese dicendo che
"acqua ed elettricità non vanno d'accordo", che sarebbe pericoloso per la band esibirsi, e un membro dello staff (italiano) ci informa che il mixer è saltato ed è fuori uso e che di conseguenza non c'è modo di fare avvenire lo show. E cosi il concerto degli In Flames potrebbe essere descritto come "ottima presenza scenica della grandine e dei mocio vileda". Scherzi a parte, la reazione del pubblico è comprensibilmente delusione e rabbia. Partono i fischi e dopo poco anche le bottiglie, tanto per ribadire per l'ennesima volta che gli italiani sono incivili: guai a fare un qualcosa che ci faccia perdere questa nomea! Capisco la delusione di chi si è fatto centinaia di chilometri solo per vedere gli In Flames, solo che in questo caso la colpa non è di nessuno. Fermo restando che erano una minoranza, se i bottigliatori avessero avuto del cervello non sarebbero stati tali proprio perchè la colpa non è di nessuno. I credenti potevano prendersela con Dio, gli altri con il caso o consolarsi pensando che le Leggi di Murphy non perdonano, ma non esisteva davvero un solo, minuscolo, valido motivo per prendersela con gli organizzatori o con lo staff, essendo stato l'evento temporalesco di una violenza inaudita ed essendosi lo staff dato da fare al massimo per cercare di salvare il salvabile.
Certo, non si può scrivere un report normale per gli In Flames, ma si può comunque sottolineare e censurare una certa mancanza di classe del gruppo, che non si è nemmeno fatto vedere. Cosa gli costava uscire per un saluto, lanciare due plettri e un paio di bacchette a quel pubblico che era lì per loro? Misteri, evidentemente era troppo sforzo, suonare non potevano, ma nulla gli impediva di parzialmente "ripagare" i fan scendendo ad abbracciarli, scambiare quattro chiacchere o quant'altro. Forse gli In Flames dovrebbero imparare in questo senso dai conterranei Dark Tranquillity e Pain Of Salvation, sempre disponibili e caldi nei confronti dei propri fan.
Massimiliano "MaxOwaR" BarbieriCONSIDERAZIONI FINALIPersonalmente ho sempre nutrito una certa ammirazione per questo festival, in grado di unire un’ottima organizzazione ad una scelta ragionata della bill, improntata più sulla qualità dei gruppi che sul loro potenziale commerciale. Questa quarta edizione del festival è stata caratterizzata da molte luci e poche ombre… ombre che purtroppo però si sono rivelate molto grandi e, pur non essendo praticamente imputabili all’organizzazione stessa, hanno in parte oscurato quanto di buono questa edizione dell’Evolution ha offerto.
Incominciamo dunque dai
lati negativi. Primo su tutti: salta all’occhio l’
affluenza misera (si vocifera di 1800 presenti venerdì e 3500 sabato). Risultato solo in parte imputabile all’organizzazione e alla sua scelta, non felice a dire il vero, di far tenere la prima giornata (la più debole dal punto di vista della bill) di venerdì. Eppure non c’era un singolo anello debole nei due giorni, non un gruppo che non valesse la pena di essere visto. Probabilmente sono l’unico a pensarlo, ma la bill era davvero ottima, a partire dalla brillante idea di far aprire ognuno dei due giorni a tre band nostrane, tutte dotate di classe cristallina per arrivare, passando da ogni sfumatura della musica che tanto amiamo, a gruppi affermati ma non ancora nell’olimpo metallico nell’immaginario del becero metallaro medio. E trovo personalmente scandalosa l’affluenza che c’è stata, specie se rapportata ai nomi in gioco. Non resta dunque che concludere che il resto lo abbia fatto la classica mentalità italiana, per la quale se non c’è almeno un gruppo in andropausa avanzata sul palco non ci si muove. Un vero peccato visto che, fintanto che questa sarà la mentalità imperante, più fondata sulla fama che sull’effettiva qualità, non potremo dirci un paese con un pubblico maturo.
Secondo punto:
la grandinata epica e le sue conseguenze. Anche se il maltempo era dato come certo da tutte le previsioni meteo, nessuno poteva prevedere l’entità catastrofica dell’evento temporalesco. Basta ricordare come è stato ridotto l’Idroscalo nel giro di una decina di minuti per rendersene conto. E probabilmente non ci sarebbe stata prevenzione che avrebbe tenuto. Ennesimo Evolution con sfiga inclusa dunque, dopo il palco cedevole degli Atheist e la “Youth Got Tamed (by the Carabinieri)” dell’anno scorso. Consiglierei agli organizzatori di fare qualcosa riguardo alla macumba che gli è stata fatta.
Ma veniamo ora a i
lati positivi di questo festival: prima di tutto
la location, la quale, seppur meno “universale” geograficamente, si è sicuramente dimostrata migliore del Parco delle Cascine di Firenze. Più facilmente raggiungibile, con meno ghiaia, più ombra e lo stesso piacevolissimo viale alberato. Addirittura, bar/pizzeria accanto all’area del concerto per venire incontro a tutte le esigenze. Promossa a pieni voti se non fosse per la presenza di zanzare (scontata vista la vicinanza con il lago artificiale) mastodontiche, fastidiosissime e agguerrite che hanno reso le ore serali meno piacevoli.
Security e servizi di base: qui l’organizzazione è stata da 110 e lode. Con la possibilità di sfruttare gli ottimi bagni in muratura in cui veniva addirittura cambiata la carta igienica. Certo, se l’affluenza fosse stata maggiore avrebbero potuto non rivelarsi sufficienti, ma evidentemente gli organizzatori hanno fatto bene i loro calcoli. La security dal canto suo non era troppo tignosa, anzi si è dimostrata disponibilissima a venire incontro, ove possibile, alle esigenze dei presenti. Ottima come al solito la libertà di entrare e uscire a piacere dall’area del concerto grazie ai braccialetti, senza le ridicole limitazioni di orario che si sono potute vedere quest’anno al Gods Of Metal.
Metal Market e catering: anche qui nulla da dire, le bancarelle sono disposte in modo ottimale e i prezzi sono abbastanza buoni. In particolare, l’offerta birra più panino a sei euro non è una cosa che si vede molto spesso a questo tipo di eventi… purtroppo.
Orari e palco secondario: altro punto di forza di questa edizione dell’Evolution. Evidentemente gli organizzatori hanno fatto tesoro dell’esperienza dell’anno scorso in cui gli orari ballerini hanno portato a tutta quella serie di eventi ben noti. Quest’anno non si sgarra neanche di un minuto, se un gruppo deve esibirsi ad una certa ora, sale sul palco spaccando il secondo. Pregevole.
Il palco secondario, usato solo nella giornata di sabato, si è dimostrato pienamente all’altezza della situazione. Per chi voleva la musica sempre e comunque presente, durante il cambio sul palco principale, si sono esibite (20 minuti il tempo a disposizione per ognuna) ben sei realtà underground italiane più o meno affermate. Aprono i
Subhuman con uno show irriverente e gustoso contemplante il cantante travestito da suora; seguono poi le due band partecipanti alla finale della Metal Battle:
Soulpit e
In All Senses, battaglia serrata, con ottime prestazioni offerte da entrambi i gruppi, ma che vede uscire vincitori, a mio avviso meritatamente, i secondi che si aggiudicano la possibilità di suonare al Wacken Open Air; è il momento poi dei vincitori delle passate Metal Battle. Impressionanti i
Cadaveric Crematorium, che offrono due momenti di gran spettacolo, dapprima invitando alcuni spettatori a pogare con loro sul palco mentre suonano una canzone, e poi regalando ai presenti un’esilarante cover del Nessun Dorma di Puccini, plasmata grind style in un Nessun Muoia concluso da un epico “All’alba ucciderò”; è poi il turno del thrash metal compatto dei
Methedras e infine della melodia dei
Belladonna. Insomma un piccolo festival nel festival con un unico difetto. Infatti le esibizioni sul secondo palco partivano un secondo dopo la fine dell’esibizione del gruppo sul palco principale. Essendo il cambio palco di mezz’ora e le esibizioni dell’EMP Metal Battle Stage lunghe 20 minuti sarebbe stato forse più intelligente dare cinque minuti di tempo al pubblico interessato per portarsi davanti al secondo palco.
In conclusione: l’Evolution Festival di quest’anno è, per quanto mi riguarda, promosso a pieni voti. Non perfetto magari, ma con solo poche sbavature perdonabili ad intaccare un’organizzazione dell’evento molto superiore a quella sperimentata a malapena due settimane fa per il Gods Of Metal. Avanti cosi, verso l’Evolution 2009, sperando che il pubblico italiano ci arrivi finalmente maturo.
Massimiliano "MaxOwaR" BarbieriL’inaspettato nubifragio, che ha flagellato l’Idroscalo ed ha portato alla cancellazione del concerto degli In Flames, mi porta a fare alcune considerazioni.
Innanzitutto, nessuno avrebbe mai potuto prevedere una grandinata di una tale violenza (verrebbe da dire che ci è anche andata bene, visto e considerato che in altre zone del Nord Italia i danni sono stati molto, molto seri, in seguito alla tromba d’aria che vi si è abbattuta).
In secondo luogo, l’amarezza e la rabbia della gente, dopo aver aspettato più di un’ora nella speranza che il concerto si potesse fare, è assolutamente comprensibile. Questo, però, non da il diritto a nessuno di comportarsi in modo incivile, ne’ di dare la colpa ai tecnici che, anzi, hanno lavorato come muli nel tentativo di salvare la serata. Col mixer fuori uso e le attrezzature elettriche inzuppate d’acqua, è fin troppo ovvio che tentare di andare avanti sarebbe stato estremamente pericoloso. Per questi motivi, a mio avviso, è vergognoso rispondere all’annuncio del tour manager degli In Flames con un fitto lancio di bottiglie e oggetti vari sul palco. Oserei dire che il pubblico italiano ha perso un’altra ottima occasione per comportarsi da persone civili.
Una cosa, però, vorrei dirla anche agli In Flames: senza dubbio la band non ha avuto alcuna colpa di quanto è accaduto, ma sarebbe stato quanto meno doveroso uscire a salutare il pubblico, visto che la gente che è rimasta sotto la pioggia ad aspettare era lì per loro. Pubblicare un messaggio sul sito ufficiale è certamente stata una cosa gradita, ma sarebbe stato ancora più gradito vedere la band presentarsi di persona sul palco, anche solo a dire “ragazzi, ci dispiace”, anziché mandare allo sbaraglio i tecnici.
Al di là della sfortunata conclusione del festival, vorrei infine elogiare l’organizzazione per i concerti che hanno preceduto il temporale: sappiamo tutti che i festival metal italiani soffrono da sempre di alcuni problemi, soprattutto di orari. Ebbene, l’Evolution 2008 è stata, invece, una felice eccezione: tutti gli orari sono stati rispettati con precisione svizzera, con ritardi che non hanno mai superato i cinque minuti. Ci sarebbe da imparare da questo.
Michele "Freeagle" Marando