La bontà di un concerto l’ho sempre misurata, a posteriori, con un esperimento davvero semplice: se la mattina dopo, rincoglionito come una zampogna, hai voglia di spararti nelle orecchie le canzoni sentite poche ore prima, la performance live è stata degna di nota.
Stamane nel mio lettore mp3 riecheggiava tronfia e possente buona parte della scaletta suonata ieri sera dai
Dream Theater. Concerto dunque da ricordare? Senza dubbio, ma anche senza esagerare.
Pochi minuti dopo aver recuperato il buon Sybelius ed essermi accomodato sui plasticosi cadreghini del Forum, ecco giungere sul palco gli statunitensi
Periphery. Devo essere sincero: non li conoscevo e non mi è venuto alcun desiderio di conoscerli. Tre chitarre (tra cui ho scoperto stamattina anche una famigerata 8 corde e tutte utilizzate con accordature improponibili), suoni indecenti, canzoni di una noia paurosa. Certo, sentendo i suoni, ancora una volta mi viene da pensare che fare esibire le band di spalla in queste condizioni non ha alcun senso, ma anche il gruppo ci ha messo decisamente del suo con un set assolutamente trascurabile. Poco fa sono andato a risentirmi qualcosa on-line e devo ammettere che la sensazione non è mutata. A mio parere una band che ha davvero poco da dire.
Spazzati via dai pensieri i Periphery senza troppa difficoltà, arriva finalmente il momento dei
Dream Theater. La curiosità era davvero tanta, devo ammetterlo: sentire Mangini, vedere come gli altri si sono attrezzati per sopperire alla mancanza di Portnoy, testare in nuovi pezzi dal vivo. Insomma, le domande a cui dare risposta erano parecchie. Ma vediamo passo dopo passo cosa è successo.
Alle 21.30 una lunga intro, accompagnata dai già visti ma sempre simpatici cartoons della band, ha lasciato spazio a
Bridges In The Sky. Devo essere franco con voi: io non ho capito nulla dell’opener. Suoni completamente impastati, sovrapposti, fastidiosi, riff incomprensibili, batteria sfasata, tastiera assente sulle ritmiche ed eccessiva sui soli, basso rimbombante e voce troppo alta.
Dopo un inizio completamente rovinato, con
6:00 le cose sono migliorate solo leggermente, favorite da arrangiamenti di per sé meno “gravi” e dunque più comprensibili. Mangini è sembrato reggere degnamente l’impatto con uno dei cavalli di battaglia di Portnoy e già si è iniziato ad intuire lo stato di forma eccezionale di LaBrie.
La successiva
Build Me Up, Break Me Down mi ha dato la stessa sensazione di inutilità provata più e più volte ascoltandola su disco, mentre con
Surrounded, finalmente, qualche brivido è cominciato a scorrere lungo la schiena e la prestazione è sembrata virare con decisione su binari più consoni al blasone dei Dream Theater.
The Root Of All Evil è risultata ancora un po’ impastata, ma in fondo è servita solamente ad introdurre il poderoso assolo di Mike Mangini: preziosi minuti di follia tecnica da far spellare le mani per gli applausi.
Applausi che sono stati prontamente interrotti dal prepotente inizio di
A Fortune In Lies, che ha segnato la svolta definitiva della serata. Una versione più convincente di quella di ieri sera la trovate probabilmente solo sul Live At The Marquee. In particolare, hanno brillato la stella di LaBrie, carico come una molla e decisamente convincente e quella di Petrucci, autore di un solo impeccabile e golosissimo.
Outcry e la sua nervosa parte centrale, bellissima da ascoltare live, hanno poi introdotto la doppietta acustica
The Silent Man/Beneath The Surface: melodie da musicoterapia che hanno fatto dimenticare tutte le fatiche della giornata, cantate a squarciagola da tutto il palazzetto e rese ancora più intense dalla caldissima voce del singer canadese.
Da qui in poi è stata l’apoteosi:
On The Backs Of Angels dal vivo ha fatto paura, così come l’accoppiata
War Inside My Head/The Test That Stumped Them All, in cui purtroppo si è avvertito ancora qualche problema coi suoni ma che, comunque, è risultata una sassata in faccia di grande impatto.
Non mi vergogno (le cose di cui vergognarsi sono ben altre, non certo il provare emozioni) dicendovi che
The Spirit Carries On mi ha commosso sul serio. A parte l’esecuzione monumentale (e quando dico monumentale non lo dico tanto per dire, perché è stata
STRE-PI-TO-SA) del pezzo, la band ha voluto infatti dedicarla a
Giuseppe Girolamo, il batterista disperso nel disastro della Costa Concordia, grande fan dei Dream Theater (se ho capito bene anche ex membro degli Italiandreamers) di cui si sono perse le tracce dopo che aveva ceduto a un bambino il suo posto sulla scialuppa di salvataggio. Ascoltare le parole di LaBrie e vedere il volto sorridente di Giuseppe proiettato sugli schermi (oltre ad essere esibito verso il palco da parte di un gruppo di amici che tenevano in mano le foto del drummer scomparso) è stato particolarmente toccante, devo ammetterlo. Non vi tedierò con inutili sbrodolate retoriche, ognuno dei presenti l’ha vissuta a proprio modo. Io mi sono emozionato parecchio e i pensieri che si sono accavallati nella mia testa durante la canzone sono stati tanti. Probabilmente, è giusto che io li tenga per me.
La chiusura “ufficiosa” del set è stata affidata alla migliore song scritta dai Dream Theater negli ultimi anni,
Breaking All Illusions, che anche dal vivo ha mostrato una solidità e un’efficacia decisamente di livello superiore. Pochi secondi di buio hanno preceduto l’unico bis, una
Pull Me Under che ha fatto tremare le fondamenta del Forum, prima che, dopo poco più di due ore, il sipario si chiudesse su una serata con qualche ombra ma con tantissimi aspetti positivi.
Se proprio ci tenete a saperlo, le differenze coi Dream Theater del “passato” ci sono. La mancanza di Portnoy a livello scenico è lampante, anche se
LaBrie ha preso per mano tutti quanti andando a occupare quel ruolo di frontman che mai aveva ricoperto fino in fondo: loquace, spiritoso, grintoso. Come se non bastasse, ha sfoderato una prestazione impeccabile. Che sia stata una serata di grazia o il simbolo di una seconda giovinezza non saprei dirlo, non avendo seguito altre date del tour, ma sicuramente è stata una bella cosa vedere il buon James così in forma.
Mangini ha suonato da mostro, ovviamente, ricevendo giustamente più d’una ovazione da parte del pubblico. Andare a sedersi su quel seggiolino per lui è stata sicuramente un’opportunità enorme, ma tutto ciò ha comportato anche delle responsabilità di cui ha saputo farsi carico senza fiatare e senza troppo accusare il colpo, conquistando i fan a velocità supersonica, anche grazie a una personalità carismatica e ad un atteggiamento estremamente umile. Per quanto riguarda gli altri, devo ammettere che mi aspettavo più spazio per
Rudess e
Petrucci, che invece sono rimasti a fare il compitino praticamente per tutto il concerto, anche senza andare più di tanto a “cercare” il pubblico. Se questo sia simbolo di una sobrietà ritrovata e di quel “maggiore equilibrio” di cui tanto hanno parlato dopo l’uscita di Portnoy non saprei dirlo. Sinceramente, non saprei nemmeno dire con certezza se e quanto mi piace vedere i Dream Theater in questo modo, quindi mi asterrò da ogni ulteriore commento.
Una cosa è certa: dall’assolo di Mangini in avanti è stato un gran bel concerto. Forse non intenso come altre volte, forse non completamente impeccabile, ma la scaletta si è dimostrata validissima pur con tutte le novità presenti e c’è stato spazio per emozioni e divertimento, che poi sono esattamente le cose che un concerto dovrebbe essere in grado di offrire. Soldi spesi bene dunque, per una band che, pur non stupendo più, è ancora in grado di scaldare il cuore dei propri fan. Essere rimasti “orfani” di Portnoy è stata una mazzata, inutile negarlo. Anche ieri sera secondo me praticamente tutti, lì dentro, abbiamo chiuso gli occhi un paio di secondi e provato ad immaginarlo ancora lì, a guidare la sua creatura. Ma vivere nel passato è inutile, ormai: i Dream Theater ora camminano anche da soli. Non più a passo spedito, non più dritti verso una meta chiarissima, ma sono ancora in piedi e in piedi resteranno, a prescindere da Portnoy. Se non credete a me, potete trovare la prova che dimostra la mia affermazione nel parterre di un loro concerto: le nuove generazioni, mischiate in mezzo a trentenni e quarantenni, sono più che presenti, segno che il tramonto è ancora ben lontano.
Chiudo con qualche considerazione sul contesto, purtroppo esclusivamente negativa. Gente ce n’era pochina (così a naso intorno ai 4.000 presenti) rispetto agli standard dei Dream Theater, probabilmente a causa del prezzo, vicino ai 50 Euro, ritenuto troppo alto. In effetti, forse si poteva stare indietro di almeno una decina di Euro, vista anche la pochezza dell’opening act e il palazzetto si sarebbe probabilmente riempito. A parte questo, però, devo esprimere nuovamente la mia rabbia verso chi si occupa di gestire il suono, perché questa volta oltre a rovinare la performance dello special guest hanno completamente devastato le prime canzoni dei Dream Theater, oltre ad influenzarne anche tutta la restante parte della scaletta. Questa è una cosa inaccettabile che sta accadendo, per altro, sempre più spesso, soprattutto a Milano. Crescono i prezzi, avanza la tecnologia e tutto ciò che sapete proporre è un suono incomprensibile? No, cari miei, non ci siamo proprio.
Setlist:Bridges In The Sky
6:00
Build Me Up, Break Me Down
Surrounded
The Root Of All Evil
Drum Solo
A Fortune In Lies
Outcry
The Silent Man
Beneath The Surface
On The Backs Of Angels
War Inside My Head
The Test That Stumped Them All
Rudess & Petrucci Solo
The Spirit Carries On
Breaking All IllusionsEncore:
Pull Me Under Scheda Tecnica a cura di Guido 'Sybelius' Zerbin
Innanzitutto doverose scuse a tutti i lettori per il mio ritardo, questioni tecniche hanno impedito alla mia mail di partire e me ne sono accorto solo quando ho visto il Live Report di Slope pubblicato senza la parte tecnica che ho scritto...
Ma non disperate perché, seppure con un po' di ritardo, eccola qui!Come un bel sogno che si avvera eccomi qui, seduto al Forum in compagnia di Alex e i suoi amici, in attesa che il concerto dei Dream Theater inizi...
Non parlerò della band supporter, dato che Alex ha già sviscerato opinioni che condivido pienamente... ma darò il tutto e per tutto per raccontarvi con cosa si sono presentati sul palco i mitici Dream Theater.
Sulle prime non si notano grossi stravolgimenti tecnici, anzi, ad osservare bene i set sembrano abbastanza standard, d'altronde è perfettamente normale che una band navigata come loro stia sul sicuro e soprattutto sul collaudato... Iniziamo per gradi:
James La Brie, che ha il proprio strumento sempre “attaccato” a se stesso, ha la sua famosa asta che a vederla sembra un lungo arco.
John Petrucci si presenta imbracciando la sua solita Music Man con il suo classico set formato dai tre Mesa con cabinet differenziato e la sua solita pedaliera a corredo dei suoi effetti che caratterizzano il suo suono più che conosciuto, ma che è sempre un piacere ascoltare.
Fare l'elenco di tutto quello che usa porterebbe via molto tempo ma se siete curiosi andate a farvi un giretto per la rete, che si trova di tutto e di più.
John Myung Imbraccia il suo prezioso Music Man a sei corde e usa il rack effetti remoto che è solito usare da qualche tour a questa parte, passando per un wirless system della Shure, entra in uno splitter che divide il segnale e parallelamente lo manda in un effetto della Eventide e in un Direct Box, questo fa si che Myung non usi degli amplificatori veri e propri ma di fatto con lo speaker simulator che si ritrova è come se ne avesse a bizzeffe.
Poco dietro di loro campeggiano le pedane di Jordan Rudess, che questa volta sembrerebbe usare un set ridotto. Riesco a scorgere la workstation Kronos, con la quale comanda e suona gran parte delle timbriche che è solito farci sentire, l'ormai immancabile controller Continuum, e il suo prezioso iPad 2 dove all'interno sono installate l'App di sua creazione e tutte le clip video che vediamo proiettate dietro di loro durante i concerti. Lo stand girevole e inclinabile grazie ad un controllo elettro-idraulico non sta fermo un minuto durante tutta la durata del concerto e accanto/dietro /davanti a seconda di come è girato lo stand principale vedo un altro piccolo piedistallo sul quale è montata una particolare versione “per tastieristi” di Chapman Stick 12 corde che qui al Forum è stato toccato una sola volta.
Ma veniamo alla vera novità!
Mike Mangini... beh che dire...? Mike ha un drum set a dir poco pazzesco! Sulle prime assomiglia parecchio a quello del suo omonimo predecessore ma a sentirlo nella sostanza mi sono accorto di moltissime differenze.
Ha quattro casse, due 22” poste davanti, una 26” sulla sinistra e una 18” sulla destra. Il rullante principale al centro e un altro più piccolo al centro anch'esso ma posto sopra sul piano del rack che raccoglie una innumerevole distesa di tom... le casse sono contenute da un Rack-Stand a due piani dove sono fissati tutti i piatti e una sfilza di rototom e talking tom che Mike non esita a far sentire soprattutto nel suo solo.
Anche qui a fare l'elenco completo del suo set non si finirebbe più, magari, se voi lettori siete d'accordo, potrei iniziare una serie di articoli in futuro, che trattano proprio degli aspetti tecnici e dei dettagli.
Il palco risulta pulitissimo! Tutti con Ear-In Monitor, niente side-fill e forse un drum-fill che non riesco però a scorgere data l'imponenza del set, per Mangini.
L'impianto in sala è un line-array della Meyer Sound, del quale però non riconosco il modello... non ce ne è poco, infatti conto ben 24 cabinet appesi per lato! Purtroppo il fonico, a mio parere, si è fatto fregare dal palazzetto, dato che, come accade a molti, il suono risulta molto ben distribuito per quanto riguarda la pressione sonora ma risulta altrettanto confuso su tutta la gamma di frequenze medio basse. Almeno per i primi tre brani il caos di frequenze che rimbalzano allegramente sulle parti metalliche del palazzetto ci rende un po' sofferenti... per fortuna la cosa migliora e il suono via via si fa più pulito e definito.
Mixer di sala un Midas digitale, compatto ma potente, e un outboard molto asciutta, senza fronzoli ed essenziale.
Le luci non sono tante ma sono talmente ben distribuite e ben usate, che sembrano quasi il doppio.
Sono riuscito a distinguere nitidamente 4 seguipersona per illuminare “alla vecchia maniera” i membri della band in vari momenti dello show; 14 teste mobili spot sull'americana frontale e altrettante teste mobili spot sull'americana dietro12 wash per lato su piantana e 4 a terra, usati sapientemente come tagli; sul fondale 4 colonne formate da 6 fari led cambiacolori, 14 blinder sul pubblico e una decina di flash-strobo di cui il datore luci non ha mai abusato.
Ovviamente tre proiettori ad alta luminosità per le immagini proiettate su tre figure geometriche che con l'inganno della prospettiva sembravano tre cubi.
In definitiva un rider tecnico di tutto rispetto, ma pulito ed essenziale nella forma e nell'efficacia... una buona lezione sul come con le cose giuste si possano ottenere suoni e luci eccellenti, senza strafare!