Foto di Karol Mazzola
Di certo un sold out per l’unica data italiana del tour dei Megadeth non rientrava propriamente tra le mie aspettative, non per la mancanza di fiducia nei confronti della band di Dave Mustaine quanto per uno scetticismo personale nei confronti dell’attaccamento al giorno d’oggi dei fan verso questa band.
Senza contare le numerose antipatie che lo stesso Mustaine non ha risparmiato di crearsi nel corso degli anni, partendo dal proprio caratteraccio fino ai continui cambiamenti d’idea in ambito musicale e professionale.
La vociferata anticipazione che quelli di quest’anno saranno gli ultimi (ultimi?) concerti della band potranno di sicuro aver contribuito a riempire a livelli limite l’Alcatraz di Milano, anche perché la già a suo tempo annunciata partecipazione al prossimo Gods Of Metal della band non vale certo il confronto con un concerto intero e da protagonisti come quello di questa sera (e chi già come il sottoscritto li vide al Gods anni fa sa bene che tale paragone non si pone nemmeno).
E così il concerto del 20 febbraio a Milano si è risolto in uno di quegli spettacoli difficili da dimenticare in fretta, dove si respira l’aria delle grandi occasioni, non solo perché davanti hai un musicista che nel bene e nel male costituisce una vera icona dell’intero panorama heavy mondiale, ma anche per il fatto che folle del genere si contano davvero raramente e l’emozione che si vive in certe occasioni ha un sapore tutto unico che lascia il segno.
Aggiungiamo pure che la band ha saputo offrire uno spettacolo decisamente convincente ed esaltante ed eccoci qui a parlare di uno concerto assolutamente appagante.
In un locale ancora in fase di affollamento si presentano sul palco, per la gioia (e sorpresa) di molti i Diamond Head, tra le migliori vecchie glorie della NWOBHM ancora attualmente in circolazione, protagonisti della prima parte della serata e autori di una prova nostalgica e davvero convincente. In parte penalizzati da un suono ancora da definire e limare, nonché snobbati da parte del pubblico probabilmente ignaro della fama della band, quella dei Diamond Head di apertura ai Megadeth è una situazione ai miei occhi paradossale se trasferita indietro di 20 anni. Ma nostalgie a parte bisogna solo approfittare di un’occasione del genere per poter vedere un pezzo di storia ancora all’opera on stage.
Davvero notevole la performance dell’ultimo arrivato Nick Tart, sostituto alla voce del dimissionario Sean Harris, ottimo frontman e interprete del vasto repertorio della band in parte riproposto in questa serata nella quale viene presentato anche l’ultimo lavoro “All Will Be Revealed”.
Al momento dell’inizio dello show dei Megadeth si fatica a trovare la posizione più comoda per godere adeguatamente dello spettacolo offerto, in un locale oramai giunto alla propria capienza massima e popolato da un pubblico ben rodato e pronto ad accogliere il proprio fulvo leader. La tensione viene in breve spazzata via dal dirompente incipt del concerto il quale lascia presagire che la serata sarà davvero intensa e da gustare minuto per minuto.
Le due ore di spettacolo sono caratterizzate da un’unica, ininterrotta, lunghissima scaletta in grado di proporre più di 20 brani per la trepidazione e soddisfazione di tutti i presenti. Colpisce in maniera superlativa la determinazione, la grinta, nonché la performance di colui il quale è al centro di ogni attenzione. Mustaine dimostra una forma a dir poco smagliante, tanto al microfono quanto alla chitarra, mostrando come l’infortunio di 3 anni fa sia oramai del tutto superato e impressionando tutti quanti per la perizia e l’altissima professionalità con cui conduce l’intero concerto. Decisamente (e meglio così) di poche parole, Dave si concede al pubblico solo per qualche volutamente irritante provocazione, dimostrando anche il proprio stato di forma psicologica, e per la toccante dedica di “Of Mice And Men” all’amico scomparso Dimebag Darrell.
Decisamente poco il tempo per distrarsi o per prendere fiato, pochissime pause e tantissima musica riversata sul pubblico con una carica e precisione paurose.
Nei pochi attimi in cui è possibile distogliere lo sguardo dal magnetico Mustaine ci si accorge che l’attuale incarnazione dei Megadeth non è assolutamente da meno rispetto alla condizione della sua guida, in particolare salta agli occhi la prova più che convincente di Glen Drover alla chitarra, musicista decisamente dotato e ottimo interprete dei brani proposti. Della lunga setlist spiccano ovviamente i numerosi estratti dall’ultimo “The Sistem Has Failed”, dall’opener “Blackmail The Universe” a “Die Dead Enough”, la già citata “Of Mice And Men”, “Back In The Day” e “Kick The Chair”, ma senza ovviamente dimenticare il passato con “Set The World Afire”, le attesissime “Hangar 18”, “Tornado Of Souls”, “Symphnoy Of Destruction”, “Holy Wars”, “A Tout Le Mond”, “Mechanix”, “Peace Sells” e molto altro ancora per l’immensa soddisfazione di ogni fan di questa band.
Senza troppi fronzoli come per l’intero concerto, i 4 musicisti concedono un paio di bis e in maniera schietta salutano il pubblico italiano in attesa del prossimo ritorno a giugno: se effettivamente i Megadeth prenderanno la via del pensionamento entro l’anno e quello odierno è stato il loro ultimo show headliner in Italia, allora tutti i presenti potranno vantare di portare nella memoria uno spettacolo memorabile. Chi non c’era avrà invece un rimpianto in più.
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