(17 agosto 2012) Summer Breeze 2012 - DAY 3

Info

Provincia:AO
Costo:85 euro
17 AGOSTO

CROWBAR

A cuasa di una interminabile fila alle docce, perdo con dispiacere l'esibizione dei nostri The Foreshadowing, altra realtà che rappresenta il metal tricolore qui al Summer Breeze. Il tempo di avviarmi verso l'area concerti e mettere qualcosa sotto i denti ed eccomi pronto davanti al Main Stage per assistere al concerto dei Crowbar: nonostante il sole scaldi la zona antistante ai palchi principali come un girarrosto cuoce i polli, c'è un buon numero di presenti ad assistere al concerto della band guidata da Kirk Windstein. Il loro sludge stona un po' nel contesto del festival, dal momento che si tratta dell'unica formazione che si cimenta nel genere tra quelle presenti nel bill, ma i ragazzi non si fanno certo scoraggiare e piazzano una dose di pachidermico metallo sabbathiano e sudista direttamente da New Orleans: non conosco a menadito la discografia dei Crowbar ma sono rimasto abbastanza sorpreso di non aver potuto ascoltare dal vivo brani estratti da "Time Heals Nothing", mentre "The Cemetery Angels" e "Sever The Wicked Hand" mostrano anche in sede live la bontà dell'ultima fatica discografica del combo. Windstein si è dimostrato un frontman senza troppi fronzoli e diretto, di poche parole e di sostanza, anche se il fatto di dover suonare e cantare contemporaneamente ha di sicuro limitato la sua presenza scenica, altrimenti palpabile (chi ha visto i Down dal vivo può dimostrarlo). Il caldo atroce certamente ha fiaccato il pubblico, che ha gradito la proposta musicale dei Crowbar pur senza farsi sentire a gran voce. Ottimo show, anche se probabilmente il gruppo avrebbe raccolto maggiori consensi in un festival più orientato allo sludge metal.

Setlist:


Conquering
New Dawn
The Lasting Dose
Sever the Wicked Hand
Self-Inflicted
High Rate Extinction
All I Had (I Gave)
Planets Collide
The Cemetery Angels


MONO INC.

Incuriosito dai vari cartelloni pubblicitari e dai video che tra un concerto e l'altro occupano a rotazione il megaschermo, decido di seguire da lontano l'esibizione dei Mono Inc. pur ignorando completamente la loro esistenza fino a oggi. Trattasi essenzialmente di una innocua formazione di gothic rock capitanata da un cantante dal look veramente discutibile, anche se la batterista Katha Mia sembra essere il membro del gruppo più inquadrato dalle telecamere del Summer Breeze. Certo, non capita tutti i giorni di vedere una band con una donna dietro alle pelli, ma una volta rifatti gli occhi sulla carina Katha e prestata maggiore attenzione alla musica dei Mono Inc. è abbastanza evidente come non siamo di fronte alla nuova promessa del metal mondiale (anche perchè, diciamocelo, di metal nella proposta del gruppo non ce n'è la minima traccia), anche se di gente accalcata sotto al Pain Stage ce n'è parecchia. Canzoni molto easy, quasi pop se non fosse per una leggera distorsione delle chitarre, con tastiere sempre in bella mostra ma che a conti fatti lasciano veramente poco. C'è tempo persino per un assolo di batteria: già non sono un fanatico di queste spesso inutili pratiche, ma devo dire che l'assolo propinato da Katha raggiunge vette di ridicolaggine mai viste, dal momento che la nostra batterista non risulta certo essere un mostro di bravura. Evidentemente un escamotage per dare visibilità alla bella musicista, nella speranza che qualche allocco compri il cd. Bocciati senza appello.

UNEARTH

Finito il tormento dei Mono Inc., sul Main Stage si sta "apparecchiando" per lo show degli americani Unearth. Chi legge con assiduità le pagine virtuali di Metal.it saprà certo che il metalcore non rientra nei miei ascolti abituali, ma poichè il caldo è veramente opprimente e manca ancora un'ora al concerto dei Nile, decido di sedermi di fronte al palco principale per seguire l'esibizione del combo a stelle e strisce. Dopo l'esibizione da dimenticare dei Mono Inc. sentire una chitarra distorta come si deve è un piacere enorme, mentre il gruppo inizia la propria esibizione mettendo in mostra una padronanza del palco davvero carismatica: la figura del singer Trevor Phipps è sicuramente quella che catalizza su di sè la maggiore attenzione, ma anche la coppia di asce Susi/McGrath non è da meno e si concede con piacere all'occhio indiscreto delle telecamere. La loro proposta musicale è metalcore del più classico e puro, sparato dalla band direttamente in faccia al pubblico che segue numeroso e abbastanza partecipe l'esibizione degli Unearth, nonostante il clima tutt'altro che fresco. Personalmente, non apprezzando il genere il concerto ha cominciato ad essere noioso dopo una manciata di canzoni, soprattutto a causa dei breakdown presenti in ogni pezzo che hanno reso le canzoni piuttosto monotone e prevedibili. A parte questo, la band si è dimostrata molto abile dal vivo ed è stata capace di scatenare un discreto macello nel pit.

Setlist:

The Great Dividers
Watch It Burn
Eyes of Black
This Lying World
Shadows in the Light
Giles
My Will Be Done

NILE



Finalmente giunge uno dei momenti più attesi da parte mia qui al Summer Breeze: adoro i Nile e fino ad oggi non ero mai riuscito a vederli dal vivo in azione e dopo tanti anni è giunto il momento di colmare questa mia lacuna. L'attacco è micidiale, con la possente "Sacrifice Unto Sebek" che scalda (come se ce ne fosse bisogno, visti i 30 gradi costanti..) i tanti metallari accorsi davanti al Pain Stage che hanno fatto sentire il proprio calore alla band americana. Al di là della grande potenza che i quattro faraoni sanno spirigionare, quello che colpisce sono le espressioni di Karl Sanders e Dallas Toler-Wade, i quali (il primo soprattutto) hanno passato l'intero concerto sorridendo alla grande, come un bambino che si trova a scartare i regali la mattina di Natale, segnale che i Nile si divertono un mondo a suonare. Certamente l'accoglienza davvero sentita da parte del pubblico ha aiutato, ma è bello vedere un gruppo ormai affermato rimanere ancora pieni di entuasiamo. Davvero esaltanti gli scambi di voce tra i due chitarristi, mentre come era lecito attendersi George Kollias ha devastato il proprio drumkit, tra doppia cassa e blast come se piovesse. La setlist ripercorre la lunga carriera della band toccando l'intera discografia (tranne "Among The Catacombs Of Neprhen-Ka"), privilegiando soprattutto "Black Seeds Of Vengeance". Spazio anche per l'ultimo (e tutt'altro che esaltante) "At The Gate Of Sethu" con "Supreme Humanism of Megalomania", ma a farla da padrone sono certamente i pezzi storici come "Defiling The Gates Of Ishtar", "Sarcophagus", "Lashed To The Slave Stick" e l'immancabile e conclusiva "Black Seeds Of Vengeance", sigillo ideale per un concerto devastante e dannatamente convincente, di sicuro uno dei migliori dell'intero festival. Gli déi benedicano i Nile!

Setlist:


Sacrifice Unto Sebek
Defiling the Gates of Ishtar
Ithyphallic
Supreme Humanism of Megalomania
Permitting the Noble Dead to Descend to the Underworld
4th Arra of Dagon
Sarcophagus
Lashed to the Slave Stick
Black Seeds of Vengeance

MORGOTH




Finalmente mi sposto al riparo del Party Stage, dove posso sfuggire un po' alla calura che nel pomeriggio si è fatta davvero opprimente. L'esibizione dei tedeschi Morgoth mi permette di unire quindi l'utile al dilettevole, seguendo l'esibizione della formazione culto death metal e contemporaneamente sfuggire ai cocenti raggi del sole. L'anno scorso all'Hellfest avevo seguito con interesse e soddisfazione lo show del gruppo, quindi perchè non replicare anche oggi? Pur godendo della fama di formazione di culto, è molto l'interesse che si è creato attorno ai Morgoth da quando sono tornati in attività, ed infatti il tendone del Party Stage è assai affollato per l'occasione, probabilmente anche perchè il gruppo gioca in casa. I Nostri sono trascinati dal carismatico singer Marc Grewe, che in più di un'occasione si è lanciato in proclami sull'old school death metal che personalmente potevano anche essere evitati (e qui mi piacerebbe sapere che ne pensa il nostro Graz :P ), e che a livello vocale ha fornito una prestazione veramente furiosa e carica di cattiveria. La setlist si ferma al 1993, proponendo alcuni dei pezzi più conosciuti e rappresentativi del periodo death metal dei Morgoth, tra cui segnalo "Body Count", "Isolated", "Unreal Imagination" o "Under The Surface", rese alla grande da un gruppo decisamente in palla, a proprio agio sul palco e chiaramente caricato dalla risposta del pubblico che non si è fatto certo pregare. Una prestazione davvero convincente per un gruppo che pare godere di un rinnovato interesse da parte del pubblico.

SIX FEET UNDER




Il tempo di mettere qualcosa sotto i denti che sul Pain Stage mi accingo a seguire con scarso interesse l'esibizione dei Six Feet Under. La figura di Chris Barnes è ormai entrata nella storia del death metal per i suoi trascorsi nei Cannibal Corpse, ma temo proprio che la stessa sorte non teccherà alla sua "nuova" creatura, che personalmente non ho mai apprezzato granchè. Il concerto del gruppo inizia con un frammento di "Stripped, Raped And Strangled" dei Cannibal Corpse che sembra quasi un presa per i fondelli, per poi lasciare spazio ai brani originali dei Six Feet Under: death metal groovy, ben lontano dalla furia devastatrice dei Cannibal e su cui il vocione di Barnes fa sempre la sua porca figura, rovinato però da acuti stile pterodattilo veramente insopportabili. Dreadlocks al vento, è inevitabile che tutta l'attenzione si concentri su di lui, che tra barba incolta, lobi ormai allargatissimi e cannoni a profusione pare invecchiato maluccio. I Six Feet Under riscuotono un buon successo tra il pubblico, che si scatena quando Barnes annuncia IL pezzo: "Hammer Smashed Face" si abbatte sul Summer Breeze con la sua potenza e subito il pubblico si fa più reattivo. Certo, l'esecuzione non è esattamente come l'originale e lo stesso Barnes rovina tutto con il suo solito pig squealing, ma va bene così. A chiudere il concerto ci pensa l'immancabile cover di "T.N.T." degli AC/DC in salsa death, abbastanza inutile ma che è riuscita nello scopo di creare un po' di movimento sotto lo stage. I fan certamente non possono essere delusi dal concerto, per quel che mi riguarda il mio giudizio sulla band non è mutato di un millimetro.

AHAB




Se i concerti sui due palchi principali terminano all'1, c'è ancora vita sotto il Party Stage che ospita svariati gruppi fino alle 4 del mattino. Il guaio è che spesso di tratta anche di formazioni molto valide ed altrettanto spesso al termine della giornata si è troppo stanchi per resistere e a malincuore si preferisce defungere nella propria tenda. Tuttavia gli Ahab meritano uno sforzo extra, quindi i nostri lettori mi perdoneranno (spero) se concluso il concerto dei Six Feet Under decido di ricaricare le pile in vista dell'esibizione dei doomster tedeschi, che esibiscono alle 3.20 del mattino. Con mio stupore, noto che dinannzi al palco c'è un bel po' di gente in attesa degli Ahab nonostante l'orario abbastanza proibitivo, sintomo che la band ormai è affermata e non solamente in ambito doom. Un veloce soundcheck e si attacca subito con la stupenda "Old Thunder", preannunciata da uno stormo di gabbiani che rievocano l'immaginario navale dei Nostri, e la band si dimostra sin da subito in grandissima forma. Avendo già avuto modo di verdeli dal vivo nel 2009, sapevo che il gruppo dal vivo è molto emozionante e questa notte ne ho di nuovo conferma: il growl possente di Daniel Droste è uno dei più belli e coinvolgenti in circolazione, e tutto il gruppo è abile nel rendere con assoluta precisione e fedeltà le stupende atmosfere presenti sugli album in studio. Saranno quasi le 4 del mattino, ma l'esibizione degli Ahab è talmente intensa da tenermi ben sveglio e farmi dimenticare le fatiche di due giornate di festival. Il nuovo "The Giant" viene rappresentato da "Deliverance (Shouting At The Dead)", eseguita magistralmente e che pure dal vivo si rivela straordinaria. Gli Ahab hanno a disposizione solamente quaranta minuti e a causa dell'elevato minutaggio dei loro brani, c'è giusto il tempo per "The Hunt" e "Antarctica The Polymorphess", rispettivamente da "Call Of The Wretched Sea" e "The Giant", che chiudono nel migliore dei modi un'esibizione carica di pathos e molto emozionante. Peccato che "The Divinity Of Oceans" non sia stato considerato, ma a conti fatti la prestazione del gruppo è stata così intensa da poter perdonare loro questo piccolo difetto.

Setlist:


Old Thunder
Deliverance (Shouting At The Dead)
The Hunt
Antarctica The Polymorphess


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