di Laura ArchiniMen from Mars.
Gli alieni sono qui, questo può aver pensato Cornelius, una volta arrivato in quel di Travagliato. Come dargli torto? Di certo non poteva immaginare che ad accoglierlo nella sua prima tappa italiana avrebbe trovato, oltre ai proprietari del locale, anche una nutrita schiera di agenti della Polizia Locale. Cosa deve pensare una persona quando, dopo essere arrivata ore prima per preparare il tutto, si ritrova a dover smontare tutto all'ultimo momento prima dell'esibizione? E, quando cerca di capire cosa stia succedendo, si sente rispondere con un esaustivo "mi mostri i suoi documenti", come se fosse lui ad aver fatto qualcosa di male. Dall'altra parte, del resto, aveva una proprietà che spergiurava che si sarebbe suonato ad ogni costo, salvo essere istantaneamente smentita dall'ingresso della Polizia nel locale per apporre i sigilli. E allora si è ricordato di essere in Italia, dove può capitare che una persona venga trattata a pesci in faccia sia come cittadino che come professionista. E tutto ciò a causa di un "local power struggle", citando le sue parole. Questa, oltre che la prima delle due date italiane dei
Solefald nell'ambito del tour insieme ad altre due ottime bands come
In Vain e
Vreid, sarebbe stata anche la prima volta in assoluto nel nostro paese. Alle 19.30 arrivo davanti al Colony, il locale che avrebbe dovuto ospitare il concerto e trovo la Polizia Municipale, che sta per rimettere i sigilli, tolti, se non erro, lunedì 8 Aprile, in seguito all'ordinanza della Procura di Brescia, che ha considerato illegittimo il sequestro ordinato dal comune di Travagliato, secondo quanto i gestori del locale hanno scritto sul proprio sito. Uno dei due dice che sono anche venuti i Carabinieri, che hanno ribadito la validità dell'ordinanza della Procura, ma poi sono andati via, dicendogli di chiamare altri carabinieri, nel caso di nuovi sigilli, mentre la Polizia Municipale ribadiva la validità dell'ordinanza comunale e metteva i sigilli. E' già diverso tempo che il locale ha un contenzioso col Comune, tanto che altri concerti sono già saltati, per esempio i Jettblack a Marzo. Riesco a parlare con Cornelius, persona squisita, che, fra le varie lingue che padroneggia, annovera anche l'italiano. La sua disamina della situazione è chiara: "Mi pare ci sia una lotta di potere all'interno del Comune ed un conflitto d'interessi. E' molto probabile che sia il locale ad avere ragione e che non vogliano che resti aperto. Da quello che ho potuto osservare, la mia fiducia nelle vostre forze dell'ordine è scesa di molto. D'altro canto, anche se il locale avesse ragione, non puoi continuare ad organizzare concerti fin quando non sei assolutamente sicuro di aver risolto tutti i problemi. Non è serio. Non puoi far venire un gruppo dall'estero in queste condizioni. E stasera ci sono ragazzi che arrivano da Trento, dalla Liguria, da Torino... Oltre alla delusione per non averci visto suonare, hanno anche buttato dei soldi.". Si fa dire il costo del biglietto, che qualcuno ha già acquistato, e si preoccupa di capire se le persone saranno rimborsate. "Ho capito che la prossima volta, prima di suonare in Italia, dovremo cercare di assicurarci che tutto sia perfetto. Domani saremo a Firenze, non credo che avremo problemi.". La serata si riduce ad un affettuoso abbraccio tra gruppo e fan prima della partenza, con la delusione scolpita sul volto. Cornelius assicura che torneranno a suonare in Italia, speriamo che per allora i marziani se ne siano andati. Come ha sintetizzato giustamente il collega Enoth, presente anche lui a Travagliato, in fondo erano solo sedici anni che aspettavamo di vedere i Solefald in concerto…
di EnothEra iniziato tutto con la mia solita routine pre concerto, tutto sembrava quadrare perfettamente: ero in ritardo, la mia amica era in ritardo, il mio risotto radicchio rosso, noci e zola era tanto buono quanto ustionante (mangiato in 3 minuti netti rigorosamente dalla padella subito dopo la mantecatura), la Polo era in riserva, mi ero scordato di fare bancomat.
Perfetto, tutto quadra, come al solito. Partiamo, facciamo benzina in autostrada, i pianeti si allineano e arriviamo in un orario decente presso il locale, dopo mezz'ora di rievocazione dei concerti visti insieme, dei bei tempi andati, di questo o quell'altro gruppo underground conosciuto da noi due e dai loro parenti più stretti. Parcheggio, prendo i moduli per la tessera ACSI compilati in auto sul volante rischiando la vita, arraffo la giacca di pelle e ci dirigiamo verso la strada sbarrata da una volante della municipale messa di traverso sulla carreggiata. Il mio sesto senso denota una lieve anomalia: di solito questo non avviene ai concerti, almeno, non a quelli che ho visto negli ultimi vent'anni. Ci guardiamo smarriti e ci inoltriamo per la via, dicendoci che, sì, dati i numerosi screzi che sapevamo avevano contrapposto il Circolo Colony (venue del concerto) e il comune di Travagliato, era tutto sommato naturale che le autorità volessero controllare la serata di riapertura, c'era d'aspettarselo. Non facciamo più di quattro passi e una figura nel buio, in un perfetto bergamasco (idioma che, modestamente, padroneggio dalla nascita) ci ammonisce: “I sùna mìa, scéc! I è dré a 'ndà vià col pöllman!” (trad.: “Ragazzi, non suonano! Stanno andando via con il tour bus!”). Ci guardiamo negli occhi, ma non è amore, è solo un rapido controllo: sì, ce li ricordiamo tutti, ma proprio tutti i santi del calendario; quelli che tra poco scomoderemo con le nostre invocazioni. Arriviamo sul luogo del fattaccio: qualche vigile della municipale, gente che sta guardando sbigottita, altri poveri disgraziati come noi che stanno arrivando, i gruppi che non sanno se ridere o piangere (propendo più per un'amarezza diffusa e leggibile sui loro volti), i proprietari del locale indaffarati a discutere con i funzionari delle forze dell'ordine. Insomma, il concerto è bello che saltato, il risotto inizia a scalare l'esofago e lo trattengo nel mio apparato digerente a stento. Tutto quel che riesco a proferire è un alternarsi di “No...Ma dai!...Ma li invito a suonare a casa mia e faccio il risotto anche a loro, tanto è pure avanzato!”. Insomma, stato confusionale, realizzo che, dopo sedici anni di attesa, o improvviso un viaggio a Firenze l'indomani oppure, molto semplicemente, non vedrò Cornelius e Lazare dal vivo. Beh, a voler essere pignoli non li vedrò suonare, perché in realtà son lì davanti a me con una faccia che definir delusa è un'eufemismo molto spinto, ma tant'è, quel che è fatto è fatto. Sostanzialmente questo è stato il mio concerto dei
Vreid – Solefald – In Vain presso il Circolo Colony di Travagliato in provincia di Brescia. Tralasciando l'ovvio, ossia la delusione del mancato live, e tutta la vicenda, pur triste e avvilente, che vede il suddetto locale contrapposto al comune che lo ospita, mi sento di fare una sola riflessione: sabato 13 aprile 2013 ha perso il buon senso e la musica. Il resto, in tutta onestà, è solo dietrologia che poco e nulla m'interessa, perché non smuove un litro d'aria in quanto a guadagno dialettico. Ce la s'è presa in saccoccia, noi avventori e le band in primis, e questo è assai triste, perché la sensazione, netta e bruciante, è che dietro a questa serata ci sia un pressappochismo, un'ignoranza e un menefreghismo mostruoso. Non mi interessa e non è compito mio stabilire chi abbia ragione o torto tra le parti contendenti, non mi voglio nemmeno azzardare a entrare in un campo minato del genere; mi interesserebbe che, nel mio Paese, iniziasse, finalmente, a diffondersi una diversa cultura di tutto ciò che è suonare dal vivo e una tolleranza sociale vera, genuina, tanto per chi lavora nel campo quanto per chi ai concerti ci va, sciroppandosi chilometri e pagando biglietti spesso salati (anche se non era questo il caso). Si tratta di passione, certo, ma anche di rispetto dell'altro, di persone che nemmeno conosci e che si aspettano che, una volta arrivati sul posto, tutto funzioni non dico in maniera perfetta ma quanto meno decente. La cosa che più mi ha ferito, in tutto questo, è stato cogliere l'imbarazzo sul volto di un vigile che, abbozzando un sorriso davanti a qualche decina di persone vestite di nero e d'umore ancor più cupo se possibile, avrebbe potuto, se fotografato, comparire tranquillamente come illustrazione esplicativa dell'espressione «Ma io qui, che cacchio ci sto a fare?». Non era colpa sua, lo sapeva, stava solo facendo quel che gli era stato ordinato di fare, e capiva benissimo che quel che stava facendo arrecava danno, disagio, disservizio e fastidio a un discreto numero di persone che, onorevolmente, si sono limitate solo a un sarcastico applauso. Insomma, o ci si decide a sdoganare e rendere del socialmente e politicamente compatibili questa barbara usanza chiamata “musica dal vivo” (cosa che, nel 2013 in un paese che si definisce “civile” ci potrebbe anche stare) o, per dirla con i Solelfald:
“No way to improve
No way to do it better
Just suffer suffer suffer!”