Questo tour, celebrativo dei 20 anni della
Inside Out Music, non poteva certo essere qualcosa di “normale”. Una raccolta di celebrità del progressive mondiale, due band (e mezzo) e tanta di quella musica che solo a ripensarci mi scendono i lacrimoni. Siccome la normalità non sarebbe stata accettata, ho fatto l’esoso: 5 Euro e via sul privè, stravaccato sopra un divanetto discretamente comodo a godermi lo show da un punto di vista privilegiato. Una scelta che in alcuni momenti mi ha fatto immaginare di essere lì da solo, immerso nel totale godimento musicale, ad assistere a qualcosa che era solo mio, generoso, intenso, mostruosamente perfetto. Sono perfino geloso di ciò che ho visto e sentito ieri, tanto che mi dispiace quasi raccontarvelo, ma dato che si tratta del mio “mestiere” procederò.
Partenza all’antica, come le prime serate televisive degli anni ’80: alle ore 20.30 salgono sul palco i Flower Kings, capitanati da un Roine Stolt in forma smagliante e da un Hasse Fröberg grandiosamente padrone della scena, mentre al loro fianco Tomas Bodin disegna melodie intricate e misteriose con le proprie tastiere. Devo essere sincero, la mia conoscenza della band svedese non è così approfondita da potermi consentire confronti con chissà quali memorie e l’identificazione di tutti i brani in scaletta, ma le impressioni avute ad ogni passaggio nello stereo di questi ragazzi dal vivo non solo vengono confermate, ma si arricchiscono di nuove sensazioni positive. Praticamente scongelati dagli anni settanta, perfettamente in grado cioè non di copiare, ma di farti rivivere esattamente la magia di certe sonorità, rielaborandole e modernizzandole con il garbo che solo i grandi sanno avere. I momenti clou dell’ora di tempo a disposizione sono sicuramente le due hit
The Truth Will Set You Free e
In The Eyes Of The World, in un set talmente rilassante che per qualche momento, lo ammetto, ho desiderato di essere strafatto su un prato a San Francisco a sentirlo. Non che fosse gente in cerca di conferme, ma qui siamo sopra il top, nell’Olimpo del prog, dove pochissime band hanno accesso.
Il brevissimo cambio palco mi permette di dare un occhio più attento alla sala: affluenza buona ma non in grado di riempire il Live, mentre noto soprattutto la presenza di tantissimi stranieri dall’est Europa, non toccata da questo tour, in una platea con poche donne e tanti adepti del prog, silenti in attesa di ricevere la benedizione di padre Morse.
L’arrivo sul palco di Neal, accompagnato dalla band in cui spiccano, come noto, Randy George al basso e Sua Maestà Mike Portnoy alla batteria, raccoglie l’ovazione dei presenti, mentre le note di
Momentum riecheggiano potenti nella sala. Un paio di strofe per gli ultimi ritocchi al suono, che da lì in poi sarà assolutamente perfetto e via con
Author Of Confusion: sensazionale, prepotente, quasi spocchiosa per come mostra una superiorità compositiva, strumentale, musicale assoluta. Dopo un paio di canzoni di durata più o meno normale, l’ora a disposizione di Morse si conclude con due suite da paura come
Temple Of The Living God e
World Without End. Potrei dirvi che avrei voluto sentire altri pezzi, ed è vero, ma potrei anche dirvi che sono stati 50 minuti che non dimenticherò facilmente. Un delirio lucido fatto di decine e decine di colori, di un’intensità clamorosa e suonato manco a dirlo in una maniera che probabilmente proviene da galassie lontane. Cosa si può volere di più? La reunion dei
Transatlantic?
E va bene, eccovi accontentati: Roine Stolt torna sul palco e il trio Morse/Stolt/Portnoy accoglie a rotazione tutti i protagonisti della serata, per un’altra ora di magia pura. A partire da una
Bridge Across Forever che scalda il cuore fino alla parte conclusiva di
Stranger In Your Soul, che vede impegnati sul palco tutti i musicisti (con il bassista dei Flower Kings in veste di clown). Altro che Live Aid, altro che Big 4, altro che Pavarotti & Friends: un palco così è da fotografare nella mente e non dimenticare mai.
Dire che i soldi del biglietto sono stati spesi bene è perfino superfluo. Forse sarebbe stato il caso di comprarne due, almeno. Per quanto mi riguarda, mi alzo dal mio divanetto estremamente felice, consapevole di aver assistito a uno spettacolo splendido e consapevole, per l’ennesima volta, di amare quel piccolo grande uomo barbuto che siete dietro la batteria…e si alza, si siede, lancia le bacchette, sputa, incita la folla, ride, ammicca e, soprattutto, suona come solo lui sa fare, con quel suo stile che riconosceresti ovunque.
E mentre trovo come al solito il modo di spendere qualche soldo allo stand della Tsunami Edizioni raccattandomi un paio di libri, nella mia mente si annida un pensiero: io non sono stato a un concerto, sono stato a Messa. Chi c’era può capire, chi ha avuto l’onore di incontrare nelle proprie orecchie certe sonorità anche. Tutti gli altri non arriveranno mai nemmeno lontanamente a comprendere una sola delle parole che ho scritto. Pazienza, mica il sacro dono del progressive deve per forza toccare a tutti.
Ecco la setlist, a memoria e con possibili errori, ma meglio di niente, no?
Neal Morse:
Momentum
Author Of Confusion
Temple Of The Living God
World Without EndENCORE (Jam with Transatlantic reunion):
Bridge Across Forever
All Of The Above
Overture
A Man Can Feel
Rose Colored Glasses
Stranger In Your Soul (pt. VI)
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