Sono capitata in un remake del Diavolo Veste Prada in versione alternative o in un fumetto di Garth Ennis... Già quando ho saputo che i
The Soft Moon avrebbero suonato al Teatro Parenti in una manifestazione organizzata nell'ambito della settimana del design, ho trovato la cosa sospetta. Un teatro di estrazione radical chic, un evento notoriamente frequentato da gente in grado di disquisire per un'ora su una semplice sedia di plastica firmata da qualche designer famoso, ma in tutto uguale ad una sedia di plastica dell'Ikea. C'è sempre una Sissi, una Ludo o un Denni, vestiti da qualche stilista. Trovare informazioni o parlare con un organizzatore è risultato una caccia al tesoro, finché qualcuno del teatro mi ha detto che "bisogna essere del giro". Apposto. La sera dell'evento, in coda davanti all'entrata, le Sissi ed i Denni mi si sono materializzati davanti, chiamandosi per nome. Gli abiti, i tagli di capelli, sembrano essere alternativi, tutti con una foggia da waver anni '80... sembrano. In realtà sono davanti ad una sfilata d'alta moda, espressioni di sufficienza, frasi come "bruciare il cervello artistico". Fortuna che, quando c'è da fare la parte dell'intellettuale snob, non sono seconda a nessuno; tiro su il naso come un Setter, inarco il sopracciglio e all'entrata mi fanno la riverenza, non si sa mai chi potrei essere. Davvero non mi capacito che questo sia il pubblico milanese dei The Soft Moon. E, infatti, non lo è. Il concerto è stato pubblicizzato pochissimo, tutta questa gente è qui per l'evento che lo ingloba (e che li ingloba). Le sale dedicate alla musica sono due e gli organizzatori non hanno avuto nemmeno l'accortezza di mettere un cartellone con il programma di ciascuna. La maggior parte della gente riempie la sala più grande, che si trasforma in discoteca, con un dj sul palco. Spacciata per elettronica, è in realtà normalissima musica commerciale. Nella sala A, quella più piccola, alle 21.40 salgono sul palco i danesi
Rangleklods, a me sconosciuti. All'inizio siamo una decina ad assistere al concerto, poi la sala si riempie di persone attirate dalla musica. Se la performance è stata piuttosto buffa, il sound è stato, invece, strepitoso. Questo duo propone una new wave elettronica totalmente immersa negli '80s, con un range che va dal new romantic alla dark wave ad influssi più ritmici. Splendida la voce calda e profonda del male vocalist e compositore
Esben Andersen, altrettanto seducente quella della bella
Pernille Smith-Sivertsen. Estremamente curati gli arrangiamenti, bellissime le atmosfere. Qualche ragazza cerca di farsi notare, improvvisando strane danze hippie e mi pare di essere in un film di Verdone. Musica sintetica, quindi, realizzata con tastiere, synth, computer, drum machine; è stato proprio questo a rendere buffa la performance del duo che, rendendosi conto di quanto possa essere inutile e noioso guardare per un'ora qualcuno occupato a "suonare" le proprie macchine, hanno tentato anche di muoversi un po' e fare un minimo di spettacolo, ma è risultato alquanto difficoltoso, dovendo, appunto, star dietro agli strumenti. La band ha tre anni di vita, un ep e due singoli ed è la prima volta che si presenta in Italia. Non sarebbe sbagliato se iniziasse a pensare di farsi aiutare dal vivo da qualcuno che gli permetta di dedicarsi solo al cantato ed allo spettacolo. Spero che raggiungano al più presto il traguardo del primo disco. Ore 22.40 e
Luis Vasquez sale sul palco, accompagnato da un musicista al basso ed uno alle percussioni. Anche per lui, scandalosamente, un'ora di concerto, bis compresi. Stavolta, prima che si aggiunga gente sui generis, siamo un po' di più, ma sempre molto al di sotto del centinaio di persone. E' valsa comunque la pena essere qui oggi, perché è un'ora, sì, ma da ricordare. Non c'è un solo brano, fra quelli del primo, omonimo, album, di
Total Decay e dell'ultimo
Zeros che non sia meraviglioso. La musica esplode violenta, dissonante, veloce, con ritmiche nervose ed atmosfere notturne. Nei pochissimi momenti di vocals Luis grida disperato o ripete febbrilmente alcune frasi, si piega su se stesso e si agita come se volesse distruggere la chitarra. E' come essere su un'auto che corre a tutta velocità verso il nulla, la musica ti trasporta con sè, ti mozza il fiato e, stavolta, ad agitarsi convulsamente sono solo i fan delle prime file; a nessuno viene in mente di improvvisare balli da odalisca. L'implementazione delle percussioni dal vivo, con l'aggiunta ulteriore di bonghi suonati direttamente da lui, rende il tutto ancora più pulsante, mentre i synth costruiscono tappeti oscuri. Con la benedizione di Chrome, Suicide e Joy Division. Come per i Rangleklods ci sono problemi con i suoni e più volte Luis ed il bassista chiedono di alzare la voce e gli strumenti. Richiamati a gran voce dai fan increduli per la brevità dell'esibizione, non ci sarà nulla da fare. Scambio due parole con Luis, che si dice tutto sommato contento di aver suonato poco, dato che la notte prima a Roma, oltre al concerto, ha tenuto anche un dj set e da ha fatto "party hard", quindi non vede l'ora di andare a dormire. Non potevo essere andata a Roma? Sigh... Tra l'altro, non c'è stata traccia alcuna dei visuals che sono parte integrante dei concerti dei The Soft Moon, a parte le classiche luci blu. Di nuovo, quindi, mi chiedo il senso dell'inserirli in un evento dedicato al design. Luis sarà anche timidissimo e con problemi a gestire la fisicità, ma, a quanto pare, questo non lo blocca dal corteggiare ogni ragazza carina che gli fa gli occhioni adoranti e ne vedo un paio che si infilano nel suo camerino e non accennano ad uscire. Ci salutiamo e mi fermo a parlare con Manuel Aroldi dei Camerata Mediolanense, che a breve faranno uscire il tanto atteso nuovo album. Ma questa è un'altra storia...
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