Massiccia e calorosa la risposta degli "ayreonauti" alla prima calata sul suolo italico di Arjen Lucassen nel tour europeo che lo vede principalmente impegnato a promuovere i suoi nuovi pupilli Stream of Passion. Ad aprire la serata il set acustico di Damian Wilson, la cui loquacità gli permette di lanciarsi in lunghi discorsi che hanno per tema il vivere nei cimiteri o la vasta comunità italiana presente nel suo paesello inglese nel quale pare sia nato anche Paul Weller (Style Council). Il suo materiale inedito è alquanto sconosciuto ma strappa lo stesso applausi, e così il compagno di lungo corso di Arjen (memorabile anche il suo contributo nel fantastico "Out there" di Rick Wakeman) nel finale si lancia in una serie di cover, tra cui "Sitting on the dock of the bay" (Otis Reding), "The first cut is the deepest" (Cat Stevens, nessuno dei presenti la conosce) e "Satisfaction", con la quale lascia il palco e scende tra il pubblico a ricevere la meritata dose di applausi. Gli Stream of Passion fanno il loro ingresso ad uno ad uno sull'intro strumentale di "Spellbound" (prima la batteria, poi il piano), lasciando l'onore dell'ultimo a Lucassen che si piazza con la sua chitarra all'estrema sinistra del palco, e manco a dirlo gli applausi più forti sono tutti per lui. Costruiti saldamente intorno alla figura della carismatica singer e violinista Marcela Bovio (lanciata da Lucassen in occasione di "Human equation", la messicana è intensa e passionale al pari della Anneke Van Gersbergen nei primi lavori dei The Gathering) e assemblati con elementi di gran classe e tecnica tra cui la sorella Diana al controcanto, il pianista-tastierista Alejandro Millan (compagno musicale della Bovio negli Elfonia) e soprattutto il nuovo talento della guitar hero svedese Lori Linstruth (altra piacevole scoperta di Arjen), la band saccheggia a piene mani dal fortunatissimo "Embrace the storm" (che in alcuni paesi è stato distribuito da grosse major) tralasciando però inspiegabilmente sia la title track che un gioiello come "Open your eyes", e anche se questo non è un tour targato Ayreon, ecco arrivare quando meno te lo aspetti i piacevoli episodi dei suoi monumentali e ben più famosi album. "Computer eyes" (da "Actual fantasy"), "Charm of the seer" ("Final experiment"), il refrain di "Songs of the ocean" (Star one) agganciato al finale di "Deceiver" e cantato da tutti a squarciagola per la gioia di un contentissimo Lucassen. "Valley of the queen", "Castle hall", poi una "Into the black hole" (tratta da "Universal Migrator" dove era stata interpretata da Bruce Dickinson), le ultime due cantate da Damian Wilson, che torna sul palco nel finale e non fa rimpiangere lo stesso Dickinson. "Pain" e "Love" da quell'altro capolavoro che è "Human equation" (con Lucassen che canta le parti rabbiose che erano di Devin Townsend) e come se non bastasse anche la cover di "When the levee breaks" dei Led Zeppelin, creando così una sorta di filo conduttore che lega la componente gotico-melodico-atmosferica degli Stream of Passion a quella più hard progressive di Ayreon (quest'ultima logicamente penalizzata da un minore impatto sonoro e vocale rispetto alla maniacalità della produzione e del dispiego di special guests usati in studio).
Applausi per tutti e folla impazzita per un disponibilissimo Lucassen che dopo il set al banco del merchandise si prodiga in foto ed autografi (la Bovio la cercano in pochi, e così andatevi a leggere ciò che dice sul tour diary della band: aveva in testa l'idea degli italiani come un popolo di donnaioli, poi ha visto la ressa da Lucassen e chissà che ora non abbia cambiato idea). Malgrado fosse giovedì, l'affluenza è stata tale che il gestore del neonato Seven70 è salito sul palco a ringraziare tutti i presenti, e credo che anche Lucassen non dimenticherà la stima e l'affetto che il pubblico italiano ha avuto nei suoi confronti: tutti sappiamo quanto sia difficile per lui affrontare un tour, ma in caso dovesse ripetersi l'occasione come è successo in "Star one", sappia che noi saremo ancora pronti ad accoglierlo a braccia aperte.
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