Questa è la storia di una passione. Una di quelle profonde e brucianti, nata da un incontro straordinariamente
imperfetto (“When Dream and Day Unite”) e proseguita con due momenti di coinvolgimento emotivo totalizzante (“Images and Words” e “Awake”), di un tipo raro che t’induce a definire un “legame” un autentico “capolavoro”.
Poi, come spesso accade, l’entusiasmo si affievolisce, alcune scelte eccessivamente accondiscendenti finiscono per urtare un po’ la tua sensibilità (“Falling into Infinity”) e anche se qualche guizzo importante (“Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory”) ti fa illudere che tutto tornerà come prima, appare subito evidente che ormai a mancare è la capacità di sorprendere, di
rinnovare veramente un rapporto che si esaurisce, in pratica, con un lampo fatto di rabbia e malinconia (“Train of Thought”), emozionalmente intenso eppure parecchio lontano dalle sensazioni del passato.
E così si passa all’indifferenza … qualche volta ci s’incrocia da lontano, si ripensa ai bei tempi con un pizzico di nostalgia, senza, però, ritrovare veramente la voglia di un concreto riavvicinamento.
Improvvisamente arriva l’occasione inaspettata di rincontrarsi davvero, dal
vivo, e la trepidazione di vedere quanto si è cambiati e verificare lo stato di un antico “sentimento” prende forma, tanto che si sente addirittura la necessità di non affrontare da soli l’
ansiogena circostanza, ricorrendo alla personalità pragmatica di un amico fidato.
Beh, mi sa che stavolta ho un po’ esagerato nel “romanzare” la faccenda, e tuttavia è l’unico modo (spero “simpatico” …) che ho trovato nell’esprimere la mia assoluta devozione per un caposaldo del
metallo progressivo troppo presto diventata freddezza a causa della sua incapacità di sostenere adeguatamente il nobile ruolo, finendo per sprofondare nel gorgo dello sterile riciclaggio di se stesso.
Ed ecco che un concerto dei
Dream Theater a pochi metri da casa diventa l’opportunità di valutare empiricamente se il distacco dalla loro discografia più recente è stato un errore e se è ancora possibile un eventuale “ritorno di fiamma”.
Con il supporto e la supervisione dell’inossidabile Sergio Rapetti, posso tranquillamente affermare che l’esibizione di stasera al
Gru Village del gruppo americano non ha sostanzialmente stravolto il mio giudizio, forse, però, lo devo ammettere, fin troppo severo nei termini generali.
La tappa sabauda de
An Evening with Dream Theater non può che essere descritta attraverso l’uso di aggettivi quali
impressionante,
suggestiva e
divertente, e tuttavia non mancano le perplessità su talune diluizioni espressive rilevabili nel repertorio del
terzo millennio.
Impressionante, perché la tecnica (solo laringe di LaBrie ha bisogno di almeno un paio di pezzi per carburare a dovere …) e l’energia profuse sono obiettivamente travolgenti (un esempio su tutti la
performance devastante offerta nello strumentale “The Dance of Eternity”).
Suggestiva, perché oltre alla musica, spesso già di per sé alquanto evocativa, l’idea di utilizzare una scenografia corredata di uno schermo su cui si alternano video, animazioni e riprese del palco e del pubblico, è vincente e aggiunge un importante contributo immaginifico al quadro complessivo.
Divertente, perché i “ragazzi” sembrano piuttosto entusiasti e coinvolti (a parte un come sempre imperturbabile Myung …), e in tale atmosfera anche il bizzarro intervallo di quindici minuti che divide in due l’esibizione, riempito da uno spassoso
mix di filmati tratti da
youtube riguardanti la
band (parodie,
cover improbabili,
action figures …), ha un effetto ricreativo e “riposante” (un po’ per tutti, direi!).
Impossibile, al contempo, non rilevare la differenza di “qualità empatica” tra i brani di “Awake” (di cui si festeggiano i vent’anni … ma ascoltando “Lie”, il tocco U2-
iano di “Lifting Shadows Off a Dream” e la “cosmica” “Space-Dye Vest”, il tempo non sembra passato …) e “Metropolis Pt. 2” (cui è dedicata, a commemorazione del quindicesimo anniversario del disco, l’intera sezione dei
bis) e quelli relativi alla produzione successiva … “The Enemy Inside”, “On the Backs of Angels”, “The Looking Glass” e “Along for the Ride” rappresentano materiale artistico dotato di un certo fascino, che in un contesto
live acquisisce pure di maggiore tensione, ma c’è poco da fare … il sublime equilibrio tra musicalità, passionalità, creatività e virtuosismo tipico del periodo più
glorioso del
Teatro del Sogno appare, per il momento, ineguagliato.
E’ abbastanza facile, in queste occasioni, immaginare che qualcuno avrà da ridire sulle scelte operate nel comporre la scaletta (personalmente mi ha leggermente sorpreso, per esempio, l’inserimento di una “Trial of Tears” …), lamentando la mancanza di questo o quell’altro pezzo … alla fine del concerto, sui visi di un pubblico
intergenerazionale (una delle cose belle del
rock di oggi …) colgo molte espressioni soddisfatte, segno che nonostante tutto questi seminali maestri del
prog-metal sanno ancora il fatto loro.
Ah, quasi dimenticavo, per la cronaca, come avrete capito la passione travolgente non si è “riaccesa” e ciò nonostante in futuro credo che farò meglio a riservare un’attenzione superiore per questo “primo amore” ancora piuttosto seducente.
Setlist:
Intro
1. The Enemy Inside
2. The Shattered Fortress
3. On the Backs of Angels
4. The Looking Glass
5. Trial of Tears (plus intro and jam)
6. Enigma Machine (plus drum solo)
7. Along for the Ride
8. Breaking All Illusions
15’ Intermission
9. The Mirror
10. Lie
11. Lifting Shadows Off a Dream
12. Scarred
13. Space-Dye Vest
14. Illumination Theory
Encore:
1. Overture 1928
2. Strange Déjà Vu
3. The Dance of Eternity
4. Finally Free
Outro