(02 ottobre 2014) Alestorm + Brainstorm - 2 Ottobre 2014 (Circolo Colony, Brescia)

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Provincia:BS
Costo:non disponibile
02 ottobre 2014: giornata che si preannuncia ad altissimo tasso di escapismo.
In effetti, la prospettiva di ritrovarsi come per magia teletrasportati nel mezzo del Mar dei Caraibi, a bordo di un malandato vascello, intenti a cantare a squarciagola inni pirateschi, pronunciare contumelie della peggior specie e tracannare grog di bassa lega, per quanto illusoria, è davvero libidinosa.
Se poi ciò permette di lasciarsi alle spalle l’ennesima, convulsa giornata di lavoro, e di evadere dalla rigogliosa (?) e ridente (?) periferia bresciana, allora la libidine diviene addirittura doppia.
E se, per sovrappiù, oltre alla impagabile fuga dalla realtà che la musica dei gloriosi Alestorm è in grado di garantire possiamo anche godere di tre buone band di supporto, ecco che sfociamo nella libidine coi fiocchi.
Ok, la smetto di scimmiottare Jerry Calà e inizio a parlare del concerto, che ne dite?

TROLDHAUGEN
Un pensiero fa capolino nella mia zucca vuota allorquando faccio il mio ingresso al Colony: mamma mia quanto li adoro.
La band australiana, che già mi entusiasmava nella sua versione da studio, riesce agevolmente a conquistarmi anche in sede live.

Merito della setlist, che sciorina i migliori brani dell’ultimo lavoro Obzkure Anekdotez for Maniakal Massez (certo che un pezzo dal debut Ramshackle potevate regalarmelo…); merito di un sound originalissimo, che mescola folk, power sinfonico, avantgarde e chi più ne ha più ne metta, innaffiando il tutto con una generosa spruzzata di demenzialità; merito dell’ottima prestazione dei musicisti, scazzati ma abilissimi.
Una menzione d’onore, a riguardo, va spesa per il singer Reventüsk: tanto corpulento quanto teatrale, il cantante di Wollongong catalizza l’attenzione degli spettatori in virtù di una presenza scenica unica, fatta di pose improbabili, passi di danza ancor più improbabili ed espressioni facciali degne del miglior Jim Carrey.

Geniale, poi, l’idea di allestire un salottino (con tanto di divanetti dalle discutibili fantasie e alcolici vari) nelle retrovie del palco per permettere alle altre band di assistere alle performance dei colleghi; in tal modo, oltre a noi del pubblico, possono usufruire della esibizione membri di Crimson Shadows e Alestorm.
Certificano il clima rilassato e amichevole che grazia questo tour le numerose interazioni tra componenti dei vari gruppi: passaggi di birra, scherzetti assortiti (perlopiù mollette da bucato attaccate ai vestiti), battute, risate e addirittura la temporanea cessione dello strumento da parte del chitarrista Meldengar –bravo e anche bello, a dire di mia moglie-.

Dopo la cover di Gimme! Gimme! Gimme! degli Abba, i Troldhaugen chiudono il set con la folle Swamp Rocket, lasciando il palco tra gli applausi convinti delle poche anime arrivate al Colony per tempo.
I ritardatari, ahiloro, si sono davvero persi qualcosa.

CRIMSON SHADOWS
Tocca ai cinque canadesi abbassare il tasso di contagiosa (e meravigliosa) stupidità che aleggiava nell'aere, immergendoci nell’immaginario battagliero di cui il loro power metal sparato a mille all’ora è intriso.

Avendo ascolticchiato il loro ultimo Kings Among Men ma non il debut Glory on the Battlefield –se pensate che i titoli siano stereotipati dovreste leggere le lyrics- sono lieto di constatare che la setlist non preveda nemmeno un estratto da quest’ultimo.
Oddio, a ben pensarci non sarebbe cambiato granché, posto le canzoni dei Crimson Shadows sono tutte uguali…

Melodie, ritornelli, riff e strutture dei brani sembrano in effetti prodotti con lo stampino; se a ciò aggiungiamo che le possibilità evolutive di un gruppo del genere non sono certo quelle di un Pokemon (questa dev’essere l’affermazione più nerd della mia vita) e che tanto il growling quanto le movenze del singer Jimi Maltais paiono del tutto aliene al sound proposto -io lo vedrei bene in un gruppo deathcore tipo Shadows Fall, pensate un pò…- ne esce un panorama piuttosto plumbeo.

Ciò premesso, non si possono nemmeno sottostimare le indubbie doti dei Nostri, i quali, ricordiamolo, trionfarono nell’edizione 2013 della Metal Battle di Wacken: preparazione strumentale di prim’ordine, sezione ritmica incessante, coppia d’asce pulita e precisa (in particolare Greg Rounding, un autentico fulmine a dispetto della mole) tanto nelle ritmiche quanto nei solos, capacità di galvanizzare i patiti del power -ed in particolare dei Dragonforce- grazie ad un discreto carico di pathos epico (ottenuto anche grazie al vetusta formuletta “strofa serrata in growl + chorus maestoso in clean”)…

Insomma, una esibizione di buon livello da parte di autentici funamboli dello strumento, conclusa dalla bella Heroes Among Us e salutata con favore dagli astanti; per fare il salto di qualità, però, temo servirà altro e di più.

BRAINSTORM
Nella vita, si sa, bisogna fare delle scelte.
Pur apprezzandoli come persone e musicisti, non ho mai innalzato i Brainstorm al rango di ascolto fondamentale, limitandomi a seguirne distrattamente carriera e discografia. Tant’è.

Questo, d’altra parte, non impedisce affatto di usufruire di un live davvero esemplare per attitudine, carica, mestiere e grinta. Nonostante rappresenti la realtà più agé del lotto –esprimo grande solidarietà, visto che anch’io mi sento un matusa in mezzo ad un pubblico di adolescenti- il quintetto di Heidenheim an der Brenz ci mette poco a farsi apprezzare: il loro power metal diretto e quadrato, anche grazie agli ottimi suoni, fa scapocciare che è un piacere.

La coppia di chitarristi, formata da Torsten Ihlenfeld e Milan Loncaric, si conferma granitica e affidabile sulle ritmiche, donando a brani come la title track dell’ultimo lavoro Firesoul, Shiva’s Tears e Hollow Hideaway il giusto tiro; sugli assoli, per quel che mi riguarda, non andiamo altrettanto bene -nulla di grave in ogni caso-.
Davvero magnetica la presenza di Andy B. Franck, magari non esemplare nel vestiario ma dotato di ottima voce e grande capacità di coinvolgere il pubblico da veterano scafato qual è: qualche frase in italiano, una battuta qua e là e soprattutto un paio di bestemmioni ben scanditi, che da queste parti riscuotono sempre successo.

L’esibizione prosegue liscia, grazie a una setlist che pesca con equilibrio e raziocinio nell’ormai ragguardevole bacino produttivo dei tedeschi, riuscendo a creare un buon equilibrio tra mid tempo e pezzi più tirati.
Fa un figurone la tripletta finale, aperta dalla recente …And I Wonder (gran ritornello), proseguita dal contagioso coretto di All Those Words (saggia la scelta di utilizzarlo per il singalong) e conclusa dalla trascinante How Do You Feel (miglior episodio di Downburst e ormai classico della band).

La sensazione, mentre i Brainstorm lasciano il palco per lasciar spazio agli headliner, rimane quella di sempre: gruppo onesto, che sa fare il proprio mestiere e lo sa fare bene. Al tempo stesso, credo che il loro posizionamento nello sterminato elenco delle mie band preferite non subirà scossoni, rimanendo abbarbicato a una placida metà classifica senza rischi di retrocessione.
Affidabili.

ALESTORM
Iniziamo da una piccola grande certezza: se come backdrop sfoggi una schermata di Monkey Island e ne utilizzi uno dei temi musicali come intro, per quel che mi riguarda, hai già trionfato prim’ancora di aver suonato una singola nota.
Ciò premesso, l’avvento dei cinque scozzesi genera tremendo entusiasmo anche sul resto del pubblico, talmente imberbe che dubito abbia mai potuto smarrirsi nei terribili rompicapo che costellavano le avventure di Guybrush Threepwood. Balletti, pogo, trenini, lanci di oggettistica a varia attinenza piratesca e chorus cantati a squarciagola contribuiscono non poco a scaldare lo show (e qui ci si mette anche la temperatura equatoriale del Colony).

Al resto pensano gli Alestorm: macchine da guerra in sede live, snocciolano un brano dopo l’altro senza batter ciglio ma con una particolare attenzione al puro entertaining. Gli spassosi siparietti di Christopher Bowes, in particolare, ne certificano le evidenti doti di frontman… nonché l’assoluta incapacità di spiccicare una parola nel nostro idioma (chiedere a Guiseppe Lamborghini per chiarimenti).
Anche il minuscolo Dani Evans, tra un assolo e un riff, conquista i presenti grazie all’innata simpatia e alla meravigliosa barba (mia moglie si è invaghita anche di lui… me ne convinco sempre più: invece di inseguire la chimera della professione forense avrei dovuto imparare a suonar la chitarra).

Grande successo riscuotono i numerosi estratti dall’ultimo Sunset on the Golden Age: l’opener Walk the Plank, la travolgente Drink, Magnetic North e Surf Squid Warfare vengono osannate al pari delle ormai immancabili Back Through Time, The Sunk’n Norwegian e Over the Seas. Addirittura, la canzone più richiesta dalla platea è Hangover: ottimo segno per una band i cui margini di progressione in termini di sound paiono piuttosto esigui.

L’esibizione, come tutte le cose belle, sembra finire in un attimo: tra un inno e un altro, una Shipwrecked e una Midget Saw, una Nancy the Tavern Wench e una Pirate Song giungiamo alla stretta finale con una torrenziale Keelhauled -autentico cavallo di battaglia dei Nostri- eseguita alla perfezione.
Seguono The Huntmaster e Wenches & Mead, al termine della quale assistiamo al noto siparietto dei finti saluti prima del bis; sia gli spettatori che i musicisti sono esausti e accaldati, ragion per cui una piccola pausa viene accolta con sollievo.

È opportuno ricaricar le pile in vista dei bis, che vengono inaugurati da 1741 (the Battle of Cartagena), senz’altro uno dei brani migliori dell’ultimo lavoro; sulle successive Wolves of the Sea e Captain Morgan’s Revenge assistiamo al definitivo degenero del pubblico non pagante (leggasi: i componenti di Troldhaugen e Crimson Shadows appollaiati nel salottino in fondo al palco), che si concede numerose scorribande dalle parti della band, partecipando ai cori, proclamando un brindisi dietro l’altro e in generale rendendo lo stage un assoluto macello. Ci si mette anche Andy B. Franck, che si presenta munito di pesi e inizia a inscenare un esercizio per i bicipiti… umorismo teutonico presumo.

La conclusiva Rum, come si potrà immaginare, rappresenta l’apice del delirio, e conclude una esibizione davvero spettacolare per partecipazione e coinvolgimento, senza tralasciare la straordinaria prova degli Alestorm.

La delusione per la fine della festa si stempera in fretta quando ci si accorge che Bowes è già in pole position al bancone del bar per bersi un goccetto (due al massimo) e scambiare qualche chiacchiera coi fan.
Noi, purtroppo, siamo costretti ad abbandonare la nave: la parentesi di escapismo è chiusa, e la libidine coi fiocchi svanisce come neve al sole. Si torna di colpo nel bresciano, alle prese con le solite tribolazioni quotidiane… almeno sino al prossimo concerto.

We are here to drink your beer!

TROLDHAUGEN setlist:
1 - Hunting Tactics for Mythical Creatures
2 - Lefty's Wild Ride
3 - The Good, the Bad and the Gristle
4 - Dia del Chupacabra
5 - Viva Loa Vegas
6 - Cut to the Chase
7 - Gimme! Gimme! Gimme! (Abba cover)
8 - Swamp Rocket

CRIMSON SHADOWS setlist:
1 - Rise to Power
2 - A Gathering of Kings
3 - Freedom and Salvation
4 - Braving the Storm
5 - Heroes Among Us

BRAINSTORM setlist:
1 - Highs Without Lows
2 - Shiver
3 - Firesoul
4 - Fire Walk with Me
5 - Worlds Are Comin' Through
6 - Hollow Hideaway
7 - Falling Spiral Down
8 - Doorway to Survive
9 - Shiva's Tears
10 - ...And I Wonder
11 - All Those Words
12 - How Do You Feel

ALESTORM setlist:
1 - Walk the Plank
2 - The Sunk'n Norwegian
3 - Drink
4 - Over the Seas
5 - Shipwrecked
6 - Magnetic North
7 - Back Through Time
8 - Nancy the Tavern Wench
9 - Midget Saw
10 - Pirate Song
11 - Surf Squid Warfare
12 - Keelhauled
13 - The Huntmaster
14 - Wenches & Mead
Encore:
15 - 1741 (The Battle of Cartagena)
16 - Wolves of the Sea
17 - Captain Morgan's Revenge
18 - Rum
Report a cura di Marco Cafo Caforio

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