Piuttosto che assistere ad un concerto degli
Obituary (ma anche di qualsiasi altra band…) in un locale romano al chiuso a metà luglio me ne sarei rimasto tranquillamente a casa, ma vedendo che i cinque capelloni statunitensi facevano tappa anche a Cascina (Pisa) in un bello spazio verde all’aperto avevo già pensato di sciropparmi qualche centinaia di km tra autostrada ed Aurelia per godermi un concerto come Cristo comanda.
La conferma definitiva è poi arrivata quando ho scoperto che tra i gruppi di supporto c’erano i grandissimi Tossic, band storica con 25 anni di carriera alle spalle che non ricordo più quanti lustri fa ero riuscito a vedere in sede live, divertendomi tantissimo ed apprezzando il loro thrash/heavy metal tanto da divenirne poi fan in maniera costante.
Al
The Jungle non ero mai stato prima, ma devo ammettere che il fatto di parcheggiare gratuitamente con tutta comodità accanto allo spazio verde dove si svolgono i concerti è stato un ottimo biglietto da visita, corredato da poltroncine, divanetti, gazebo, stand coi panini, salsicce alla brace, birre e gelati vari ed un grande palco scoperto dietro il quale un tramontante sole ci acceca piacevolmente. L’argine sulla nostra destra chiude e completa il panorama, con decine di persone che ci corrono sopra e rendono l’atmosfera davvero rilassata e piacevole, perfetta per un’occasione del genere. Anzi, quasi è venuta voglia di correre pure a me!
Nonostante sia partito da Roma appena dopo pranzo, gli orari di esibizione devono essere stati rispettati al minuto, poiché al mio arrivo vedo già sul palco gli
Under the Ocean che stanno per terminare la loro esibizione, purtroppo di fronte a non più di dieci persone. Ed intanto mi scuso con gli opener
Mutant Safari che purtroppo ho saltato di netto, magari ci rivediamo a Roma prima o poi ;)
L’affluenza alle 19 circa è ancora molto povera, e già temo un super flop, invece poi il The Jungle mi sorprenderà con una partecipazione davvero importante che seriamente non mi aspettavo. Dispiace per le band che hanno aperto e che si sono esibite di fronte ad una manciata di persone, ma fa piacere constatare che questi ragazzi hanno avuto un atteggiamento assai professionale, sbattendosi come se si trovassero di fronte a cento o più persone. Valutare gli Under the Ocean con un solo brano ascoltato non è possibile ma l’impatto comunicato in prima istanza non era affatto male, con il loro deathcore moderno tanto in voga negli ultimi tempi; decisamente da riascoltare in un contesto più approfondito, così come sono da riesaminare i
Sulfur che con la loro proposta particolare e personale hanno allietato di buon grado la mia cena costituita da un panino “indigesto” (era proprio il nome, nonché buonissimo) e birrone gelato.
Sebbene il tramonto accecante e la luce del sole non fossero proprio congeniali per la loro proposta, i Sulfur se la sono cavata egregiamente, tra partiture più doom ed accelerazioni black, creando un’alternanza di suoni e situazioni più che interessante. Il The Jungle inizia a riempirsi pian piano, anche perché il sole è ormai tramontato e perché salgono sul palco dei padroni di casa come gli
Humangled provenienti da poco lontano, Pontedera: un po’ perché in territorio amico e un po’ perché il loro death metal super classico (con
Death in cima alla lista dei riferimenti) l’atmosfera inizia a scaldarsi, si viene trascinati in un vortice di riffs che invita a muoversi, dimenarsi, scapocciare un po’, complice l’affiatamento della band, esperta ed in giro da un bel po’ (quasi 20 anni!), e dal bravo singer
Andrew che non fa una piega né dietro il microfono né in veste di pacato ma deciso intrattenitore. Un’ottima prestazione che introduce uno dei due piatti forti della serata.
Per chi è proprio di queste parti magari assistere ad un concerto dei
Tossic sarà quasi una normalità, ma per noi vecchietti della capitale ed amanti delle sonorità estreme da così tanti anni è quasi un’emozione rivederli on stage, poi assieme agli Obituary, visto che come ricorda anche
Mazza sono passati ben 22 anni da quel Gods of Death a Milano con anche
Extrema, Dismember e Napalm Death…che tempi! Eppure, cari ragazzi, il tempo non vi ha scalfito visto che siete sempre baldanzosi e cazzuti e la prova di stasera lo dimostra ampiamente. Uno show granitico, travolgente, che dimostra una band che sa suonare e pestare duro, tra partiture più cadenzate e momenti più frenetici, e che solo uno stolto potrebbe bollare superficialmente come grossolana solo perché adotta dei testi goliardici in italiano.
La scaletta è equamente distribuita, ma anche se non fosse è difficile trovare dei momenti tristi nella loro carriera discografiCa: si passa con nonchalance dalle vecchie “
Come una Iena”, “
Voglia di Morte”, “
Catarro Tricolore”, “
Strano” (uno dei loro migliori!), alle più recenti “
Mamma d’Agnello” (ahahah tutte a pecoraaaa), “
Birra”, “
Umano” e “
Mot”, tra una battuta e l’altra, un breve siparietto, un’introduzione che strappa qualche risata prima di rituffarci a corpo morto nel metal dei Tossic, uno dei più grandi gruppi che l’Italia ha saputo darci ed al quale, come al solito, non siamo stati capace di dare i giusti meriti. Tutti sugli scudi, con
Asma che disegna e colpisce con la sua chitarra ed anche il resto della band che macina sicuro come non mai, peccato solo il basso di
Canna poco udibile per metà concerto, poi finalmente sistemato nella seconda parte dello show. La voce di
Mazza non teme il minimo cedimento e ci accompagna in formissima dall’inizio sino al gran finale, che tutti aspettano ormai da vent’anni e passa, visto che i Tossic da sempre “
ci danno il pane”, sotto forma di cazzi ovviamente. Una grande festa per una band che lascia il palco agli Obituary e saluta una platea, adesso sì numerosa e folta, che gli rende il giusto tributo: è decisamente valsa la pena saltare lo show di Roma per venire a Cascina!
Ed è quindi la volta degli headliners, miei amatissimi
Obituary, già ammirati in passato tre o quattro volte (inizio a perdere colpi…non ricordo più metà dei concerti ai quali ho assistito…male male!) e tra i miei preferiti in ambito death metal, con pietre miliari a nome di “
Cause of Death” o “
The End Complete” che il tempo consegnerà, anzi ha già consegnato, alla storia.
Oggi non c’è né
Allen West (poraccio…mentre loro suonano “
Slowly We Rot" accanto all’argine quello starà subendo violenza in qualche prigione dell’Arkansas), né
Santolla (grazie Dio, mi spiace Ralph ma a parte pochissimi momenti non ti sopporto, musicalmente) e troviamo il corpulento
Kenny Andrews alla solista che, diciamolo subito, sarà la nota più lieta della serata: preciso, pulitissimo, non sbaglia un tocco, ha uno stile MOLTO simile a
James Murphy e rende benissimo nei pezzi più vecchi, nonché in quelli più recenti. Non appare molto e non fa nulla per farsi notare, ma suona alla grande e questo è quello che più conta, bravo!
Per il resto, a parte
Terry Butler al basso al posto di
Watkins da qualche anno, ed è comunque un piacere veder suonare uno che è stato nei
Death o suona coi
Massacre, troviamo la sacra triade formata dai fratelli
Tardy e
Trevor Peres. I laboratori della Crescina dovrebbero andare là dove vivono questi tre, presumo in Florida (ma anche a casa di Mazza eh), perché più il tempo passa e più i loro capelli diventano lunghi e bellissimi. Non un filo di grigiume, né di stempiatura, liscissimi e meravigliosi quelli del barbone Trevor, friseè e mossi quelli fantastici di John, che almeno però un po’ di panza l’ha messa su insieme a qualche ruga, invece Peres evidentemente ha stretto un patto col demonio, col suo faccione di bimbo e le guanciotte, non c’è altra spiegazione.
Donald invece, con tutto il lavoro alla batteria che deve sobbarcarsi ogni sera è sempre smagrito e dall’aria stanca, ma è davvero un drummer con le contro palle, picchia come un forsennato ed è un vero motore umano per gli Obies.
Lo show scivola via compatto e granitico, con tutti i pregi ed i soliti difetti degli Obituary: di tutte le volte che li ho visti, oggi purtroppo la voce di John ha qualcosina che non va, non è profonda e bestiale come al solito, sembra che una sorta di raucedine lo blocchi specie ad inizio concerto, poi man mano che il minutaggio prosegue le cose sembrano sistemarsi e da metà esibizione in poi per fortuna si riprende. Inspiegabili, ma ormai di uso comune, le pause che la band fa tra un brano e l’altro, tutti girati di spalle intorno alla batteria di Donald senza emettere una nota o parlare al microfono: due, tre minuti di silenzio e via, si riparte, come se ogni volta si dovesse decidere al volo che pezzo fare, tra un “
questa non me la ricordo”, “
mo’ che famo” e “
rifamo quella de prima che tanto nessuno se n’accorge”.
Ed invece ce ne accorgiamo eccome, dato che a parte “
Xecutioner’s Return” e “
Darkest Day” che proprio non siamo riusciti MAI ad apprezzare (e mai lo faremo, probabilmente), siamo amanti degli Obies dal seminale “Slowly We Rot” fino al disco della reunion “
Frozen in Time”, passando per i capolavori già citati ma anche i bellissimi “
World Demise” e “
Back from the Dead”.
La scaletta è stata assai godibile sebbene un po’ strana poiché, a meno che non mi sia rincoglionito io (possibilissimo!) non c’è stato nemmeno un brano tratto da questi due ultimi dischi (di sicuro le più belle e rappresentative non le han fatte, tipo “
I Don’t Care”, “
Threatening Skies” o “
By the Light”), mentre gran risalto è stato dato a “
Cause of Death” e “
The End Complete”: tra un paio di brani nuovi (uno intitolato “
Inked in Blood”, presentato come primo bis, l’altro non ho capito il titolo, in ogni caso entrambi non proprio da strapparsi i capelli), si sono susseguiti pezzi storici come “
Intoxicated”, “
Chopped in Half”, “
Turned Inside Out”, “
The End Complete”, “
Back to One”, la meravigliosa “
Infected” e l’altro bis “
Body Bag”, da infarto, prima del gran finale affidato, com’è ovvio che sia, al manifesto di “
Slowly We Rot” dove si raggiunge l’apice di un pogo che in ogni caso ha accompagnato tutto il concerto, riportandomi un po’ indietro negli anni, quando a fine ’80 e nei ’90 era la normalità, mentre oggi con un pubblico spesso imborghesito e più preso da cellulari e cazzate varie rappresenta quasi una rarità, e ve lo dice uno che tranne RARISSIMI casi ha sempre assistito ai concerti da dietro al mixer, magari appoggiato ad un muretto o una colonna, scapocciando sì, ma con la voglia di assimilarne ogni nota ed aspetto.
Una serata davvero che riconcilia col mondo, col metal e con la gente: atmosfera rilassata e musicalmente eccitante, servizi ok, cielo stellato, acustica buonissima, partecipazione del pubblico e tanti tanti gruppi validi e passionali. Magari fosse sempre così! Un ringraziamento allo staff del
The Jungle per la calorosa accoglienza ed alla
Hellfire Booking che come sempre ci assiste al meglio ed organizza eventi fantastici come questo.
Alla prossima, ragazzi!