Report a cura della nostra lettrice Contessa BathorySe c'è una band al mondo che non ha bisogno di intitolare il proprio ultimo album
Simplicity - tanto meno come reminder che il rock che funziona meglio è quello che rimane fedele alle origini e non si fa contagiare dall'ansia di seguire mode e tecnologie (che comunque, di base, è vero solo se non ti viene naturale) - sono i
Tesla. E' stato il loro tratto distintivo da sempre, da quando il loro rifiuto di piegarsi alle mode glam in voga tra i loro pari categoria e il loro presentarsi in pubblico, il più delle volte, in semplici jeans e maglietta, portò notoriamente Nikki Sixx a dichiarare che sembravano una manica di coltivatori di pomodoro. Lo stesso è sempre valso per la loro musica, ispirata ai classici del rock anni '70, dagli Aerosmith più diretti e genuini a gente come i Montrose: enfasi su riff e melodia, nessuna smania di seguire alla lettera formule o strutture preconfezionate, il talento, la fame e l'ispirazione necessaria per non auto-fotocopiarsi come fanno spesso anche i migliori. Hanno sempre dato l'impressione, più della stragrande maggioranza dei loro colleghi contemporanei, di avere zero interesse nell'immagine e mettere al primo posto cuore, passione e pura voglia di divertirsi. Certo, anche i Tesla ebbero la fisiologica pausa di 10 anni post-grunge, ma riuscirono a tornare col raro disco di reunion che, proprio grazie alla "semplicità" ormai inscritta nel DNA, riprendeva la loro evoluzione esattamente da dove si era interrotta e risultava tranquillamente all'altezza delle loro cose migliori, inclusi un paio di singoli (What a Shame, Caught in a Dream) che in un panorama commerciale più simile a quello degli esordi li avrebbero tranquillamente riposizionati alle abituali posizioni di classifica.
Questo, insomma, per spiegare che i Tesla di oggi non hanno problemi ad affiancare i nuovi pezzi alle vecchie hit e, soprattutto, nemmeno gli spettatori ad ascoltarli. E' come se la pausa non ci fosse mai stata.
Salgono sul palco della Islington Academy mentre la maggioranza degli inglesi è a casa a sorbirsi l'inaugurazione dei mondiali in attesa della partita del Brasile, ma la sala è comunque piena e li accoglie con il boato che si riserva a quegli amici che non si facevano vedere da un po', nonostante sia già il loro quarto show londinese post reunion, festival esclusi. Attaccano con
I Wanna Live, da Forever More del 2008, poi è subito il classico
Hang Tough a cui segue il nuovo singolo,
So Divine. Dopo
Heaven's Trail c'è
Into the Now, la potente opener del loro comeback album del 2004, poi c'è persino
Mama Fool, da Bust a Nut del '94, il loro unico album uscito malaccio e nel momento peggiore, e infine tocca a
MP3, canzone bandiera del nuovo disco. Che sì, ha più o meno il testo da anziano contadino nostalgico in ritardo sul mondo di 10 anni che state temendo, ma che si fa perdonare con il solito riff potente e incisivo. Quando cantano "we got to go back to simplicity" suona ancora come un "hey, altre band guardate come si fa’“ più che come un memo per se stessi come stanno dichiarando nelle interviste promozionali con la modestia che li contraddistingue.
Jeff Keith non è mai stato un adone, ne esattamente macho, ma neanche effeminato in senso glam come andava di moda negli anni '80: questo gli avrà impedito di finire sulle copertine di Cioè, ma non di comandare il palco con la naturalezza di chi sta cantando in salotto per gli amici più cari. Quello che importa è che l'energia non se n'è mai andata e che la sua voce è ancora solida e graffiante come ai bei tempi. E che la band, capitanata da un
Frankie Hannon che non ha perso il gusto per il fraseggio semplice ed efficace, sia invecchiata come un buon vino. E che
Dave Rude, sostituto dell'unico dimissionario dalla formazione originale Tommy Skeoch, ne sia praticamente un sosia giovane che ne mantiene sì la presenza arrogante, ma sa come non prevaricare e sfogarsi solo quando Frankie gli concede le luci del riflettore. Quando parte
The Way It Is è il segnale che da lì in poi ci saranno solo i grandi classici:
What You Give,
Signse
Love Song una dietro l'altra sono un colpaccio, e per qualche ragione (incontestabile) i nostri decidono di chiudere con una tripletta dal loro disco di esordio, ovvero Gettin' Better,
Modern Day Cowboye
Little Suzi.
Nella pausa prima dei bis pensi a tutti i pezzi clamorosi ancora lasciati fuori, specie da Psychotic Supper, ma i nostri salutano subito dopo una
Comin' Atcha Live alla velocità della luce. Tecnicamente si dovrebbe archiviare uno show del genere sotto l'etichetta "nostalgia", ma l'unico aspetto nostalgico di una esibizione talmente energica e tecnicamente ed emozionalmente impeccabile, è il fatto che il genere di musica che suonano è ormai rimasto tristemente fuori dalle mode e dai giri che fanno notizia. Come i coltivatori di pomodoro.
SetlistI Wanna Live
Hang Tough
So Divine...
Heaven's Trail (No Way Out)
Mama's Fool
Into the Now
MP3
The Way It Is
What You Give
Signs
(Five Man Electrical Band cover)
Love Song
Gettin' Better
Modern Day Cowboy
Little Suzi
(Ph.D. cover)
EncoreCumin' Atcha Live
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