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KingcrowApertura di questo caldissimo Gods 2008 affidata ai capitolini Kingcrow, che si erano fatti apprezzare non poco con il loro terzo album "Timetropia", grazie al loro pregevole Heavy Prog. Nonostante la complessità di canzoni come "Eyes of a Betrayer" (da "Insider" del 2004) e "Between Now and Forever" (questa tratta invece dal già citato "Timetropia") il pubblico, che ha da poco iniziato ad entrare nell'assolata e spoglia Arena Nord, dimostra di gradire e di voler supportare i Kingcrow, che da parte loro dimostrano apertamente l'entusiasmo derivante dal poter prendere parte ad un evento importante quale il Gods. Da sottolineare la prova del cantante, Mauro Gelsomini, che conferma tutto il proprio valore e non si fa alcun problema nel lasciare la scena ai propri compagni durante le lunghe parti strumentali (che riescono a catturare l'attenzione dei presenti), anche se poi si prende la rivincita con la conclusiva "A Merry Go-Round", sopratutto grazie al suo ammiccante finale.
Un'esibizione che ha sicuramente soddisfatto sia il pubblico sia gli stessi musicisti: un buon auspicio per questo festival.
Sergio "Ermo" RapettiBlack TideIl concerto del giovanissimi Black Tide inizia alle 12,41. la band si presenta con una formazione a tre elementi (il chitarrista Alex Nunez non è più della partita), e il non foltissimo pubblico sotto il palco riserva ai nostri un’accoglienza tutto sommato calorosa.
Si aprono le danze con uno dei brani del debut album “
Light from Above”, che verrà eseguito quasi per intero. Il suono risulta potente, sebbene il suono di chitarra non sia proprio definito, un po’ basso rispetto al volume generale della band.
Ma i ragazzi appaiono da subito molto in forma, sfoderando una prestazione energica e d’impatto, che coinvolge immediatamente il pubblico presente. Notevole, tra l’altro, la prestazione del batterista, sempre a tempo e potentissimo. In una trentina di minuti i Black Tide sfoderano 7 pezzi, tra cui una cover dei
Metallica, la stra-famosa “
Hit the Lights”… e la sensazione che se ne ricava è che i 3 americani siano, come dire, un po’ di “primo pelo”, cosa che dipende senza dubbio dalla giovanissima età del power trio.
Ciò nonostante, la non foltissima folla presente sembra gradire, ed accompagna le varie canzoni dei Black Tide con una discreta dose di applausi.
Pippo "Sbranf" MarinoLaureen HarrisC'è chi si fa le leggi su misura e chi fa suonare la propria figlia al Gods of Metal. Questione di stile e di peso "politico".
Così nella stessa giornata in cui sono headliner gli Iron Maiden, nella parte iniziale del concerto trova posto la band (complimenti al dinamismo del bassista Randy Gregg) guidata dalla figlia del loro mitico fondatore ed indiscusso leader.
E qui finisce tutto l'entusiasmo, perchè il risultato dell'esibizione di Lauren Harris è dato dalla somma di: 2 moine, 2 pose plastiche, 4 canzoni di cui 1 cover (quella di "Natural Thing" degli UFO).
Quello che ne emerge è quindi un rockettino frizzante, come quello della conclusiva "Steal Your Fire", ma tutto sommato banale, con pochi spunti degni di nota e con il minimo sindacale di energia, certo reso gradevole dalla presenza di Lauren (comunque una gran bella ragazza), ma è evidente che se non fosse per il rapporto di parentela già sviscerato, difficilmente avrebbe potuto salire su questo, ed altri, importanti palcoscenici.
Sergio "Ermo" RapettiAirbourneLa Roadrunner ha puntato moltissimo su questo quartetto australiano dedito a sonorità molto, ma mooolto vicine a quelle dei “padri” AC/DC. I quattro ragazzi di Melbourne, in effetti, si rivelano una vera forza della natura, sfoderando una prestazione muscolosa, “pogata” e carica di adrenalina. Tra le urla soddisfatte della gente, che comincia a farsi numerosa, la band sfodera, uno dietro l’altro, 7 pezzi del loro debut “
Runnin’ Wild”, penalizzati anche loro in maniera indegna da un sound pietoso, con chitarre bassissime ed un volume generale assolutamente non degno di una manifestazione di questo livello.
Poco male: gli Airbourne inanellano una song dopo l’altra, condite da qualche gustoso “fuori programma”, come ad esempio quando il singer Joel O’Keefe si arrampica sull’impalcatura fino ad arrivare in cima, per poi sedersi lì in alto e ricominciare a suonare!
Assolutamente fuori di testa, e tra le urla divertite del pubblico, il mitico Joel ritorna giù per ricominciare a suonare, bere ed innaffiare il pubblico con l’idrante!
Peraltro, durante tutto il concerto, i nostri accompagnano la loro esibizione a lunghe sorsate di Jack Daniel’s, e gli effetti si vedono, soprattutto sugli ultimi due brani, dove il singer barcolla, e parecchio! Sotto il sole insopportabilmente caldo di oggi assistiamo dunque ad uno show energico, suonato benissimo e assolutamente coinvolgente. Fa fede, in tal senso, la frase finale del singer: “As long as you people are alive, rock’n’roll will never die!”
Insomma, alla loro prima calata italica, gli Airbourne dimostrano di fare decisamente sul serio, lo show è stato coinvolgente, potente e decisamente piacevole, se non fosse stato per quei volumi disastrosi...
SetlistStand up for rock’n’roll
Hellfire
Fat City
Diamond in the rough
Girls in black
Cheap Wine and cheaper Women
Too Much, too young, too fast
Runnin’ WildPippo "Sbranf" MarinoApocalypticaIl pomeriggio del Gods continua con i finlandesi Apocalyptica, che con i loro violoncelli costituiscono una piacevole variazione all’interno del bill della giornata.
La loro proposta musicale è di quelle che non lasciano spazio a mezzi termini, esaltando il pubblico o, al contrario, annoiandolo a morte. Nei 45 minuti a loro disposizione il gruppo alterna le cover che li hanno inizialmente fatti conoscere al pubblico metal a brani composti dagli Apocalyptica stessi; nonostante la proposta non sia propriamente convenzionale, la reazione del pubblico calorosa e sono in molti a seguire con interesse l’esibizione dei finlandesi, come dimostra l’Arena piena fino alla zona del mixer. La formula adattata dal gruppo è quella di alternare piuttosto regolarmente pezzi propri e cover: si inizia subito con “
Refuse/Resist” dei Sepultura, a cui segue un brano targato Apocalyptica intitolato “
Grace”, dopo la quale viene il turno di una cover dei Four Horsemen, ossia “
Fight Fire With Fire” a cui fa seguito un’altra reinterpretazione di un brano, ma questa volta di tratta di “
Heroes” di David Bowie.
Viene naturale immaginare come il pubblico che popola la location si esalti e mostri un maggiore coinvolgimento quando gli Apocalyptica si cimentano nei brani dei Metallica, dei quali vengono riproposte “Fight Fire With Fire”, “
Nothing Else Matters” (probabilmente il brano più adatto allo stile del gruppo) e “
Seek And Destroy”: è in questi pezzi che il pubblico colma la mancanza del cantato (le linee melodiche dei pezzi vengono eseguite dai violoncelli), accompagnando letteralmente gli Apocalyptica nell’esecuzione di quei brani.
Michele "Coroner" SegataRose TattooAl termine di un pomeriggio assolato salgono sul palco delle leggende del rock’n’roll che non calcano i palchi italiani da tempo immemore e fa male al cuore ascoltare commenti dei più o meno giovani che non hanno idea di chi siano i Rose Tattoo. Di certo
Angry Anderson non ha bisogno di presentazione e coinvolge da subito l’audience a suon di sano rock’n’roll southern boogie nonostante il vergognoso volume al limite dell’udibilità (e che aumenterà solo con i Maiden…).
Il tatuatissimo frontman arringa tutti i “brothers and sisters” sulle note di classici quali "
Rock’n’Roll Outlaw”, “
Rock’n’Roll is King”, “
Scarred For Life”, un medley di “
We Can’t Be Beaten” e “
Bad Boy For Love”; energia e grinta a profusione, a dispetto dell’età non più giovane dei nostri.
La voce graffiante di Angry non ha perso un filo di potenza e il nuovo chitarrista solista della formazione australiana da lezioni di “slide” con soli impeccabili e ricchi di feeling. A conclusione di uno show davvero da ricordare la celeberrima song e inno immortale “
Nice Boys Don’t Play Rock’n’Roll” (resa nota al grande pubblico dai Guns che la coverizzarono su Lies rendendo giustizia ai nostri) dove Angry Anderson lancia addirittura il microfono tra il pubblico per dare possibilità ai fans di sfogarsi nel ritornello. Non vediamo l’ora del prossimo show !!
Gianluca "Etilico" SilviAvenged SevenfoldTocca ai californiani
Avenged Sevenfold l'arduo compito di aprire per i leggendari Iron Maiden. I primi ad esserne consapevoli erano proprio loro stessi, consci del fatto che il pubblico italiano sarebbe stato ostile (o meglio, idiota) nei loro confronti.
La band, capitanata dal cantante Matthew Shadows scende sul palco alle 19.15, con un quarto d'ora d'anticipo rispetto alla scaletta ufficiale. Ad aprire i battenti spetta alla traccia di apertura del loro ultimo album, la buona
Critical Acclaim, che ci mostra subito una band carica e in palla al punto giusto. A seguire viene proposta l'ottima
Afterlife, a mio giudizio il miglior pezzo del nuovo album, ma il pubblico sembra non gradire ed iniziano ad echeggiare fastidiosi canti "maiden, maiden".
Canti che si fanno più insistenti dopo la splendida
Beast and the Harlot, eseguita alla grande. Al termine della canzone successiva,
Scream (altro estratto del loro ultimo lavoro), iniziano a volare bottiglie verso il palco. La band americana prende la cosa con filosofia (ci scherzano sopra più volte) e professionalità e prosegue il proprio spettacolo con
Bad Country. Ma è solo con la cover della panteriana
Walk che il pubblico finalmente si fa coinvolgere dallo spettacolo.
Il concerto prosegue su ottimi livelli, con la proposizione, fra le altre, della melodica
Gunslinger (da pelle d'oca) e del potente singolo
Almost Easy, ma il pubblico ha ormai preso gusto nella propria crociata anti-Avenged Sevenfold e l'esibizione della band si conclude con uno stizzito "your fuckin' Iron Maiden are next" da parte di Shadows, che con i compagni abbandona il palco in fretta e furia, sotto i soliti cori "maiden, maiden".
In conclusione il pubblico metallaro italiano ha perso un'altra occasione per fare bella figura, mentre dalla loro gli Avenged Sevenfold hanno proposto uno show davvero impeccabile e sicuramente meritevole di ben altro trattamento. Avanti così.
Alessandro "Ktulu" VillaIron MaidenLa prima torrida giornata del Gods “vive” nell’attesa dei padri indiscussi dell’heavy metal, quegli Iron Maiden che, astuta mossa commerciale, preparano una setlist tutta incentrata sul periodo 1980-1988, fino a “Seventh Son…” incluso, per intenderci.
E così, in leggero anticipo sull’ora di tabellone, i 6 Maiden danno vita ad uno show memorabile. Giusto per far capire di che pasta sarà la scaletta, appena le luci vanno giù la stra-famosa intro “
Churchill’s Speech” fa esplodere di gioia, nel buio, le tantissime persone accorse all’evento: pochi secondi, e “
Aces High” infiamma l’Arena Parco Nord! I Maiden sono decisamente in palla, anche se le prime canzoni sono un pò offuscate da piccoli problemi tecnici (al microfono di Bruce e al rullante di Nicko, oltre ad un leggero feedback sui monitor), ma la scaletta proposta è di primissimo ordine: vengono sparate, senza soluzione di continuità, perle del calibro di “
Aces High”, “
2 Minutes to Midnight”, “
Revelations”, “
The Trooper”.
La folla è evidentemente in visibilio, e di certo non verrà delusa da una band che ormai, dopo tanti anni, sa perfettamente svolgere il suo lavoro, senza lasciarsi distrarre da problemini decisamente di poco conto. Il concerto vivrà altri momenti memorabili, come l’esecuzione per intero della mitica “
Rime of the Ancient Mariner”, e la presenza nella setlist di altri pezzi che hanno davvero fatto la storia della metal band forse più amata del pianeta.
Piccola nota a margine: canzone bellissima, per carità, ma cosa c’entra “
Fear of the Dark” con questa scaletta??? Beh, poco male, lo show è sicuramente divertente e d’impatto. Nella scenografia non mancano gli sfondi a tema per quasi ogni pezzo, così come non può mancare il pupazzone Eddie, questa volta in versione “Somewhere in Time”, che come sempre viene sul palco a fare a cazzotti “virtuali” con il biondo Janick Gers, il quale come al solito, a modesto avviso di chi scrive, è il più coreografico e forse il meno convincente dei tre chitarristi della Vergine.
In conclusione, gli Iron Maiden sono come il McDonald’s: può piacerti o farti schifo, ma di certo, in qualsiasi posto del mondo ti trovi, saprai di certo che gusto ti aspetta. E a me, personalmente, il cheeseburger piace da impazzire…
Pippo "Sbranf" MarinoUna interminabile giornata di caldo, sbruciacchiati dal sole dove l'unico riparo era costituito dagli stand che racchiudevano temperature terrificanti, neanche un filo d'aria a rendere l'attesa un po' meno drammatica ed un albero dove trovare riparo dai fortissimi raggi solari; forse non ho più l'età per certe strapazzate ma una location meno adatta di quella bolognese non si poteva proprio trovare, neanche in Namibia.
Ed ecco che dopo ore di interminabile attesa è finalmente giunto il momento per i paladini del metal mondiale di iniziare la loro tourneè europea del “
Somewhere Back In Time Tour”; tutto è pronto con un po' di anticipo sugli orari prefissati dalle scalette e la solita “
Doctor Doctor” degli U.F.O. è il definitivo segnale che i Maiden sono pronti a salire sul palco per rendere omaggio agli album che, prodotti da un rimpiantissimo Martin Birch, hanno consacrato difinitivamente la Vergine Di Ferro nel panorama musicale mondiale, trattasi di “
Powerslave”, “
Somewhere In Time” e “
Seventh Son...”.
La intro di “
Aces High” è il preludio ad una tripletta non stop mozzafiato formata anche da “
2 Minutes To Midnight” e “
Revelations” che però lascia scorgere subito alcuni problemi di natura non tecnica legati all'esibizione della storica band inglese, Bruce Dickinson non pare godere di una voce calda e subito pronta a sibilare, le chitarre soffrono di qualche sbavatura che sembra legata ad una non perfetta sincronizzazione dei maestri Smith-Murray-Gers, ma il pubblico sembra non farci caso ed agitandosi, urlando e cantando a scquarciagola nell'arena gremita di persone, con la collinetta dietrostante interamente presa d'assalto, fa da ottima cornice alla commuovente scenografia egiziana ripresa dal mitico “World Slavery Tour”, ancora oggi uno dei tour più prestigiosi della storia del rock.
Ancora qualche inmancabile song come “
The Trooper”e “
The Number Of The Beast” alternate a pezzi un po' meno consueti per un concerto degli Iron, come “
Wasted Years” e “
Can I Play With Madness” per arrivare ad iniziare a scorgere qualche perla riproposta dopo anni di oblio, si tratta di “
The Rime Of The Ancient Mariner”, e qua ci sono i brividi per tutti; Dalla scenografia appare un immenso pontile di una nave, “Hear the rime of the ancient Mariner...”
Bruce Dickinson inizia a dar luogo alla migliore performance della serata, forse la meraviglia dovuta ad ascoltare live un pezzo così non mi fa capire più niente, i fuochi d'artificio che accompagnano a ritmo la musica sono davvero affascinanti, il pubblico è a bocca aperta, ancora adesso a riscrivere quanto vissuto mi vengono i brividi dovuti all'emozione di ripensare a quei 13 minuti che sicuramente rievocherò ogni volta che ricorderò il Gods of Metal 2008, di seguito “Powerslave” ci porta davvero a ricordare con immensa soddisfazione il tour che da ormai 23 anni rimane un caposaldo della discografia live della band.
Si susseguono con fiammate ed ovazioni tutti gli altri mitici episodi Maideniani, compresa una “
Heaven Can Wait” con il solito coretto composto da una ventina di fortunatissimi, ancora caratterizzati da qualche piccola imperfezione esecutiva da parte della band, forse “The Siren” non guida l'aereo così tanto bene e nelle precedenti traversate ha rincoglionito un po' i non più giovanissimi chitarristi, ma lo show deve andare avanti e tra un classico e l'altro è l'ora di concedere 5 minuti di pausa ai nostri eroi, che successivamente ad “
Iron Maiden” ci introducono dalla voce del solito Bruce Dickinson, con “Seven deadly sin, seven ways to win...”, la first track del “settimo figlio...” ovvero “
Moonchild” seguita dalle conclusive “
The Clairvoyant” e
“Hallowed Be Thy Name” e come al solito una valanga di applausi e cori malinconici tutti diretti a Steve e soci.
Ecco, adesso qualcuno mi spieghi come mai in un tour che doveva comprendere i già citati album, come già si sapeva ci siamo trovati di fronte “
Fear Of The Dark” e non “
Seventh Son Of A Seventh Son” ad esempio, da questo punto di vista sono vermaente deluso visto che in quello dei primi quattro album, sempre sullo stesso palco Bolognese, non sono stati proposti pezzi successivi al 1983.
Francesco “Thrash” GuidariniSetlistChurchill’s speech
ACES HIGH
2 MINUTES TO MIDNIGHT
REVELATIONS
THE TROOPER
WASTED YEARS
THE NUMBER OF THE BEAST
CAN I PLAY WITH MADNESS?
RIME OF THE ANCIENT MARINER
POWERSLAVE
HEAVEN CAN WAIT
RUN TO THE HILLS
FEAR OF THE DARK
IRON MAIDEN
MOONCHILD
THE CLAIRVOYANT
HALLOWED BE THY NAME