(05 novembre 2015) Slayer + Anthrax + Kvelertak, Alcatraz - Milano, 05.11.2015

Info

Provincia:MI
Costo:€40,00 + d.p., €45,00 in cassa
Se non bestemmio guarda…
Inaugurerei così, citando l’indimenticato Germano Mosconi, un live report forzatamente monco.
Già, poiché allorquando mi appropinquo tosto e baldanzoso a richiedere i miei accrediti, e scopro che per motivi misteriosi il mio nome non figura nella lista, la voce del giornalista veneto fa capolino nella mia testolina, insinuandovi imprecazioni d’inusitata rudezza.

L’inghippo organizzativo, se così vogliam definirlo, in un sol colpo mi obbliga a:
- investire 45 euro non preventivati per il biglietto (per fortuna ce n’erano ancora);
- riportare la macchina fotografica nella mia autovettura, ovviamente parcheggiata a svariate vie di distanza dall’Alcatraz;
- perdere l’esibizione degli Kvelertak.
Ma si sa, noi gloriosi scribacchini di Metal(hammer).it non ci facciam certo scoraggiare da promoter sbadati e avversità generiche: un paio d’imprecazioni ben assestate, una birra fresca e via, come nuovi, pronti ad assistere ad un concerto di grandissimo interesse.

Certo, assistervi per intero sarebbe stato comunque preferibile: pur basandomi su pochi istanti, mi pare di poter affermare che la band norvegese abbia messo in piedi uno show di buon livello. Il mixing impastato e la voce appena udibile, infatti, non impediscono alla compagine di Stavanger di mostrare notevole grinta e una miscela musicale difficile da catalogare ma molto intrigante, oltre che perfetta in un’ottica di riproposizione live. Peccato che circa 90 secondi dopo il mio ingresso stiano già salutando il folto pubblico.
Stai calmo Germano mio, stai calmo: ho colto il messaggio.

ANTHRAX
Chiariamo sin d’ora: gli Anthrax mi garbano, e non poco. Al tempo stesso, se dovessi stilare un’ipotetica classifica di gradimento personale dei titani del thrash d’oltreoceano, non potrei esimermi dal posizionare i newyorchesi sotto Slayer, Metallica, Testament, Megadeth ed Exodus. Colpa di una seconda fase di carriera trascurabile (volendo usare un eufemismo) e di una insopportabile tendenza ad invischiarsi col rap -per il sottoscritto il Male Assoluto trasposto in musica-.
D’altronde, quando i Nostri salgono sul palco e attaccano con la quadrupletta “Caught in a Mosh”, “Got the Time”, “Madhouse” e “Antisocial”, metto volentieri da parte distinguo e perplessità.

Tutto sembra filare liscio come l’olio: la coppia d’asce composta da Donais e Ian macina che è un piacere; Belladonna combina mirabilmente presenza scenica da frontman consumato, buona resa vocale e una colorazione pelle/capelli talmente improbabile da ricordare quella del nostro ex-ex-ex premier; la sezione ritmica, da ultimo, non perde un colpo.
Un plauso particolare va speso per il drummer sostituto John Dette, sul quale ho sempre nutrito forti perplessità ma che stasera merita solo elogi: preciso, veloce, potente, in grado di non far rimpiangere l’assenza -limitata, a quanto so, alla leg europea del tour- del titolarissimo Benante.

Trionfo assoluto quindi?
Ehm… andiamoci piano. L’annuncio (in un ottimo italiano) di Scott Ian lascia presagire il peggio: dopo tanti classici, è la volta di un brano nuovo. Addirittura nuovissimo, visto che “Evil Twin” è stata immessa in rete pochi giorni orsono, e finirà sul prossimo album degli Anthrax in uscita a inizio 2016.
Ecco, se il buongiorno si vede dal mattino siamo rovinati: riffing impalpabile e linee vocali incisive quanto una katana di marzapane stendono un velo di dolente apatia nel pubblico, sino ad allora davvero partecipe.

Mette una pezza il classicone “Indians”, mentre il tributo a due miti irraggiungibili come Dio e Dimebag, rappresentato dalla recente “In The End”, suona purtroppo insipido e prevedibile anche dal vivo: lodevole negli intenti, scialbo al risvolto pratico.
Si chiude in sicurezza, con una rocciosa versione dell’intramontabile "Among the Living". L’impianto luce fa le bizze, ma non importa a nessuno, e al termine dell’esibizione per gli Anthrax sono solo applausi. Meritatissimi, per quanto mi riguarda.
Rinchiusi in uno studio di registrazione non avranno più granché da dire, ma piazzati su un palco i cinque americani dimostrano di avere ancora molte cartucce da sparare.

SLAYER
Ah, gli Slayer… ormai il mio groppone inizia a curvarsi sotto il peso degli anni, tanto che comincio a perdere i conti e a dimenticare nomi e location dei concerti passati. Eppure, non credo di sbagliare se individuo nella band a stelle e strisce la compagine che più volte ho ammirato in concerto -Maiden a parte, ma loro sono fuori classifica-.
Quella di stasera, a spanne, sarà la mia ottava o nona volta, ma è la prima senza Jeff, con tutto quanto ne può derivare a livello emotivo.

Optando per una terapia d’urto decido di posizionarmi proprio di fronte alle spie del suo sostituto, quel Gary Holt cui è demandato l’arduo compito di succedere a un mostro sacro del thrash e della nostra musica tutta.
D’altra parte, lui stesso può fregiarsi della medesima qualifica, ha le spalle larghe e si dimostrerà scelta azzeccatissima.

Ma andiamo con ordine: l’Alcatraz è davvero gremito, il clima si surriscalda, le luci si affievoliscono, le pacchiane ma amabili croci rovesciate dietro al palco prendono a roteare e attacca l’intro “Delusions of Saviour”.
I Nostri beniamini salgono infine sul palco: ad inaugurare il massacro ci pensa "Repentless".
Man mano che si dipana la scaletta, saggiamente bilanciata tra classici ed estratti più recenti, iniziamo a scorgere i contorni della trama (il pogo selvaggio che si scatena tutt’intorno a me rende arduo concentrarsi). Ci accorgiamo quindi che i volumi sono quanto di più disumano possa udirsi in un locale chiuso, che i suoni possiedono una potenza addirittura deflagrante, che i quattro dal vivo hanno ancora pochissimi rivali… ma anche che, a voler esser pignoli, lievi imperfezioni qua e là affiorano.

Nulla di tremendo: qualche rullata poco riuscita di Bostaph -che, al contrario di Dette, ho sempre adorato, ma che forse stasera finisce per perdere il confronto diretto-, alcuni stacchi un po’ legnosi e un paio di sbavature chitarristiche rendono l’esecuzione complessiva meno scintillante di altre volte.
Va altresì rimarcato come la voce di Araya, seppur in inevitabile calando verso la conclusione, si sia rivelata molto più presente e forte rispetto ad esibizioni cui ho assistito in passato. Il buon Tom si conferma inoltre frontman attento e premuroso, chiedendo a più battute al pubblico assiepato di fronte al palco di indietreggiare, così da concedere alle prime file un po’ di meritato respiro. Raramente le sue esortazioni sortiscono effetti concreti, ma questo è un altro discorso.
Kerry King, poi, è la solita forza della natura, per quanto, dalla mia posizione, si fatichi non poco a percepire i suoi assoli in modo nitido.

E Gary?
Ok, ve lo confermo: senza Hanneman non è la stessa cosa.
Ciò detto, credo che meglio di così Holt non potesse fare: pressoché impeccabile nel riffing e ottimo sugli assoli -nei quali mette anche del suo, non limitandosi a riprodurre asetticamente quelli del compianto predecessore-. Una nota di colore: nei momenti di shredding più concitati, il Nostro si produce in smorfie con boccuccia semovente da far invidia al “mio” Dave Murray. Adorabile.

Prestazioni individuali a parte, il tiro e la ferocia con cui vengono affrontati i capolavori intramontabili “War Ensemble”, “Mandatory Suicide” e “Black Magic” sono fonte di godimento puro per i presenti. Non che le nuove sfigurino, anzi: “Vices”, “When the Stillness Comes” e “Implode” certificano la bontà dell’ultima release, e non fanno affatto scemare il livello di entusiasmo.

Certo che, quando viene sciorinata una tripletta del calibro di “Seasons in the Abyss”, “Hell Awaits” e “Dead Skin Mask”, i battiti del cuore aumentano di qualche bpm. Figuratevi poi cosa combinano i bis, inaugurati da "South of Heaven" e conclusi dall’immancabile accoppiata “Raining Blood” – “Angel of Death”.
Un tripudio, al termine del quale gli Slayer si accomiatano, lasciandoci zeppi di lividi, coi padiglioni auricolari ormai inservibili, eppur felici.

Eh già: non ci sono acciacchi, ostacoli organizzativi e sordità sopravvenute che tengano. Vincono, e di gran lunga, la soddisfazione e la consapevolezza di aver assistito ad un evento davvero eccezionale.
Ad maiora!

ANTHRAX setlist:
1- Caught in a Mosh
2- Got the Time
3- Madhouse
4- Antisocial
5- Evil Twin
6- Fight ‘Em ‘Til You Can’t
7- Indians
8- March of S.O.D.
9- In the End
10- Among the Living

SLAYER setlist:
1- Delusions of Saviour (intro)/Repentless
2- Postmortem
3- Hate Worldwide
4- Disciple
5- God Send Death
6- War Ensemble
7- When the Stillness Comes
8- Vices
9- Mandatory Suicide
10- Chemical Warfare
11- Die by the Sword
12- Black Magic
13- Implode
14- Seasons in the Abyss
15- Hell Awaits
16- Dead Skin Mask
17- World Painted Blood
ENCORE:
18- South of Heaven
19- Raining Blood
20- Angel of Death
Report a cura di Marco Cafo Caforio

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 19 nov 2015 alle 07:16

Bravo Cafo!