09.08.2015: ventunesima edizione dell’
Agglutination Festival, il meeting metallico più importante del sud Italia ed in fin dei conti uno dei più importanti e longevi di tutta la penisola.
Dopo aver festeggiato il ventennale con un’edizione da urlo, il nostro
Gerardo Cafaro torna a far tremare la terra della Basilicata chiamando gli immensi
Obituary come headliner.
Purtroppo il meteo non è stato d’aiuto, ma i circa 600 presenti non si sono fatti intimidire dalla copiosa e fastidiosa pioggia, co-protagonista della la prima parte della manifestazione assieme a qualche sporadica saetta. Evidentemente qualche band del bill non era gradita agli dei. Chissà.
Andiamo quindi ad analizzare questa ventunesima edizione:
CHARTAGODS:
Poco prima dell’inizio veniamo a sapere che a causa di problemi relativi ai visti per l’espatrio, la band tunisina non ha potuto prendere parte alla manifestazione.
FELINE MELINDA:
Intorno alle 17.00 sale sul palco la band autrice dell’inno “Agglutination Forever”, un quartetto dedito ad un Power Metal di fortissima estrazione helloweeniana con qualche rimando all’ Hard Rock ottantiano. Sul palco i quattro fanno del loro meglio per coinvolgere il gruppo, ma la loro proposta musicale finisce per risultare abbastanza piatta e decisamente poco coinvolgente. Il singer, dal look molto “hanseniano”, offre una prova dignitosa seppur non esente da qualche strafalcione, ma nell’insieme la band mette in luce una prestazione abbastanza anonima, complice anche la poca presenza scenica e la poca padronanza del palco. Una nota di merito va comunque fatta al giovane e talentuoso chitarrista solista che in altro contesto musicale avrebbe di certo potuto esprimersi ancora meglio. Da dimenticare la cover di “It’s my life” di Bon Jovi.
ARTHEMIS:
Dopo un veloce cambio palco è il turno dei veterani Arthemis, e la musica, è il caso di dirlo, cambia davvero radicalmente. La band, guidata dal carismatico maestro
Martongelli, è uno schiacciasassi in movimento. Sembra di trovarsi di fronte ad un unico blocco di cemento che avanza inarrestabile. Il pubblico “sente” la potenza sprigionata dai quattro ed inizia a far sentire la propria voce in maniera davvero notevole, partecipando ai ritornelli delle canzoni, spinto da un singer che non si è risparmiato un attimo. La prestazione degli Arthemis è di quelle maiuscole, i suoni molto bilanciati, la precisione chirurgica. Una band praticamente perfetta.
FORGOTTEN TOMB:
Dopo la prestazione maiuscola di cui sopra, l’arduo compito di tenere invariato il livello qualitativo spetta ai Forgotten Tomb. La band si presenta sul palco molto convinta, presentando brani un po’ da tutti gli album e concludendo il set con un riuscitissimo medley. C’è poco da appuntare ad una band che comunque ha a proprio favore anni di militanza nella scena e di esperienza sui palchi di mezzo mondo. La loro proposta sembra coinvolgere abbastanza il pubblico grazie ad un mix molto particolare che ricorda a tratti gli
Entombed di “
Wolverine Blues” ed i
Katatonia di “
Brave Murder Day”, ma che, son certo, avrebbe reso molto di più se aiutata dall’oscurità della sera.
NECRODEATH:
Parlare di un’esibizione dal vivo dei Necrodeath è cosa semplice ma allo stesso tempo rognosa. Cosa si può dire che non sia stato detto in passato? La band sale sul palco ed inizia a pestare senza pietà, con un
Flegias sugli scudi ed un
Peso che martorizza le pelli senza un attimo di tregua. I brani si susseguono senza freno, la coesione tra i membri è evidente ed il pubblico questo lo apprezza. I cori di incitazione alla band si sprecano, Flegias sembra godere della cosa, ed inasprisce ancora di più la sua prestazione urlando tutto la sua rabbia in faccia alle prime file, ormai completamente in balia del quartetto. Prestazione maiuscola che, con quella degli Arthemis rappresenta, al momento, il picco qualitativo dell’evento.
INQUISITION:
Dopo una breve ed inquietante intro, il duo colombiano sale per la prima volta sul palco dell’Agglutination. Gli Inquisition sono una band di culto, con anni di esperienza nell’underground ed autori di dischi considerati non a torto delle pietre miliari del genere. La band è formata da
Dagon alla chitarra e voce e da
Incubus alle pelli. Ebbene, durante l’arco dell’esibizione è sembrato di vedere due demoni. Il Black Metal della band è feroce ma allo stesso tempo molto evocativo, ed in più di un’occasione, stilisticamente parlando, mi ha ricordato quel capolavoro chiamato “
Pure Holocaust”. Lo screaming di Dagon è infatti molto simile a quelle di Abbath; il singer ha letteralmente vomitato tutto il suo odio sui presenti, aiutato da un drumming forsennato e precisissimo. Unica piccola pecca sarebbe da muovere al suono della chitarra, veramente troppo compresso e saturo, piccola pecca che comunque non va ad intaccare una prestazione di altissimo livello.
EDGUY:
La band tedesca sale sul palco subito dopo la terremotante esibizione degli Inquisition, proponendo quel Power Metal melodico che nel corso degli anni li ha resi famosi in tutto il globo. Fin da subito è evidente che la voce di
Sammet non è al massimo livello. Il singer è senza dubbio un ottimo frontman ed un ottimo intrattenitore, ma le doti canore che esibisce sul disco, stasera sono solo lontane eco. I suoni risultano abbastanza bilanciati anche se decisamente debolucci, la band ha una discreta presenza scenica e pezzi come
Vain Glory Opera o
Superheroes si fanno ascoltare con piacere, ma nulla di più. Durante i 70 minuti a loro disposizione gli Edguy offrono una prestazione in fin dei conti dignitosa, ma il momento più alto lo si raggiunge quando Sammet intona la prima strofa di “
The Trooper” per poi essere seguito dal resto della band per una mini cover di 40 secondi. Durante quei 40 secondi il pubblico è davvero andato in visibilio…
OBITUARY:
E’ il momento degli headliner: signori e signore gli Obituary. La band di Tampa non ha bisogno di presentazioni, essendo da sempre uno dei baluardi del Death Metal mondiale, autori di capolavori come “Slowly We Rot”, “Cause of Death” e “The End Complete”, tanto per citarne solo tre. I cinque americani salgono sul palco e scatenano l’armageddon.
Trevor Peres è la solita macchina chirurgica, supportato da una sezione ritmica che non ha bisogno di presentazioni. Dopo una breve intro strumentale e pesantissima, ecco arrivare
John Tardy e lo show inizia davvero. Lo screaming del corpulento e lungo crinito singer non ha subìto cali nel corso degli anni, così come la sua presenza scenica. Le tipiche e caratteristiche movenze che lo contraddistinguono sono sempre lì, così come la ferocia della band nel proporre brani che hanno fatto la storia di un genere. I suoni sono perfetti, il basso del grande (in tutti i sensi)
Terry Butler tuona , la batteria è un panzer in movimento. Il pubblico viene letteralmente investito da una tempesta sonora, un muro impenetrabile, tale e tanta è la coesione della band. John invita il pubblico a farsi sentire, e questo risponde alla grande. La band riesce a stabilire un forte legame con l’audience, cosa che esplode nel finale non appena John annuncia “
Slowly We Rot”. L’amore che il popolo Metal ha per il brano in questione è cosa risaputa, ed il popolo dell’Agglutination dimostra di non aver nulla di meno rispetto alle audience del resto del mondo. Sotto il palco si scatena l’inferno, la band apprezza e devasta.
Lo show termina con un tripudio di applausi e di cori che inneggiano ai grandi Obituary, autori di una prestazione che farebbe impallidire il buon 90% delle band oggi in circolazione.
Si chiude così la ventunesima edizione del mitico Agglutination Festival, un evento che mai ha lasciato l’amaro in bocca ai suoi supporters e che ha sempre garantito un’altissima qualità. I presenti possono quindi andar via soddisfatti aspettando la XXII edizione.
Orgoglio del sud Italia e dell’Italia Metal tutta. In ricordo di Alberto.
Alla prossima.