Molte luci e qualche piccola ombra per il concerto milanese dei leggendari ZZ TOP, impegnati nel tour celebrativo del loro trentesimo anniversario.
La prima nota negativa è per il gruppo di supporto: massimo rispetto per Fabio Treves e per i suoi God Save The Blues, ma nel resto d’Europa, per un biglietto di pari costo, i convenuti al concerto hanno avuto la possibilità di vedere un certo Gary Moore... e scusateci se è poco!
In ogni caso il bravissimo Fabio e compagni, pur privi di batterista, sono riusciti a scaldare perfettamente il pubblico con una serie di standard di blues eseguiti in maniera avvincente e trascinante, per uno show che, rammarico a parte, ha fatto da piacevole antipasto per il piatto principale.
Ovviamente l’attesa era tutta per loro, per il trio sudista composto da Billy Gibbons (chitarra e voce), Dusty Hill (basso e voce) e Frank Beard (batteria). La presenza di quest’ultimo era fra l’altro in forte dubbio per via di alcuni problemi di salute, ma Frank si è presentato comunque sul palco e, anche se non ha suonato esattamente in maniera impeccabile, va comunque premiato per lo spirito dimostrato: senza di lui non sarebbe stata la stessa cosa!
Apertura affidata a ‘Pincushion’, il pezzo più celebre del discreto ‘Antenna’, sul quale Gibbons e Hill hanno ripetuto il buffo (e un po’ troppo studiato, a mio avviso) balletto con le mani che già proponevano sul celebre video-clip della canzone. Il concerto si scalda in fretta con la grande ‘Tube Snake Boogie’, con l’irresistibile refrain cantato a grande voce dal pubblico. Stupisce la scenografia, quasi semplice ed essenziale, ma sempre con quello spirito ruspante che da sempre caratterizza gli show della band texana: un paio di cactus disegnati e uno sfondo composto di striscioline argentate a riflettere i fasci di luce dei proiettori.
Entriamo nel vivo dello show, ed ecco altri grandi classici come ‘I’m Bad, I’m nationwide’, ‘Cheap Sunglasses’ e soprattutto una devastante ‘Beer Drinkers And Hell Raisers’, la classica esecuzione che verrà ricordata per lungo tempo dai presenti (che, fra l’altro sono anche molti più di quanto sarebbe stato lecito attendersi, per una band che da tempo non si fa sentire in maniera pesante sulle scene).
Nel frattempo ci tocca anche sorbirci alcuni dei pezzi più deboli del loro repertorio, a partire dalla lagnosissima ballad ‘Rough Boy’ che, per quanto graziata da un grandissimo assolo di Gibbons, resta sempre mediocremente scialba e anonima.
Nel finale, dispiace dirlo (anche perché fino a quel momento tutto era stato perfetto), qualcosa si guast, probabilmente per il classico calo fisiologico: il trio continua a suonare egregiamente, ma sembra farsi prendere dalla routine, smettendo anche di interagire in maniera convinta con il pubblico. Ecco quindi la classica pantomima degli inchini prima dei bis, ecco le chitarre impellicciate, ecco una grandissima ‘Tush’ in conclusione, ma l’impressione e’ quella di trovarsi di fronte a un meccanismo oliato e affiatato, piuttosto che a una reale convinzione da parte di chi stava sul palco. Lascia un po’ perplessi il fatto che Gibbons e Hill se ne vadano quasi senza salutare dopo l’ultima canzone, ma resta il fatto che, per almeno un’ora, abbiamo assistito a un grande show da parte di vecchietti ruspanti e in forma... e direi che il prezzo del biglietto è stato ampiamente compensato!
Foto di Corrado Breno
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