Piatto ricco mi ci ficco!Slogan tanto banale quanto adeguato a descrivere con poche parole la seconda edizione del
Revenge Of True Metal di
Rovereto (TN), che prosegue la propria opera d’evangelizzazione grazie a gruppi storicamente importanti all’interno della scena metal europea, cui sono affiancate realtà italiane più o meno attinenti, a livello sonoro, con quanto proposto dall’headliner.
In quest’articolo è presente il solo reportage della seconda giornata di festival (è bene ricordare, completamente gratuito!). Il sottoscritto, infatti, un po’ per mancanza d’interesse nei confronti dei gruppi esibitisi il venerdì, un po’ per problematiche logistiche, non ha partecipato alla prima giornata dell’evento.
Il bill di sabato 7 giugno è aperto dai milanesi
Executioner, autori d’un thrash molto diretto e veloce ma troppo impreciso. A fronte, infatti, d’un impatto scenico validissimo, la band non è in grado di portare a termine l’obiettivo minimo che ogni formazione dovrebbe inseguire: suonare a tempo!
Accade così che ogni membro del gruppo se ne va per gli affari propri, col risultato di spedire al pubblico un ammasso di suoni che raramente assumono la forma d’un brano degno di questo nome. Esemplare, in questo senso, la cover di
We have arrived (Dark Angel) praticamente demolita rispetto all’originale.
Tocca ai
Warmonger invertire la tendenza di un inizio festival non proprio esaltante. La band veneziana, giunta alla sua ultima data dal vivo non parte, però, sotto i migliori auspici, incespicando in stonati cori tra le asce mentre il batterista mostra affanno quando tenta d’imitare le sfuriate di doppia cassa tipiche del Lombardo dei bei tempi. Per fortuna, proprio quando la noia stava prendendo il sopravvento, il quartetto si ricompone sfoderando una serie di pezzi validi, in particolare a livello ritmico, riuscendo a chiudere egregiamente un’esibizione quasi alla deriva.
È metà pomeriggio inoltrato quando su Piazzale (sarebbe meglio chiamarlo giardino…) De Gasperi prende a cadere la prima pioggia veramente fastidiosa della giornata, che guarda caso, coincide con l’esibizione dei veronesi
Death Mechanism. Il terzetto, incurante del meteo avverso e quindi del risicato pubblico sotto il palco, è autore della prima rilevante prova della giornata, sfoderando 40 minuti scarsi di thrash a base di riff compatti e cadenzati, coadiuvati da una sezione ritmica di qualità che contribuisce a confezionare vere e proprie perle da scapocciamento perpetuo.
Intorno alle 19 sono i romani
Fingernails a salire sul palco. Il gruppo, attivo dai primissimi anni ’80, propone un’ora di hard rock/heavy metal classico dal quale emergono l’ottima qualità coreografica e il talento dei quattro nella scrittura di pezzi assolutamente trascinanti. Un’autentica lezione di hard & heavy d’annata insomma.
Il compito d’ereditare l’entusiasmo creato dai rocker laziali tocca ai vicentini
Alltheniko (il nome suona proprio male…) che non si dimostrano all’altezza delle aspettative. La loro proposta è smorta a livello esecutivo e del tutto anonima nelle composizioni. Nemmeno l’autoironia (per la verità piuttosto patetica) del frontman riesce a infiammare il pubblico, che è percorso da un breve impulso vitale solo quando i tre, in chiusura, propongono la cover di
Ace Of Spades (Motorhead).
Fortunatamente non c’è il tempo per perdersi nel mugugno perché giunge il momento dei marchigiani
Baphomet’s Blood, che tritano i padiglioni auricolari della folla in delirio con un mix di speed all’
Exciter, heavy
Motorhead style e blasfemia di marca
Venom. Da ciò scaturisce un’esibizione eccezionale, un costante crescendo di coinvolgimento basato su pezzi autografi semplici ma efficacissimi, coronati dalle impeccabili cover di
Heart Of Stone (Motorhead) e
Heavy Demons (Death SS).
Il sole è calato da un pezzo, i Baphomet’s chiudono alla grande il proprio show e lasciano il post all’ultimo gruppo italiano della giornata. Trattasi dei trentini
National Suicide che già avevo incontrato un paio di settimane prima a Cusano Milanino e di cui avevo rimandato il giudizio ad altra occasione.
Il gruppo, che gioca praticamente in casa, sale sul palco carichissimo partendo immediatamente a mille. Il taglio stilistico dei National è di scuola tipicamente americana, con
Exodus e
Overkill a fare da maggiori mentori della band. Cioè è facilmente deducibile dalle ritmiche taglienti messe a punto da chitarra, basso e batteria unite a un solismo che fa della velocità il proprio credo. Su questa base strumentale s’insedia con personalità l’ugola del frontman, un incrocio tra il timbro di
Baloff, quello di
Blitz e del
John Cyriis più acuto.
La formula proposta risulta, dunque, valida ma patisce una certa staticità che si nota fin dai primi brani autografi della band, intelligentemente intervallati da un paio di valide cover degli
Overkill:
Elimination e
Sonic Reducer (già cover dei
Dead Boys, formazione punk a stelle e strisce degli anni ’70).
Non meglio precisati problemi tecnici portano il gruppo ad abbandonare il palco salvo poi ripresentarsi per un ultimo saluto al pubblico nella forma di
A lesson in violence degli
Exodus.
Siamo nel pieno della seconda serata e il palinsesto ci propone finalmente gli
Artillery. I membri storici della formazione sono immediatamente distinguibili, lo scorrere del tempo li ha, infatti, trasformati in quattro pacioccosi signori alla soglia della pensione. Manco a dirlo basta la prima nota di
The almighty per rendersi conto che questi tranquilli danesi di mezz’età sanno ancora dire la loro per altro in maniera impeccabile. Lo show di cui si rendono protagonisti supera, infatti, le più rosee attese che si potevano riporre in quest’evento. La sezione strumentale è talmente in forma da rendere 100 volte meglio rispetto all’originale su disco, complice anche un cantante a dir poco eccezionale, tale
Søren Nico Adamsen, corpulento giovanotto che letteralmente seppellisce il ricordo che aveva lasciato di se
Flemming Rönsdorf.
Il gruppo, in quasi 90 minuti di concerto, non perde un colpo, mantenendo costantemente in fibrillazione il ritmo della serata e dimostrando di possedere una tenuta che ha dell’incredibile.
Con la riproposizione di
The almighty a fine esibizione, gli Artillery chiudono il cerchio su di un concerto impeccabile, inserito in un festival così ben rodato da non sembrare una realtà affacciatasi sulla scena da appena 2 anni. Vale, quindi, la pena applaudire l’organizzazione che ha diretto l’evento. Personalmente faccio i complimenti al fonico, che per tutta la giornata ha svolto un ottimo lavoro.
Al prossimo anno (speriamo…).