(05 giugno 2016) Rock In Vienna, 3-4-5 giugno 2016

Info

Provincia:non disponibile
Costo:199 Euro
Ponte del 2 giugno all’insegna della tripla C in quel di Vienna:
1- Cultura
2- Cibo
3- Concerti

La prima C, si sa, innesca la seconda in modo pressoché scientifico: trotterellare per musei (e la capitale dell'Austria ne vanta sin troppi: Kunsthistorisches Museum, Leopold Museum, Castello di Belvedere, Schloss Schönbrunn…) mette una fame difficile da descrivere a parole.
La seconda C, invece, mal si sposa con la terza, soprattutto nel particolare contesto gastronomico in cui sono calato: vi renderete conto anche voi che presentarsi ad un festival open air mentre si tenta (invano) di digerire delicatissime specialità culinarie austriache quali Wiener Schnitzel, costine, Sacher Torte, stinco etc. non sia il più semplice dei compiti.
Ma per il nostro amato metallo pesante questo ed altro.

Sia chiaro: non sono riuscito ad assistere all’esibizione di ogni singola band presente nel cospicuo bill previsto dal Rock In Vienna 2016. Ho una certa età ormai, senza contare che una simile strategia avrebbe inevitabilmente comportato un drammatico (e perigliosissimo) sbilanciamento degli equilibri matrimoniali.
Nondimeno, ecco qui impressioni e frammenti di uno splendido weekend concertistico…

GIORNO 1- VENERDI’ 3 GIUGNO

Spiace iniziare con una chiosa polemica -peraltro, non sarà l’ultima del presente report- ma in tutta coscienza non posso esimermi dal denunciare una pecca organizzativa piuttosto vistosa.
Pecca della quale mi avvedo mentre ancora percorro il ponte che conduce alla placida isoletta sul Danubio teatro dell’evento: una fila minacciosa e serpeggiante, causata dai controlli di biglietti e zaini all’ingresso.
Grazie al mio dispendioso biglietto di 3 giorni per il Golden Circle riesco a limitare i danni, infilandomi in un percorso dedicato; ciò non toglie che il personale adibito alle perquisizioni sia vastamente insufficiente a garantire un deflusso accettabile.

Rimaniamo quindi imbottigliati troppo, troppo a lungo; talmente a lungo che, allorquando riusciamo finalmente a superare il cordone della security, gli Anthrax hanno già iniziato il loro set.
Sorvolando su improperi e offese gratuite alle divinità di ogni religione, un pensiero balugina nella mia accaldata testolina: ci lamentiamo tanto -e spesso a ragione- delle magagne organizzative che affliggono i festival nostrani, ma nemmeno oltre confine son tutte rose e fiori…

ANTHRAX
Mentre m’incammino verso i due palchi principali, posti uno in fianco all’altro (ve n’è anche un terzo in posizione più defilata, ma non ho avuto tempo o modo di approfondirne la conoscenza), mi rallegro per la felice scelta della location: davvero ottima, ben organizzata e colma di stand beverecci e mangerecci -basta!-.
Eppure non si può indugiare: la band newyorchese ha appena attaccato “Got the Time”.

Le prime due canzoni, purtroppo, sono andate; ciò non m’impedisce di apprezzare per l’ennesima volta la grinta e la professionalità che i Nostri profondono in ogni concerto, a prescindere da contesto o orario.
Benante è ancora assente ma, come già accaduto lo scorso novembre all’Alcatraz di Milano, il sostituto John Dette riesce a non farlo rimpiangere. Allo stesso modo, Belladonna non sfigura affatto dietro al microfono, fornendo una prestazione di sostanza e molto energetica sotto il profilo della presenza scenica.
Nulla da eccepire sulla scaletta, ben bilanciata tra inevitabili oneri promozionali dell’ultimo lavoro e immancabili concessioni ai gloriosi trascorsi della band.

Non un set in grado di cambiare la vita, ma un’esibizione oltremodo solida da parte di una formazione che in studio arranca da tempo immemore (il recente “For All Kings”, per quanto mi riguarda, non fa eccezione), ma che in sede live ha ancora numerose cartucce da sparare.
Perché no, magari da sparare alla loro destra, in direzione del Mind Stage

Setlist:
1- Among the Living
2- Caught in a Mosh
3- Got the Time
4- Madhouse
5- Antisocial
6- Fight ‘Em ’Til You Can’t
7- Evil Twin
8- Breathing Lightning
9- Indians

BABYMETAL
Si scherza, per carità, tanto più che io non odio affatto le Babymetal, né auguro loro alcun male. Certo, esprimono una concezione di “metal” (virgolette d’obbligo) lungi eoni dalla mia, ma il disincanto che ho maturato negli anni fa sì che il sentimento predominante nei minuti che precedono il loro ingresso sul palco sia una perplessa curiosità.

Mi chiedo se per il resto del pubblico pagante sia lo stesso, o se invece le tre giapponesine verranno bersagliate senza requie da panini, bottigliette di plastica, scarpe, sampietrini et similia.
La reazione dell’audience, al contrario, mi dimostra una volta ancora quanto io sia scollegato dal resto del mondo e quanto i tempi siano cambiati senza che me ne accorgessi.
Nelle prime file è un trionfo: tutti le incitano, saltano, battono le mani, intonano i ritornelli (ovviamente a casaccio, essendo perlopiù in idioma nipponico). Poffarre, non me l’aspettavo.

Io, da buon trombone retrivo e noioso, non riesco ad andare oltre qualche timido applauso a fine canzone; ciò detto, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, e riconoscere che lo spettacolo, per quanto paradossale e moralmente aberrante possa apparirmi, funziona.
Ecco, l’ho detto.

D’altra parte, la giovane band che accompagna le scorribande danzerecce del trio femminile suona non bene, ma benissimo; le canzoni sono sì demenziali, ma posseggono melodie in grado di penetrare il cranio senza più uscirne, così come le linee vocali da cartone animato -in larga parte campionate e sorrette da basi registrate-; da ultimo, le coreografie e i passi di danza della lead singer Su-metal e delle coriste Yuimetal e Moametal (ho anche imparato i loro nomi, dove andremo a finire di questo passo?) costituiscono uno scorcio talmente singolare sulle assi di un festival rock/metal da risultare quasi ipnotici.

Il risultato?
Durante l’esibizione avrò scosso la testa in segno di disapprovazione in almeno 80 occasioni, eppure una volta eseguita la doppietta conclusiva “Gimme Chocolate!!” (a proposito di pezzi virali) / “Road of Resistance” ho realizzato con un pizzico di orrore che gli ultimi 45 minuti erano volati senza che nemmeno me ne accorgessi.
Mannaggia a voi Babymetal, a causa vostra sono in piena crisi d’identità. Sento distintamente l’esigenza di purificarmi l’anima con una dose di sano, rozzo, brutto, cattivo heavy metal come Satana comanda.
Toh, ma guarda un po’ chi sta per calcare il Soul Stage

Setlist:
1- Babymetal Death
2- KARATE
3- Catch Me if You Can
4- META! Meta Taro
5- Ijime, Dame, Zettai
6- Headbangeeeeerrrrr!!!!!!!
7- Megitsune
8- Gimme Chocolate!!
9- Road of Resistance

SLAYER
Accolgo Kerry King e soci come oasi nel deserto: dopo le zuccherose nenie delle Babymetal chiedo solo che i miei atroci dubbi interiori vengano spazzati via dal crudele riff di “Repentless”.
Ciò accade molto presto (il doppio palco, sotto il profilo del contenimento dei momenti morti, è una manna)… peccato fatichi ad udirlo.

Credevo sarei passato a miglior vita senza aver mai dovuto pronunciare o scrivere una frase del genere, ma gli Slayer hanno un volume terribilmente basso. La batteria di Bostaph sovrasta tutto il resto, con chitarre timidissime ed il basso ancor più inudibile del solito.
La situazione si fa quasi imbarazzante, tanto che mi sento in dovere di rassicurare la mia consorte (non che fosse preoccupatissima in realtà), affermando con spocchia da esperto consumato che “al mixer risolveranno tutto nel giro di un paio di canzoni massimo”. In effetti il drumming viene riportato a livelli civili già nella successiva “Disciple”, ma il deficit complessivo di decibel, ahimè, affliggerà l’intero show, in barba alle mie previsioni ottimistiche.

Se gli Slayer stessi si lascino condizionare o meno da ciò non saprei dirlo, fatto sta che un minimo di sufficienza e qualche imprecisione, qua e là, facciano capolino. Il maggior colpevole, spiace dirlo, è proprio Araya, molto approssimativo vocalmente ed autore di un paio di topiche davvero clamorose, oltre che piuttosto svogliato in veste di frontman.
La coppia di asce Holt / King (buon compleanno Kerry!) macina senza requie, e brani come “Mandatory Suicide”, “Postmortem” o “Dead Skin Mask” forniscono sempre perverso piacere alle orecchie di ogni metaller, ma la sensazione è quella di aver assistito a concerti più incisivi da parte del combo losangeleno.

Urge pronto riscatto in occasione del ritorno in Italia previsto per luglio: in quel di Lignano pretendo che voi e gli Amon Amarth mi facciate letteralmente sanguinare le orecchie, intesi?

Setlist:
1- Repentless
2- Disciple
3- Postmortem
4- Hate Worldwide
5- War Ensemble
6- You Against You
7- Mandatory Suicide
8- Raining Blood
9- Dead Skin Mask
10- Born of Fire
11- South of Heaven
12- Angel of Death

APOCALYPTICA

Wurstel.
Sintetizzerei così, augurandomi che nessuno si risenta, l’esibizione dei finlandesi. Che volete che vi dica? Nonostante l’immane stinco ingurgitato a pranzo, un piccolo buco nello stomaco ci ha obbligati ad abbandonare il Golden Circle alla ricerca di cibo. La strategia, peraltro, viene condivisa da buona parte dei presenti, il che è sintomatico del ruolo di riempitivo rivestito dal concerto degli Apocalyptica.

Dallo stand culinario prescelto ho modo di udire qualcosa e di scorgere brandelli di esibizione grazie ai maxischermi, ma nulla che permetta una disamina approfondita. Per quanto occorrer possa, ammetto che la proposta di Paavo Lötjönen e soci non mi ha mai attratto granché. Meglio quando si cimentano nelle cover, in ogni caso: i brani composti da loro continuano a lasciarmi più freddo di una notte d'inverno in mutande sotto la neve.

Purtroppo il summenzionato wurstel, per quanto gustoso, ci gioca un brutto scherzo al momento del rientro nel cordone di platea a noi dedicato.
E giungiamo così alla seconda chiosa polemica…

Setlist:
1- I Don’t Care
2- I’m Not Jesus
3- Shadowmaker
4- Not Strong Enough
5- House of Chains
6- Master of Puppets
7- Seek & Destroy
8- Bittersweet

RAMMSTEIN

Sarò meschino e venale, ma aver investito 200 profumati eurini per finir schiacciato come una cotoletta in mezzo a metallari asburgici sudati non mi pare il più redditizio degli affari. Specialmente se la metà dei predetti metallari asburgici sudati non ha nemmeno titolo per trovarsi lì, essendo sprovvista dell’apposito braccialetto dorato che permette l’ingresso nelle prime file.
Anche sorvolando sull’ingiustizia perpetrata ai danni degli investitori, la geniale strategia permissivista -vi assicuro che si può dire- del personale del festival ha condotto a scene di panico da claustrofobia, decine di alterchi e mini-risse, impossibilità assoluta di muoversi anche solo di pochi millimetri, difficoltà a vedere cosa succedesse sul palco (mia moglie per molte canzoni si è dovuta accontentare delle toppe sul giubbino jeans del suo dirimpettaio), implicita rinuncia ad accedere ai servizi igienici o allo stand della birra.
Insomma, un bel capolavoro.
Ti perdono perché sei ancora giovane ed inesperto, caro Rock In Vienna, ma per le prossime edizioni ti invito caldamente a comportarti in modo più professionale e meno ingenuo, ok?

Chiudiamo la polemica tra me e il sottoscritto (cit.) e passiamo tosti al concerto, che tra l’altro è stato fenomenale come sempre.
I Rammstein, si sa, sulle assi di un palco hanno pochi rivali, e la prova di stasera altro non fa se non fornire gradita conferma all’assunto. Come sempre, ad esecuzioni strumentali possenti ed impeccabili va aggiunto uno spettacolo visivo impareggiabile, fatto di pyro, luci ed effetti speciali.
Se la setlist, soprattutto all’inizio, riserva sorprese (l’inedita “Ramm 4”, il ripescaggio di “Hallelujah”, il debutto live di “Zerstören”), altrettanto non può dirsi delle trovate sceniche, sempre godibilissime ma ormai leggermente logore per chi ha avuto la fortuna di assistere a precedenti concerti della band teutonica.

Ciò, d’altra parte, nulla toglie all’impatto devastante di capisaldi come “Keine Lust”, “Links 2-3-4” o “Ich Will”, che assieme a “Du Hast” tratteggiano una fase centrale di show che suona come una sorta di greatest hits.
Più sorprendente, ma oltremodo gradita, la scelta di chiudere la prima tranche di spettacolo con la reinterpretazione di “Stripped”.

Sin qui, assenza di spazio vitale a parte, tutto pressoché perfetto.
Durante l’esecuzione dei bis, ahimè, succede l’imponderabile: il microfono di Till pensa bene di schiacciare un pisolino, giusto pochi attimi prima del chorus di “Sonne” (il che suona molto ironico).
“Beh, nella vita c’è di peggio” penseremmo noi comuni mortali, ma evidentemente così non dev’essere per il corpulento cantante: vi assicuro che, in vent’anni di assidue frequentazioni concertistiche, mi è capitato raramente di vedere un musicista così inviperito.

Il brano viene comunque portato a termine grazie all’aiuto del pubblico (beati loro che parlano tedesco e non devono inventarsi una parola su tre delle lyrics come il sottoscritto), ma l’armonia sul palco è ormai compromessa.
Prova lampante la successiva esecuzione acustica di “Ohne Dich”, prevista in scaletta ma eseguita dalla band in modo piuttosto grossolano, con atteggiamento da sala prove, facendo sorgere nell’audience il legittimo sospetto che si tratti di una jam estemporanea per permettere ai tecnici di risolvere i problemi con la strumentazione.
Esperimento non del tutto riuscito dunque, ma prontamente superato grazie ad una convincente “Engel”, condotta in porto senza ulteriori inciampi nonostante un Lindemann ancora evidentemente contrariato (dalle mie parti si direbbe piuttosto “con le palle in giostra”).

Così, Flake e soci si congedano, lasciandosi alle spalle un concerto sì afflitto da qualche piccolo inconveniente e da un generale senso di déjà vu, ma comunque spettacolare.
Rammstein miei, dal vivo siete una forza della natura, però ora forza con questo disco nuovo. Spero di rivedervi presto…

Setlist:
1- Ramm 4
2- Reise, Reise
3- Hallelujah
4- Zerstören
5- Keine Lust
6- Feuer Frei!
7- Seeman
8- Ich tu dir Weh
9- Du Riechst so Gut
10- Mein Herz Brennt
11- Links 2-3-4
12- Ich Will
13- Du Hast
14- Stripped
Encore:
15- Sonne
16- Ohne dich
17- Engel

GIORNO 2- SABATO 4 GIUGNO
In tutta franchezza, il bill della seconda giornata non presentava chissà quali spunti per gli amanti del metallo pesante. Personalmente avrei assistito volentieri agli show degli ottimi Graveyard e della band di Juliette Lewis, e tant’è. Mi sarei risparmiato volentieri, al contrario, i vagiti dei pur bravi Biffy Clyro, davvero troppo lamentosi per le mie corde.
Fortunatamente giungiamo in quel di Donauinsel giusto in tempo per salutare, senza eccessivi rimpianti, la compagine scozzese ed accogliere una leggenda del rock del calibro di Iggy Pop.

IGGY POP
Leggenda che si presenta sul palco ben consapevole di esser tale: scenografia del tutto inesistente, luci ridotte al minimo, palco sfruttato per un terzo delle sue dimensioni, musicisti nelle retrovie e lui ad imperversare in lungo e in largo.
Le consuete pose, i balletti stralunati, la gestualità allucinata e le movenze rettilesche (questa parola me la sono inventata, sappiatelo), oltretutto accentuate dall'evidentissima zoppia, conferiscono alla sua performance un magnetismo innegabile. Non guasta nemmeno il fatto che la voce ci sia eccome, come dimostra la prima, fantastica infornata di classici composta da “No Fun”, “I Wanna Be Your Dog”, “The Passenger” e “Lust For Life”.

A tale folgorante incipit segue un melange di brani recenti (stipati soprattutto nell’ultima tranche di show) e meno recenti (fra cui spiccano la decadente “Sister Midnight” e l’abrasiva “Search and Destroy”); dalle mie parti ci si diverte un bel po’, rapiti e affascinati dal buon Iggy. Spiace un po’ per la monodimensionalità (altro neologismo temo) dello show, che poggia solo ed unicamente sulle sue scorribande e non lascia nemmeno le briciole ai compagni d’avventura, ma forse è giusto così: la gente, in fondo, è qui per lui.

Addirittura, al termine dei bis, i musicisti lasciano in fretta e furia lo stage senza manco salutare, lasciando proscenio e -meritati- applausi tutti per James Newell Osterberg Jr.
Icona del rock, padrino del punk, e ciò che più conta performer ancora in grado, alla veneranda età di 69 anni, di insegnare a tanti giovinastri che infestano la scena odierna come si sta su un palco.
Una lezione alla quale sono lieto di aver assistito.

Setlist:
1- No Fun
2- I Wanna Be Your Dog
3- The Passenger
4- Lust For Life
5- Skull Ring
6- Sixteen
7- Five Foot One
8- 1969
9- Sister Midnight
10- Real Wild Child (Wild One)
11- Nightclubbing
12- Some Weird Sin
13- Mass Production
14- Search and Destroy
15- Down on the Street
Encore:
16- Sunday
17- Break Into Your Heart
18- Gardenia
19- Neighborhood Threat
20- Paraguay

GIORNO 3- DOMENICA 5 GIUGNO
Oggi sì che ci sarebbe pane per i miei metallici denti: Zakk Wylde, Dragonforce, Gojira, Powerwolf… ma come già ribadito, la vita è fatta di compromessi e di progressiva accettazione dell’invecchiamento.

KREATOR
Approdo così davanti al Mind Stage quando la formazione germanica ha già scaldato i motori con un paio di bordate a titolo “Enemy of God” e “Terrible Certainty”; la successiva “Phobia” dimostra a ritardatari e scettici il suo ottimo stato di forma (quantomeno esecutivo: la pancia del buon Petrozza è ulteriormente lievitata rispetto all’ultima volta in cui l’avevo incrociato).

La risposta del pubblico è addirittura sorprendente: pogo, moshpit, cori ed applausi accompagnano i Nostri lungo una carrellata di piccoli grandi gioielli del thrash tedesco, riproposti col giusto mix di mestiere, cattiveria e sana ignoranza.
Sarebbe ingiusto chiedere altro ai Kreator targati 2016, che chiudono le danze con gli evergreen “Violent Revolution” e “Pleasure to Kill” un set roccioso ed oltremodo convincente.
Ma guarda un po’: una nuvoletta…

Setlist:
1- Enemy of God
2- Terrible Certainty
3- Phobia
4- Awakening of the Gods / Endless Pain
5- Warcurse
6- Phantom Antichrist
7- From Flood into Fire
8- Hordes of Chaos (A Necrologue for the Elite)
9- Civilisation Collapse
10- Violent Revolution
11- Pleasure to Kill

NIGHTWISH
Piove!
Un bell’acquazzone estivo dona la cornice ambientale perfetta al palco dei Nightwish, interamente giocato su temi marinareschi. Credo comunque di poter affermare che i presenti avrebbero fatto volentieri a meno dell’imprevisto metereologico, che oltretutto impedisce alla band di utilizzare effetti pirotecnici e di proporre la setlist nella sua interezza.
Assistiamo dunque ad una performance monca, ma concessa l’attenuante generica va comunque denunciata qualche zona d’ombra.

Citerei in primis alcune scelte discutibili di scaletta: l’opening track “Shudder Before the Beautiful” non può mancare e, per quel che mi riguarda, ci sta eccome. Ci sta meno, invece, la gragnuola “Yours Is an Empty Hope” / “My Walden” / “Élan”, che conduce la conta dei pezzi estrapolati dal nuovo album a 4 su un totale di 8. Oltre a ciò, pur conscio che si tratta di una posizione fortemente minoritaria, non ho mai sopportato “I Want My Tears Back”.
Insomma: pur nell’obbligo di sfrangiare, si poteva sfrangiare meglio.
In secondo luogo mi soffermerei su una certa scolasticità nel riproporre i brani, quasi fosse un compitino più che un piacere; quello che sembra metterci più grinta è proprio il mastermind Holopainen, che dispensa sorrisi su sorrisi alle prime file e pare genuinamente coinvolto.

Note positive?
Ce ne sono eccome: una su tutte Floor Jansen, che supera in scioltezza l'infido test live. Presenza scenica, padronanza vocale, tenuta, capacità di coinvolgere il pubblico: le florida cantante ha dimostrato la propria completezza, riuscendo a catalizzare l’attenzione su di sé e mascherando così una generale mancanza di carisma dei rimanenti membri della compagine finlandese.
Compagine che, ad onor del vero, suona alla grande, non sbaglia nulla e chiude in palese crescendo con una spaventosa “Ghost Love Score” ed una “Last Ride of the Day” davvero ben riuscita.

Più luci che ombre quindi per i Nightwish, che lasciano il palco fra i sinceri applausi degli spettatori. Da rivedere a pieno regime, ma comunque promossi.

Setlist:
1- Shudder Before the Beautiful
2- Yours Is an Empty Hope
3- Storytime
4- My Walden
5- Élan
6- I Want My Tears Back
7- Ghost Love Score
8- Last Ride of the Day

IN EXTREMO
Piove! parte seconda.
Le precipitazioni si fanno piuttosto insistenti, tanto che finisco per benedire mia moglie e la sua scelta di portare i K-Way. La nutrita formazione proveniente da Berlino occupa il Mind Stage, ma io sono troppo concentrato a pregare un dio in cui non credo minimamente affinché il concerto dei Maiden si tenga. Di tutta risposta le gocce aumentano d’intensità, ed un'improvvisa folata di vento spezza un’impalcatura, facendo penzolare in modo inquietante il maxischermo posto alla destra del palco. Grazie dio, sempre squisito.

Stupidaggini a parte, la situazione peggiora a vista d’occhio, tanto che i poveri musici teutonici si vedono costretti ad interrompere il set dopo poche canzoni. Se mi si concede un briciolo di rudezza, per quanto si era sentito sino a quel momento è andata quasi meglio così.
Soprattutto perché, disegno divino o meno, alle fatidiche ore 21:00, le precipitazioni si sono notevolmente affievolite.
Non resta che attendere.

Ecco qui: le note di “Doctor Doctor” si diffondono dagli speaker.
Ci siamo…

Setlist:
1- Rasend Herz
2- Frei zu sein
3- Himmel und Hölle
4- Zigeunerskat
5- Vollmond
6- Liam
7- Belladonna

IRON MAIDEN
Lo scrittore Francesco Burdin ebbe ad affermare che “si possono ripetere le azioni: i pensieri non ritornano mai identici”, ma evidentemente non si era mai trovato a redigere l'ennesimo report della propria band del cuore, che tra l’altro vedo stasera per la ventiquattresima volta dal vivo.
Posso assicurarvi che diventa arduo sfuggire al demone del pilota automatico letterario quando si narra di un concerto a cui si è assistito appena due mesi prima; per mia e vostra fortuna, non sarà il sottoscritto a narrare delle date italiche di fine luglio (sì: le vedrò tutte e tre, e sì: ho bisogno di cure, inutile che me lo diciate).

Quantomeno, rispetto allo show di New York di fine marzo, qualche minuscola differenza la si riesce a intravedere:
- durante i primi brani a Vienna piove, mentre al Madison no (questa non vale, ok);
- l’audience austriaca si dimostra decisamente più partecipe di quella americana (e non ci voleva granché, in effetti);
- ciò che conta, e che mi rende più felice: Bruce è ancor più in palla.

Eh già: leggo in giro per il web alcuni commenti non entusiastici della prestazione canora viennese, ma in tutta onestà non capisco da dove traggano fondamento. Dickinson, a mio modestissimo avviso, è stato vocalmente mastodontico: al netto della solita, debordante presenza scenica, non ha sbagliato una nota, è riuscito ad eccellere laddove aveva arrancato in precedenti date (leggasi: strofa di “Death or Glory” e chorus di “The Book of Souls”) e addirittura ha chiuso in crescendo (su “Blood Brothers” si è reso protagonista di una performance da pelle d’oca).
Con tutta l’onestà intellettuale possibile -che è comunque poca quando parlo della Vergine- non lo sentivo così bene dai tempi, ahimè irripetibili, del tour di “A Matter of Life and Death”, ossia 10 anni fa. Fate vobis…

Per il resto, davvero, valga quanto già scritto nel precedente report, con buona pace di Burdin: palco, teloni ed impianto luci splendidi, band in grande spolvero, scaletta fortemente incentrata sull’ultimo parto discografico, come da consolidata tradizione maideniana.
Spiace dover riproporre anche l’unico motivo di doglianza: il volume continua a dimostrarsi un pelo modesto, così come il risalto donato alle tre chitarre, sin troppo subalterne ad una sezione ritmica tanto possente quanto dispotica.

La pioggia, al contrario, smette di esercitare il suo crudele giogo intorno a metà concerto, permettendoci così di godere al massimo del trittico di classiconi pre-bis (“Hallowed Be Thy Name” / “Fear of the Dark” / “Iron Maiden”, mica cotiche) e di porgere all’immarcescibile Nicko gli auguri di buon compleanno (64 candeline).
Il pubblico è in estasi, e non cessa di godere in occasione degli encore, eseguiti davvero mirabilmente. Gloria eterna.

Per la cricca di Steve Harris è già tempo di congedo, ma fortunatamente la corposa calata italica dista meno di due mesi. Posso solo sperare che i Nostri mantengano inalterato lo stato di grazia dimostrato stasera.
Ad maiora!

Setlist:
1- If Eternity Should Fail
2- Speed of Light
3- Children of the Damned
4- Tears of a Clown
5- The Red and the Black
6- The Trooper
7- Powerslave
8- Death or Glory
9- The Book of Souls
10- Hallowed Be Thy Name
11- Fear of the Dark
12- Iron Maiden
Encore:
13- The Number of the Beast
14- Blood Brothers
15- Wasted Years
Report a cura di Marco Cafo Caforio

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