Negli ultimi mesi, il mio feeling con le band di apertura è andato, ahimè, progressivamente scemando. L’umida serata di
Trezzo non fa che conferir ulteriore conferma al trend negativo.
Varco così la soglia del
Live mentre l’esibizione dei
Voodoo Six volge alle battute finali; giusto il tempo di saggiarne una volta ancora le discrete capacità dal vivo, fruendo così di 15 minuti circa di sano, robusto hard rock iniettato di groove.
D’altra parte, tanto vale esser franchi: ai miei occhi accecati dal riverbero dell’amore, tutti gli “altri” musicisti impegnati stasera non sono che sparuti corpi celesti che orbitano intorno al Sole
Harris. Lo stesso
Steve, caparbio come suo solito nel ribadire che i
British Lion sono una vera band, avverserebbe senz’altro una simile interpretazione. Eppure, il dato di fatto resta incontrovertibile: io sono qui per lui, ed il resto del -peraltro folto- pubblico pure.
Salutiamo quindi la compagine apripista e attendiamo l’ingresso della stella madre del sistema solare del metal… ok, la pianto.
BRITISH LIONDieci di sera in punto: eccoli qui, annunciati da una breve intro sinfonica, i nostri amici leonini, che attaccano con “
This is My God” -mai stata tra le mie favorite, ad onor del vero-. Il pubblico, invece, pare gradire, mentre i suoni si attestano già su buoni livelli. Miglioreranno ancora con la successiva “
Lost Worlds”, anch’essa tratta dal disco d’esordio.
A rappresentare il nuovo corso del gruppo intervengono poi le inedite “
Father Lucifer”, “
The Burning” (senza dubbio la più maideniana del lotto… e infatti tra le migliori di serata) e “
Spitfire”.
Seguono a ruota le già note “
The Chosen Ones” e “
These are the Hands”, che da un lato certificano la sostanziale riproposizione della setlist congegnata in occasione del tour inglese del 2015, e dall’altro permettono di stendere un primo bilancio.
Per quanto concerne il futuro compositivo del gruppo inglese, si ottiene conferma che la direzione intrapresa è quella giusta: i nuovi pezzi posseggono maggior brio compositivo, dinamica e robustezza rispetto a quelli più risalenti. Speriamo solo che, quando si tratterà di inciderli, non vengano sgonfiati dalla solita produzione involuta made in
Steve…
Con riguardo, invece, all'esibizione in senso stretto, possiamo spendere parole di elogio, senza tuttavia cedere al trionfalismo.
Se, infatti, sembra corretto iscrivere il drummer
Simon Dawson e l’occhialuto chitarrista
David Hawkins nel partito degli onesti mestieranti, non ci si può esimere dall’assestare una virtuale tiratina d’orecchie all’altra ascia
Graham Leslie, invero piuttosto grossolano in taluni passaggi. La somiglianza fisica con
Janick Gers si dimostra, alla riprova dei fatti, fuorviante: del brio anarchico di quest’ultimo non v’è traccia, della sua dirompente presenza scenica tantomeno.
A proposito di presenza scenica…
Affermiamolo sin d’ora: la voce di
Taylor in sede live si fa preferire nettamente rispetto a quella, sottile ed esangue, messa in mostra in studio di registrazione. Però,
Richard mio, se ci soffermiamo sulle doti da frontman andiamo maluccio. Si può anche sorvolare sulla mancanza di carisma, ma ti prego di rottamare quanto prima le mossette da pugile epilettico: creano davvero gelo tra gli astanti, oltre a materializzare sinistre analogie con la sfilata a due tra
Derek Zoolander e
Hansel McDonald (se non sapete di cosa parlo vergognatevi).
Per fortuna ci pensa babbo
Steve a salvare la baracca, con la sua intensità strabordante, le sue leggendarie pose e le sue linee di basso sferraglianti. Il tutto mettendosi a pieno servizio della band, senza alcun atteggiamento di superiorità o smania di protagonismo. Patrimonio dell’umanità.
È presto tempo per due ulteriori inediti: la granitica “
Bible Black” ed il mid tempo “
Guineas and Crowns” rinsaldano la convinzione che le premesse per un secondo full length di buon livello ci sono eccome.
Prima però, come già trapelato sul web e confermato stasera da
Taylor, verrà realizzato un live album, con registrazioni carpite da alcune delle date di questo tour. Chissà che, dopo la “
Wasted Beers” (cit.) catturata a Milano nel ’99 ed inserita nel single “
Out of the Silent Planet”, io non finisca di nuovo su una incisione ufficiale
Maiden-related…
Va bene, abbandoniamo i nerdismi e concentriamoci sull’esibizione, ormai agli sgoccioli. Rimane il tempo, tra le altre, per le belle “
Us Against the World” e “
World Without Heaven” -un giorno in cui non avrò nulla da fare mi metto a contare quante volte
Steve ha utilizzato i vocaboli “
dream” e “
world” nei suoi testi: saremo nell’ordine delle migliaia-.
Il compito di chiudere le danze, come ci si poteva attendere, viene assegnato alle contagiose melodie di “
Eyes of the Young”.
Cala quindi il sipario su una esibizione compatta, energica ed onesta, che non avrà presumibilmente cambiato la vita di nessuno ma che ha comunque garantito 80 minuti di divertimento e coinvolgimento. Proprio come il buon vecchio hard rock dovrebbe fare, no?
Io e te, caro
Steve, ci rivediamo a fine aprile in quel di
Anversa. Ma questa è un’altra storia…
Live report di
Marco CaforioFoto di
Giulia BianchiBRITISH LION setlist:
1-
This is my God2-
Lost Worlds3-
Father Lucifer4-
The Burning5-
Spitfire6-
The Chosen Ones7-
These are the Hands8-
Bible Black9-
Guineas and Crowns10-
Last Chance11-
Us Against the World11-
A World Without Heaven12-
Judas13-
Let it Roll14-
Eyes of the Young